lunedì 14 gennaio 2008

IL KOSOVO CHE SI ECLISSA



La terra coltivabile sta progressivamente scomparendo. Ogni anno tra i 1000 e i 2000 ettari di terra coltivabile vanno perduti. Questo la dice lunga su come si è impostato lo sviluppo che si vuole fare intraprendere a questa regione: una crescita selvaggia, senza una chiara programmazione urbanistica è il Kosovo di oggi.

Mentre i media locali e internazionali hanno le orecchie puntate quasi esclusivamente sulle ultime elezioni in Kosovo e sulla risoluzione dello status di questa regione serba presso il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, un dato reale con il quale buona parte della popolazione kosovare si misura quotidianamente, riguarda un settore che fa poca notizia ma che e’ fondamentale per il futuro di questo territorio:l’agricoltura.
Il settore agricolo in Kosovo è molto importante per diversi motivi. Innanzitutto, è la principale attività economica che ricopre il 25% del PIL del Kosovo ed impiega all’incirca 145.000 persone, il 42% della forza lavoro, attestandosi a settore impiegatizio principale. Secondo gli ultimi dati del Ministero dell’Agricoltura del Kosovo, la popolazione agricola è stimata in circa il 62,5% del totale, quasi 1,25 milioni di persone, la più alta rispetto a paesi come Albania, Turchia, Macedonia, Slovenia, Croazia e Serbia.
Basterebbe prendere in considerazione le componenti socio-politico-economiche del contesto kosovaro per capire come la mancanza di investimenti pubblici e la sempre più limitata assistenza internazionale rendano attuale ed urgente un intervento massiccio in questo campo. Il paese in questione ha un elevato tasso di povertà, un elevatissimo tasso di disoccupazione, con punte che raggiungono anche il 70% in alcune aree, un settore industriale fino ad ora privilegiato che non ha portato i risultati desiderati. Secondo il Ministero dell’Agricoltura (2003) l’importazione dei soli prodotti agroalimentari sfiora il 24% delle importazioni totali per un valore di 288 milioni di euro, laddove le esportazioni si fermano ad appena 780 milioni di euro complessivi e di questi soltanto il 16% (per un valore di circa 110 milioni) riguardano prodotti agricoli e cibo. Questi dati, insieme alla scarsa volontà politica del governo kosovaro, fanno si che questa regione non riesca così a rispondere al proprio fabbisogno interno.
Per la terza volta consecutiva il Ministero dell’Agricoltura è stato affidato alla governance delle minoranze ( i partiti politici albanesi del Kosovo hanno cercato di accaparrarsi i Ministeri che ritenevano più importanti, lasciando agli altri quelli ritenuti di serie inferiore; ogni volta l’agricoltura è rimasta come moneta di scambio). La voce di budget è da sempre limitata e non ha mai ecceduto lo 0,5 % del budget del Kosovo. Per capire la gravità di questo dato, tralasciando l’ottimo esempio della Politica Agricola Comune Europea - che assorbe gran parte del PIL dei suoi stati membri - possiamo prendere in considerazione il caso del vicino Montenegro, che dedica molto meno spazio alle risorse agricole, ritenendo giustamente il turismo fonte di maggiore aspettative, eppure ha un budget, a livello di valore assoluto, tre volte maggiore di quello del Kosovo.
Ci si rendi conto allora che sino ad oggi e per tutti questi lunghi otto anni di incontrollato e sfrenato afflusso estero di moneta, l’agricoltura non solo non ha ricevuto le dovute attenzioni, ma è stata quasi considerata come un freno allo sviluppo, un fattore di arretratezza del quale sbarazzarsi in nome di una presunta modernizzazione. Di fronte a queste scelte politiche, la naturale reazione della popolazione rurale dopo le incessanti ma inutili richieste di maggiore supporto istituzionale all’agricoltura è stata quella dell’abbandono delle terre agricole e conseguentemente quella di riversarsi in città in cerca di qualcosa di più redditizio da fare. Non ci si può certo lamentare di chi lascia la terra incolta visto che in questo stato di cose, con una forte ignezione di denaro internazionale, costa meno comprare prodotti dall’estero che produrli localmente. Tali comportamenti sociali sono la naturale conseguenza dello sviluppo selvaggio e maldrestro che la classe politica locale, con l’avallo della Comunità Internazionale, ha voluto far intraprendere al kosovo.
La devastazione è sotto gli occhi di tutti, basta infatti vedere le oltre millecinquecento stazioni di benzina sparse in lungo e in largo per il Kosovo, le tantissime piscine, i campi da calcio e le numerose e troppo spesso inopportune strutture alberghiere che distruggono per sempre la terra coltivabile. Ogni anno infatti tra i mille e i duemila ettari di terra coltivabile vanno perduti.
Recenti dati della FAO mostrano che questa regione ha 342 mila ettari di terreno coltivabile, una media di appena lo 0,18 ettari pro-capite. D’accordo con gli standards di sviluppo, i paesi che hanno una media di 0,15 ettari pro-capite, sono considerati paesi che non possono provvedere da soli all’autoproduzione di prodotti agroalimentari. Il Kosovo sta così intraprendendo una strada senza uscita. Senza annoverare la responsabilità di Unmik e del governo locale, mi limito a sostenere che il settore agricolo non ha ricevuto in Kosovo le dovute attenzioni, mentre invece doveva ricoprire un ruolo più determinante nell’agenda politica ed essere quanto meno volano per l’economia del Kosovo e per il benessere della sua gente.
Se il non autosostentamento è stato frutto di scelte politiche errate, da ora in poi potrebbero essere fattori come la mancanza di terreno agricolo a relegare il Kosovo in uno stato di perenne dipendenza dalla Comunità Internazionale, con le dovute ripercussioni interne a livello socio- politico e la conseguente stagnazione economica.
Con un certo ritardo si è finalmente capito il danno sino ad ora fatto e, per lo meno sulla carta, l’agricoltura ha acquistato maggiore spessore. Oggi il Kosovo ha una legge per la protezione delle terre coltivabili, ma da sola non basta. Servono strutture ad hoc che ancora non ci sono. È stato inoltre creato un valido documento, l’Agriculture and Rural Development Plan 2007/13 un testo corposo, il primo di questo genere, non soltanto per il Kosovo, ma per l’intera regione. Si tratta di una strategia che presenta un quadro completo ed esaustivo di dati insieme alla programmazione prossima futura che riguarderà il settore agricolo kosovaro per il periodo 2007-13 e fa riferimento anche a come affrontare le carenze legislative ed istituzionali. Peccato però che questo bel progetto per essere attuato alla lettera richiede altri 200 milioni di euro.
Certamente è giunta l’ora che i politici locali capiscano che se anche l’agricoltura non crea rapidi e consistenti redditi da lavoro, è capace di creare stabilità ed occupazione e un solido e duraturo sviluppo socio-economico. Solo così il settore agricolo potrà finalmente avere il ruolo che gli spetta, quello di forza trainante, soprattutto in un contesto prettamente agricolo ed in transizione.

articolo pubblicato sul sito di peacereporter.net

KOSOVO: LA VOCE DEL CONIGLIO