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domenica 4 luglio 2010

RETROSCENA DIETRO LA BOMBA ESPLOSA A MITROVICA


L'ennesima protesta nel nord di Mitrovica ha lasciato a terra il morto. Non sono ancora chiare le dinamiche di quella che oggi viene definita " una misteriosa bomba" nè chi sia l'artefice, ma un dato certo e che una persona è  stata uccisa e altre undici sono rimaste ferite. Lo scopo della protesta, questa volta, era quello di esprimere tutta la contrarietà dei serbi alle decisioni del governo kosovaro, colpevole agli occhi dei manifestanti di voler aprire nel quartiere "cuscinetto" del Bosnian Mahalla un ufficio per i servizi sociali del governo centrale.  Non ci sono altri dettagli al riguardo, ma, a caldo, vorrei provare a ragionare su quei pochi elementi disponibili. Il Bosnian Mahalla è un quartiere multietnico di Mitrovica, una striscia di terra "grigia" contesa  tra serbi e albanesi. In questo limbo di terra le due principali etnie entrano in contatto, spesso fanno affari, alcune volte meno. Se si vuole misurare la tensione e gli stati febbrili delle loro relazioni nel paese, bisogna  misurare il livello di mercurio registrato nel Bosnian Mahalla. Accanto a serbi e albanesi, nel quartiere vivono montenegrini, rom, croati e bosniaci. Anche qualche gorano. Il Bosnian Mahalla è il quartiere simbolo della demarcazione territoriale. Quella serba è ben visibile. Qui, da diversi anni è stato istituito il quartiere generale del Ministero per il Kosovo e Methojia. Delle poche attività commerciali presenti una buona maggioranza sono albanesi. Non c'è traccia, invece, delle istituzioni del Kosovo. In questo quartiere di Mitrovica il governo di Pristina aveva pensato di istituire il primo ufficio del governo. Una scelta legittima e strategica del governo kosovaro che non ha tenuto in debita considerazione gli effetti che si sarebbero potuti verificare, consideratane la vischiosità del posto e la sua potenziale pericolosità. Mettere radici politico-istituzionali qui, al nord dell'Ibar, significa essere legittimati a governare anche in quella parte di Kosovo da sempre fuori il controllo albanese. Si può facilmente intuire che una proposta del genere, se attuata, farebbe crollare in un baleno i dieci anni di ferrea resistenza serba. Alla luce dei pochi elementi che ci sono, pare assurdo e illogico affermare che la mano albanese e filogovernativa abbia confezionato questa bomba. Quale beneficio ne avrebbero tratto gli albanesi? Nessuno. Alcuni distinguo bisogna farli con l'opposizione dell'enigmatico Haradinaj che sta tentando tutte le strade pur di indebolire l'acerrimo nemico, nonchè Presidente del Consiglio, Thaci. Quest'ultimo viene ripetutamente accusato dall'opposizione di aver lasciato il nord del Kosovo nelle mani dei serbi e le sue frontiere alla mercè dei trafficanti. L'istituzione di un ufficio  del governo nel nord del Kosovo sarebbe stato interpretato come un indiscusso successo di Thaci, rendendo, altresì, vane le aspettative del maggiore leader dell'opposizione. Tuttavia, una regia di Haradinaj e dei suoi uomini dientro questa bomba mi pare improbabile se si tiene conto sia delle dinamiche dell'accaduto che di un altro evento che in questi giorni sta interessando le diplomazie occidentali: l'idea di uno scambio di territori tra il Kosovo e la Serbia. Mentre le indagini stanno procedendo appare sempre più evidente che la bomba a mano sia esplosa nel mezzo dei circa mille manifestanti. Per questi motivi credo che i responsabili debbano essere ricercati da tutt'altra parte, tra quanti non sono disposti a cedere politicamente quest'ultimo baluardo serbo nel Kosovo e ne alimentano l'instabilità del paese.

sabato 24 gennaio 2009

LA VERA MULTIETNICITA' CHE NON HA CONFINI



Un colpo al cerchio, uno alla botte

Mi trovo pienamente in sintonia con l'articolo sotto riportato "Kosovo/Kfor: Incidenti a Nord "pilotati" da crimine organizzato". Si vocifera da molti anni e da vari ambienti della presunta e mai accertata colpevolezza del Kosovo per essere lo stato delle mafie, giusto per citare le parole di Limes. Il Kosovo viene dipinto come il crocevia principale dell'eroina afgana (da Riccardo Iacona) che giunge a fiumi tramite la Turchia, delle armi (da Limes) e della prostituzione. Questo colosso affaristico, che farebbe invidia anche alle potenti organizzazioni criminali di casa nostra, sarebbe retto dalla classe politica kosovara e dal suo braccio militare, l'UCK, restando fedeli alle osservazioni dei soggetti di cui sopra. Il quadro che hanno posto davanti ai lettori esiste ed ha come scenografia tutti questi elementi. E' un quadro fluido come gli affari che ci sono dietro, ma per niente nitido. Molto spesso viene difficile coglierne la tecnica e l'importanza di tutti gli elementi, ma come nel famoso ritratto ondulato di Dora Maar, guardandola in faccia, se ne ammira la potenza romantica del contenuto. Di tutto quello che i vari Iacona e Limes dicono, non c'è traccia alcuna. Nessun giornale locale, internazionale, rapporto della polizia locale o della Kfor ha mai riportato significativi riscontri con questa realtà, siano essi sequestri di droga (ho letto un solo articolo di un significativo quantitativo sequestrato al confine con la Macedonia), armi (limitati trafiletti sulla stampa locale kosovara) e prostituzione. Mi chiedo, pertanto, come sia possibile disegnare millimetricamente su cartine colorate (Limes) le strade di tutti questi traffici illeciti, senza riportare, con altrettanti documenti visivi, la veridicità delle notizie? Come sia possibile che, con una massiccia presenza di militari, 007, finanzieri, poliziotti e procuratori internazionali - che superano le 25000 unità - i criminali la facciano sempre franca, riescano a far passare sempre tutto senza farsi beccare con le mani nella marmellata? I fatti potrebbero essere due: i giornalisti dicono bufale e i militari fanno un ottimo lavoro, i militari sono in vacanza e i giornalisti riportano la verità. Battute di spirito a parte, credo che sotto sotto ci siano grossi guadagni dovuti a massicci traffici pilotati da buona parte dei politici del Kosovo e che le forze internazionali, tutte, per il quieto vivere preferiscono occuparsi d'altro [ma tutto ciò, come le osservazioni dei Iacona, Limes e altri, rimangono, in assenza di un riscontro pratico - video, foto, dossier- soltanto delle supposizioni]. Per carità, pattugliano, sorvegliano, documentano, ma mai sequestrano. Conoscono le esperienze di Ramush, persino dove ha i depositi di sigarette di contrabbando, ma nessuno fa nulla. A volte, come nel caso dei nostri finanzieri, sono impossibilitati a svolgere le stesse italiche funzioni: non possono sequestrare merce contraffatta e altro, perchè le regole di ingaggio - rules of engagement - non prevedono questo. I nostri finanzieri, sino ad ora, se non avranno comprato nulla nelle grandi catene del falso (ce ne sono due a pochi metri dal quartiere generale Kfor di Pristina) avranno sicuramente assistito alle grandi spese che militari e internazionali in genere (un buon 80% dei clienti) giornalmente, ma soprattutto durante i periodi festivi, si apprestano a fare. Scarpe Nike con i molloni, profumi di marca, borsette griffate all'ultima imitazione, magliette Lacoste, Ralph Lauren, pantaloni Zegna, Diesel, cd e dvd pirati, gli articoli più gettonati.
Riporto la scena di Melodia, uno dei due megastore, vista con i miei occhi innumerevoli volte, per far presente che molto spesso è il "complice" silenzio degli internazionali a fare del Kosovo una prospera isola felice per il crimine e il contrabbando. Comunque sia, nè l'eroina, nè la prostituzione nascono nel Kosovo, ma usufruiscono di queste falle del sistema per cambiare aspetto e presentarsi alle nostre frontiere sotto un look non sospetto. Sarò forse ingenuo, ma una domanda vorrei proprio farla: Non sarebbe logico che paesi molto più strutturati, prossimi ad entrare nell'Unione Europea o già dentro bloccassero il marcio che giunge sulle loro frontiere? L'eroina non potrebbe essere sequestrata in Turchia? o in Grecia? La prostituzione non potrebbe essere colpita in Romania o Bulgaria, prima di giungere in Kosovo? Questo paese, come riportano tutti, è uno sputo di terra circondato da molte realtà torbide e colluse con il contrabbando. Una di queste è la Serbia, che con la sua ex provincia e i suoi nemici di sempre, gli shqiptari, fanno ottimi affari. Ultimo quello sulla benzina e dei prodotti serbi. Samopravo sul suo blog spiega come funziona:
... le frontiere 1 e 31, che da febbraio di quest’anno sono allegramente aperte a tutti, grandi e piccoli. Ovviamente mi riferisco a grandi e piccoli traffici ileciti. Non a caso, le dogane sono stata la prima cosa ad essere bruciata dopo la dichiarazione di indipendenza...Quando si tratta di trafficare Serbi e Albanesi - si dice - vanno d’accordissimo. Fanno affaroni d’oro di questi tempi, soprattutto col traffico di benzina. Se volete spiego come funziona, non e’ difficile: porti una cisterna di benza dalla Serbia in Kosovo passando dal Nord. Non ha pagato le tasse in Serbia perche’ le tasse si pagano nel paese di destinazione (cioe’ il Kosovo, ricordate?). Solo che al Nord nel Kosovo non ci sono le dogane, quindi le tasse non le paghi manco li’. Quindi vendi la benza a Mitrovica Nord con saldi del 20% e fai un sacco di soldi. Vedrai, la gente fa la fila, viene anche da fuori citta’ apposta per quello. Oppure, meglio ancora, dopo che le hai fatto fare un giretto in Kosovo, la cisterna la re-importi in Serbia, sempre sfruttando le dogane che non ci sono. E li’ te la vendi come sopra. (sull'argomento vedi anche Rinascita Balcanica)

Kosovo/Kfor: Incidenti a Nord "pilotati" da crimine organizzato. Ragioni etniche di facciata: si protegge fiorente contrabbando (Apcom/ Nuova Europa)
Gettare ombra sull'operato della missione di giustizia e polizia dell'Unione europea (Eulex), di recente dispiegata in Kosovo, e impedirle di consolidare le fragilissime strutture doganali che favoriscono le fiorenti attività di contrabbando nell'area. Questo il vero obiettivo che si nasconderebbe dietro gli incidenti registrati ultimamente a Mitrovica, città a nord del Kosovo, roccaforte della minoranza serba: episodi pilotati dunque, che poco hanno a che vedere con lo scontro etnico tra serbi e albanesi. Una tesi, questa, che si è andata diffondendo tra molti analisti e osservatori locali ed internazionali e che trova ampio riscontro nell'intervista rilasciata al quotidiano di Pristina, Koha ditore, da Michel Yakovleff, comandante delle truppe Nato (Kfor) competenti del Kosovo settentrionale. Pur senza esplicitare che Eulex sia finita nel mirino di contrabbandieri "soprattutto di benzina", il militare ammette: "Ci sono giovani ragazzi che i criminali utilizzano per i loro personali scopi. Non c'è niente di inter-etnico e tutti concordano su questo". Il riferimento è agli episodi di violenza di cui è stata teatro Mitrovica nelle recenti settimane: un giovane serbo è stato accoltellato da due albanesi; tre giornalisti e sette pompieri sono rimasti feriti a margine di scontri interetnici; due serbi sono stati aggrediti da una ventina di albanesi; una bomba a mano è stata lanciata contro una casa di proprietà di un albanese. La rivalità tra serbi e albanesi sarebbe però solo di facciata: "L'intera regione - puntualizza Yakovleff - è un paradiso per i contrabbandieri, non solo a nord, ma anche a sud". Ciononostante, la situazione generale nel Kosovo settentrionale, di cui Yakovleff è direttamente competente, resta "abbastanza sicura" in quanto vi è "un focolaio circoscritto al centro di Mitrovica, mentre in altre località come Leposavic, Zubin Potok o Vucitrn non ci sono molti problemi". Mitrovica è la città simbolo delle fratture etniche dell'auto proclamato stato, spaccata com'è dal fiume Ibar: a nord i abitano i serbi, a sud gli albanesi. "Dal 30 dicembre scorso - informa il comandante Kfor - abbiamo incrementato la presenza militare nella città".

sabato 20 settembre 2008

LA GUERRA INFINITA DI IACONA E L'AVVOCATO DEL DIAVOLO


Ieri sera è andato in onda su Rai 3 un reportage sul Kosovo dal titolo “la guerra infinita”. Dal mio personale punto di vista è stato un pessimo servizio offerto ai telespettatori in quanto non completo, ma fazioso e irrispettoso nei confronti di tutti coloro che non sono riusciti a sfuggire alla violenza etnica perpetrata per tanti anni nei confronti dei kosovari di etnia albanese. Un'ingiustizia nei confronti dei telespettatori e della storia. Una premessa risulta però doverosa. Il blog sul quale scrivo cerca di parlare del Kosovo e di tutte le sue sfaccettature. Sono testimonianza i post scritti nel tempo. Ho parlato di rom e di serbi, ho criticato comportamenti immaturi di kosovari albanesi così come le misure politiche serbe che ho ritenuto sbagliate, ho parlato di integrazione e di criminali albanesi. Non voglio aggiungere altro su questo fronte. Non ho bisogno di giustificarmi comunque. In questo momento mi sento però di dover far luce su un'aspetto chiave della vicenda serbo-albanese che il servizio del giornalista Riccardo Iacona ha tenuto nascosto. Il reportage, poteva essere un ottima vetrina per raccontare l’ultimo capitolo delle guerre balcaniche con occhio serio, professionale ed equidistante, informando il pubblico sulle mostruosità commesse dai serbi, dagli albanesi e dai criminali che in guerra, in tutte, macinano profitti. È stata però raccontata con molta superficialità, scarsa conoscenza del territorio e mancanza di etica professionale una parte della storia, quella cioè del barbaro albanese passato per “criminale, terrorista, violento, corrotto ed un po’ contadinotto” che uccide senza scrupoli e per il solo odio etnico il serbo "buono, padre di famiglia, lavoratore, studente e di sani valori". Questo mi si è presentato davanti agli occhi. Non ho nulla da obiettare su tutta la seconda parte del servizio, sulla criminalità organizzata che c'è e governa il Kosovo, su Ramush & co, sull'UCK e i criminali che vi fanno parte, sulle morti misteriose di giornalisti e testimoni. E' stato messo in luce un aspetto interessante e che dovrebbe far riflettere tutti circa il destino del Kosovo, far riflettere sull'integralismo di alcune scuole yemenite prosperate negli ultimi anni e sul traffico di droga, armi e criminalità organizzata fin dentro la politica.
Altra cosa è la prima parte.

Questa è la premessa-presentazione che circolava un po' su tutti i siti di informazione:
Riccardo Iacona ricostruisce minuziosamente la terribile pulizia etnica di cui sono stati vittime i kosovari di etnia serba. Dal 1999, da quando la NATO ha vinto la guerra contro la Serbia e insieme alle Nazioni Unite ha preso il controllo del Kosovo, 250.000 serbi sono stati cacciati dal Kosovo solo per ragioni di odio etnico, solo perchè serbi. Le loro case sono state bruciate, le loro terre sono state devastate, le loro chiese sono state distrutte, anche le più antiche e preziose, quelle del 1300, i loro cimiteri sono stati profanati a colpi di pala e di piccone, interi quartieri sono stati messi a fuoco solo per impedire ai serbi che vivevano lì da centinaia di anni di poterci ritornare. Nonostante la presenza della Nato gruppi armati di kosovari di etnia albanese hanno messo in atto una delle più sistematiche e feroci pulizie etniche che l’Europa ha vissuto dopo la seconda guerra mondiale, distruggendo così l’idea stessa di un paese multietnico che pure era stata all’origine della campagna militare della NATO contro la Serbia. Ma c’e’ di più: in questi nove anni il Kosovo e’ diventato la porta principale di ingresso della droga nel nostro Paese e in tutta Europa; e, sempre nonostante la presenza della Nato e delle Nazioni Unite il Kosovo si e’ trasformato in una piccola Colombia, un Narcostato nel cuore dell’Europa. I numeri sono impressionanti: l’80 per cento di tutta la droga prodotta in Afghanistan per entrare in Europa passa dalle valli e dalle montagne del Kosovo “liberato”. Le enormi ricchezze accumulate con il traffico della droga hanno reso potenti all’estero e in patria i clan mafiosi kosovaro albanesi, capaci di inquinare in profondità i partiti che oggi guidano il Kosovo, gettando così un enorme punto interrogativo sulla natura democratica del nuovo Stato nato il 17 febbraio di quest’anno con un atto unilaterale. Ma le strade aperte della droga e delle armi che la Nato non e’ riuscita in questi nove anni di protettorato a chiudere, sono anche quelle da cui passa il terrorismo internazionale di matrice islamica".

La trovo raccapricciante. Iacona, nella prima parte, è partito per raccontarci l'atroce storia del conflitto kosovaro escludendo a priori una parte consistente dei fatti. Per i serbi la loro storia recente inizia a marzo del '99 (il 26 hanno inizio i bombardamenti della Nato), per gli albanesi, invece, qualche anno prima. Dispiace constatare che anche per molti "quotati" giornalisti italiani - Iacona per sfortuna non è il solo- i problemi del Kosovo iniziano subito dopo i bombardamenti.....Quasi non facesse parte della loro etica professionale raccontare (e ricordare ai tanti) le mostruosità degli anni '90 commesse in Kosovo. Perchè la storia recente inizia da lì!! Non si può iniziare a descrivere un evento incominciando la narrazione già da metà della storia, saltando tutta la prima parte, caro dottor Iacona!!! Questo è quello che ha fatto, facendo un torto a tutti noi spettatori, oltre che alla storia. Il macabro disegno criminale serbo (di questo si è trattato) perpetrato ai danni della popolazione di etnia albanese negli anni precedenti, andava raccontata con la stessa minuziosità con la quale è stata descritta la violenza albanese ai danni dei serbi (vedi puntata di ieri). Nessun cenno, nessuno. Come mai questo silenzio? Noi telespettatori paganti del servizio pubblico abbiamo mandato con i nostri soldi un professionista in giro per quasi un anno, dal Kosovo alla Macedonia, dalla Turchia all’Afghanistan, per raccontarci poi “fregnacce” come dicono ironicamente a Roma.
Un approccio giornalistico, già viziato fin dalla pubblicizzazione dell’evento e che è venuto fuori in pompa magna durante il servizio. Iacona ha mostrato tanta antipatia per i kosovari albanesi e tanta humana pietas per le povere vedove serbe. Ho notato, e mi è stata data conferma da vari amici che hanno visto il servizio, come la voce tradotta dal serbo in italiano aveva un tono commosso, ed assumeva aspetti quasi arroganti quando la stessa riportava la testimonianza dell'albanese. All’ottimo maquillage ben riuscito, Iacona ha anche pensato di riportare dati inesatti e falsi. È bene ricordare ai pochi che leggeranno questo post, anche se il danno ormai è stato fatto, che Gracanica non è una prigione a cielo aperto, dove vive l'estrema povertà serba, dove i serbi vivono sotto minaccia quotidiana, dove ci sono soltanto 4 negozietti serbi improvvisati, e che le pensioni da Belgrado (per i soli cittadini serbi) non sono da fame, che a Pristina non vivono 40 serbi e a Obliq solo 2 anziani e che sia una vergogna che una chiesa sia un obiettivo militare da difendere!........Lo chieda ai serbi che fine hanno fatto fare alle moschee, a quella che si trovava a Mitrovica a ridosso del ponte sull’Ibar nel lato nord????, lo faccia sapere ai telespettatori..... Mi auguro che presto ci possa essere una successiva puntata che possa descrivere per bene quanto successo prima.
Alla fine non ho prestato fede alla premessa di sopra e ho finito per fare l'avvocato del diavolo.

Tutte le foto sono di Halit Barani scattate in qualità di Direttore del Centro per i Diritti Umani e le Libertà - Ufficio di Mitrovica. Barani, con scrupolo e puntualità è riuscito a documentare le violenze commesse durante gli anni novanta in Kosovo.

venerdì 4 aprile 2008

IL RITORNO DI RAMUSH HARADINAJ

Il 3 aprile il tribunale speciale dell’Aia per i crimini nella ex Jugoslavia ha assolto Ramush Haradinaj dalle accuse di crimini di guerra. Ecco come il Kosovo ha festeggiato

PRISTINA. Altra giornata movimentata quella di ieri (3 aprile). Orecchie tutte puntate sul Tribunale Penale Internazionale dell’Aia che sta indagando per i crimini commessi nell’ex Yugoslavia. Quando, intorno alle 16.40, si apprende la buona notizia dell’innocenza dell’allora comandante dell’Esercito di Liberazione del Kosovo (UCK), Ramush Haradinaj, il tam tam passa così velocemente che già dalle 17.00, lungo la centralissima Nana Teresa nel tratto di strada tra la sede dell’AAK ( Alleanza per il Kosovo), il partito di Haradinaj, e il Grand Hotel di Pristina, tanta gente si è riversata per strada a festeggiare, tra i tanti anche supporters del movimento di autodeterminazione, Vetevendosje. La sentenza definitiva, da parte del ICTY, il Tribunale che fino a poco tempo fa aveva a capo Carla del Ponte, non ha ritenuto colpevoli Haradinaj ed il suo ex braccio destro Balaj. Una pena di sei anni di detenzione è stata invece inflitta a Brahimaj, altro esponente dell’UCK e parente stretto di Ramush, per aver personalemte preso parte a torture e commesso atti di crudeltà. Molte le macchine che sventolano le vecchie bandiere, con la classica aquila albanese. I fastidiosi rumori di clacson provenienti da macchine isolate presto diventano un unico suono che diffondendosi nell’aria fanno da sfondo a quella che, a detta di Adnan, è l’ennesima vittoria per gli albanesi del Kosovo: il ritorno del Comandante. C’è chi, come Barlet Berisha, insegnante di Lingua Inglese presso un istituto privato, preferisce invece mostrarsi più ironico e tagliente. Alla domanda su cosa pensa dell’evento di ieri con una vena di umorismo fa finta di non capire, non sapendo bene a cosa mi riferissi. Ieri, dice, ne sono successi due di grandi eventi. L’entrata dell’Albania nella NATO e la liberazione di Ramush. “La prima notizia è di gran lunga più interessante della seconda” sentenzia. “Il suo ritorno da protagonista nella politica kosovara non credo proprio possa essere una notizia di cui andar fieri, credo che le cose cambieranno e non in meglio”, conclude. Anche a Peja, nucleo forte per il partito di Ramush, stando alle parole di Besnik, gli spiriti erano “high” ieri e molta gente ha festeggiato per strada a ritmo di musica popolare e canti patriottici. Nelle centralissime vie della cittadina, proprio a ridosso del torrente che la attraversa, si sono uditi molti spari. “Questo è il classico modo di festeggiare i grandi eventi” mi dice. “Sono molto contento per questa notizia. Ho cantato e ballato ieri sera”. Anche lui, come molti qui in Kosovo, convinto che il Comandante non sia stato un santo è certo, però, del fatto che con questa sentenza si è finalmente voluto affermare che la guerra condotta dall’UCK sia stata una guerra per la liberazione e non un violento attacco contro i serbi kosovari. Com’era prevedibile, la notizia è giunta tempestiva nel quartier generale di Haradinaj. Dalla sua abitazione-fortezza sulla collinetta di Dragodan sovrastante la città di Pristina, si sono uditi a più riprese spari in aria, poi anche petardi. Il suono secco degli spari non sorprende la città, li avverte che la festa può iniziare. È così è stato. Aria di festa si respirava in tante parti del Kosovo. Differente quella a Belgrado. È ormai risaputo che una buona notizia per Pristina non può esserlo altrettanto per Belgrado, e viceversa. L’innocenza di Haradinaj è stata un’altra doccia fredda per la Serbia. Tale evento è arrivato a conclusione di lunghi anni di indagini processuali, che portarono a suo tempo l’allora giovane Primo Ministro a dimettersi spontaneamente dal suo incarico per consegnarsi alla giustizia. Sebbene si dice che il Comandante non abbia mai ostacolato in alcun modo l’iter processuale, è doveroso far presente che due determinanti super-test albanesi hanno perso la vita in circostanze misteriose, l’uno vittima di un incidente stradale, l’altro cadendo accidentalmente da un palazzo. Comunque sia, questa notizia è un intermezzo tra gli eventi successi da un mese e mezzo a questa parte -dall’indipendenza in poi- e quelli che succederanno da oggi al prossimo mese e mezzo, per l’esattezza fino al giorno dopo le elezioni politiche in Serbia dell’ 11 maggio. All’inizio di questo secondo atto ci sono le tensioni ai vertici Unmik ed in particolare la disputa tra il rappresentante Unmik a Mitrovica ed i vertici Unmik in Kosovo, l’arrivo di ingenti aiuti umanitari dalla Russia alle enclaves serbe via Belgrado e le relative pressioni a cui Unmik sarà soggetta, ed infine la decisione ultima e finale, da parte di Unmik stessa, su come procedere per le elezioni serbe in Kosovo, ossia se consentire o meno lo svolgimento delle stesse sul territorio kosovaro. È chiaro sin da ora che qualunque posizione Unmik prenderà in merito ci saranno delle inevitabili ripercussioni in Serbia e nella sua ex provincia. Comunque questo riguarderà il capitolo ancora tutto da scrivere. Oggi dobbiamo ancora assistere al momento più alto dell’intermezzo: l’arrivo di Haradinaj all’Aeroporto di Pristina previsto per le 17.00 dove saranno in tanti ad accoglierlo. É stata spostata lì la cerimonia che in un primo momento si doveva tenere, nella piazzetta adiacente il Grand Hotel, difronte alla statua di Zahir Pajaziti (1962-1997), un combattente dell’UCK della zona di Llapi, considerato come uno dei più grandi patrioti della guerra del Kosovo. Ai suoi piedi, Haradinaj doveva riporre dei fiori, ma il programma ha subito modifiche. Presto il suo villaggio natale, Gllogjan, nella municipalità di Decani, gli riserverà una grande festa per il suo ritorno. L’eroe combattente, come lo chiamano tutti qui, è tornato.

articolo pubblicato sul sito di carta.org e di peacelink.it

KOSOVO: LA VOCE DEL CONIGLIO