sabato 5 aprile 2008

I GORANI: UN ALTRO GRUPPO ETNICO DEL KOSOVO

DRAGASH -KOSOVO. Nella parte meridionale del Kosovo, in quella striscia di terra montuosa che sono i monti della Gora (“montagna” in lingua serba) tra Albania e Macedonia, nella regione che si estende a sud di Prizren e comprende tutta la municipalità di Dragash vive, riparata dallo sguardo di molti, una piccola comunità etnica, i gorani. L’ennesima conferma di quanto variegata e colorata sia questa terra balcanica. I gorani sono un gruppo etnico di ceppo slavo meridionale e di religione musulmana (abbracciarono l'Islam in seguito alle invasioni ottomane nei Balcani). Originari della Bulgaria ed arrivati in questa regione montuosa di Gora nel XIII secolo, questo popolo parla un particolare dialetto regionale che consiste di parole macedoni, bulgare, serbe e turche, il Našinski (letteralmente “la nostra lingua”), un dialetto bulgaro. Questa loro unicità sembra rafforzata dall’abbigliamento delle donne, quando, sopratutto nei giorni di festa, sotto un leggero mantello nero indossano vestiti e calze dai toni sgargianti con tante collane ornamentali. Basta questa sintetica cornice geografico-antropologica per capire la particolarità e l’unicità di questo gruppo etnico che vive il suo isolamento socio-politico e geografico come presupposto base della sua sopravvivenza. In questo mosaico etnico l'identità nazionale dei gorani risulta ancora oggi problematica. Tale problema è percepito sia dai gorani stessi che dai popoli vicini. Molti serbi considerano i gorani come dei serbi convertiti all'Islam, altri li considerano degli albanesi di lingua slava. Vista la loro particolare cultura (lingua slava e fede islamica) alcuni gorani considerano se stessi bosniaci.Non esistono dati precisi sul numero di gorani che vivono in Kosovo oggi, perché dal 1991 non è più stato svolto alcun censimento in Kosovo. Secondo recenti stime dell’OSCE nella municipalità di Dragash abitano 22.800 albanesi (il 57,22% della popolazione) e 17.975 gorani (il 43,30%), molti dei quali si trovano all’estero come lavoratori o rifugiati, pronti, tuttavia, a ritornare per le vacanze estive, per essere protagonisti o semplicemente assistere ai tanti matrimoni tra gorani. I matrimoni misti sono infatti pochissimi e forse questo può spiegare la visibile presenza di persone, giovani ed aziani, dai tratti somatici propri di una persona con sindrome di Down. Quelli rimasti qui, invece, vivono prevalentemente di pastorizia, agricoltura e delle risorse che offre il bosco. Sono conosciuti anche come abili pasticceri e produttori di baklava e khalva (dolci di tradizione turca). Raggiungere Dragash e quindi Kruscevo e Restelica, i due villaggi gorani più grandi ed “etnicamente puri”, non è un impresa facile. Sebbene Prizren dista solo 36 km, l’unica strada “percorribile” non è delle più agibili, nonostante gli ultimi lavori di rifacimento del manto stadale. Luogo impervio fino a pochi mesi fa, completamente isolato ed abbandonato a se stesso nei mesi invernali, lì anche i ripetitori della telefonia mobile possono fare poco. Questo fiero gruppo di montanari vive in condizioni economiche molto difficili, non a caso la sua municipalità è considerata da molte agenzie internazionali come una delle più arretrate del Kosovo (Human Development Report UNDP 2004, WB 2005). Non è difficile convincersi di questo una volta arrivati a Restelica. Le stradine di terra battuta stentano a sorreggere le case arroccate ai suoi bordi, accatastate l’una sull’altra vicine come a proteggersi dal freddo pungente e dagli squardi indiscreti. Il centro di Restelica è una confusione di piccoli e ripidi vicoli che anche la macchina fatica a percorrere, di case-garages e uomini, per lo più anziani, intenti a combattere oziosamente il tempo. Le poche donne che si vedono, anch’esse in età matura, sono fuori dal paese, intente con i loro attrezzi a lavorare duramente nei campi. É abbastanza insolita la presenza di tutti questi anziani in Kosovo, visto che questo stato offre ovunque giovani presenze. Questo dato anagrafico, riscontrabile anche a Kruscevo, evidenzia un elemento significativo, ossia che in questo posto impervio e dimenticato da tutti, i più giovani sono scappati a cercar fortuna altrove, in Turchia, in Serbia o in Italia. Forte è infatti la diaspora gorana. L’Italia, in questo caso ricopre un primato positivo. Sono infatti all’incirca 1.400 i gorani, molti con le famiglie al seguito, che lavorano stabilmente in Italia, quasi tutti concentrati in poche città come Siena e dintorni e Treviso. Lo spirito solidale e la rete dei legami familiari ha portato il primo nucleo di gorani ad accogliere via via fratelli, cugini e conoscenti. Questi dati trovano conferma nella testimonianza di Agija Abidini, proprietario dell’unico caffè e punto di aggregazione di Kruscevo. Con un sorriso fiero e pulito si è presentato per servirmi al tavolo dicendomi: “Asi stanav”, ossia “buongiorno” in lingua gorana. Vedendomi sconcertato e perplesso, mi ha ripetuto, sempre col sorriso sulle labbra: “Dobar dan”, “Mire dita”, che è il buongiorno sia in serbo che in albanese. Gli ho dato il buongiorno in italiano e di lì è partita la nostra conversazione nella lingua di Dante. “Qui tutti conoscono l’italiano, io sono stato a Siena per sei mesi, ma poi sono ritornato” mi diceva. “Qui tutti sono partiti”, continuava stringendo le spalle, come a voler far presente il suo pentimento di esser tornato. Tra un servizio e l’altro ai tavoli del suo bar, ci parlavamo, io facevo domande sulla sua lingua, incuriosito dall’accento ed i termini che usava con i suoi amici-clienti, lui per chiedermi consigli sui visti per andare in Italia ancora così difficili da ottenere per lui e i suoi conoscenti. Oggi i gorani hanno una percezione assai pessimistica del proprio futuro e di sicuro, come sosteneva Sadat, 34 anni di Restelica, “l’indipendenza non è una cosa di cui andar fieri, non aiuta di certo a risolvere i nostri problemi”. Snobbati dal governo kosovaro, trascurati dalla Serbia, si trovano oggi, a distanza di 10 anni dallo scoppio della guerra etnica tra serbi e albanesi, in mezzo a dinamiche politiche e sociali delicate che hanno come comun denominatore l’appartenenza etnica. Sia i rom che i gorani, infatti, sono accusati da ampi strati della popolazione albanese di essere stati, prima e durante gli anni della guerra, alleati dei serbi, motivo per il quale sono finiti con l’essere facile bersaglio delle rivendicazioni albanesi. A detta di Sadat, muratore per 8 mesi in un paese vicino Siena, “il clima che si respira a Dragash è ben diverso da quello che l’occhio di un internazionale può catturare. Apparentemente tutto sembra tranquillo tra albanesi e gorani. Ma noi sappiamo bene che i Balcani non sono democratici. Ci aspettiamo delle ritorsioni da parte albanese. Aspettano che gli internazionali vadano via per cacciarci da qui”, diceva sicuro. Sebbene possa sembrare eccessiva tale argomentazione, un dato va rilevato. Le fratture lungo le linee etniche rimangono e sono molto più complesse rispetto a quello che la comunità internazionale ci ha sino ad ora semplicisticamente presentato, un problema, cioè, che va oltre la divisione tra serbi kosovari ed albanesi kosovari. Per quanto ci riguarda, quel punto di forza per l’Italia, sopra riportato, non è stato sfruttato pienamente. Dragash rimane l’ennesimo luogo nostalgico dell’Italia, la sua gente, il suo cibo, di quell’Italia che non ha fatto, però, ancora nulla per accrescere il suo ruolo qui, come altri paesi europei fanno invece da anni con un notevole ritorno a livello di immagine e non solo. Forte della sua popolarità e delle difficoltà economiche che caratterizzano la municipalità di Dragash, l’Italia avrebbe certo potuto svolgere negli anni un ruolo di guida e offrire anche ai gorani la stessa sensibilità mostrata ai serbi e gli albanesi del Kosovo.
articolo pubblicato sul sito di peacereporter.net e di peacelink.it

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