Albin Kurti mi conferma la sua disponibilità e alle 15 in punto lo raggiungo presso la nuova sede di Vetevendosje a pochi passi dal parlamento. Nell'ultimo anno sono cambiate un po' di cose. Molte sono rimaste le stesse. La struttura di tre piani è interamente occupata dagli attivisti del movimento ed è adesso più consona ad un movimento che alle ultime elezioni politiche ha raggiunto risultati significativi. L'anima del movimento e la semplicità del suo leader sono rimasti immutati. Ci tiene a precisarlo Albin Kurti, e come sempre lo fa con molta chiarezza: "Vetevendosje era ed è un movimento politico. Il carattere del movimento non è cambiato, e questo per due ragioni principali, in primo luogo perché il Kosovo non è ancora una democrazia compiuta e poi perché noi non siamo soddisfatti con quel tipo di democrazia che è solo rappresentativa. Vetevendosje intende la democrazia come partecipazione diretta attraverso proteste, dimostrazioni, referendum e azioni simboliche. Vetevendosje non ha cambiato carattere, ma soltanto la sua strategia. Ai vecchi metodi ne abbiamo aggiunti di nuovi. Accanto alle rivolte e alle proteste adesso usiamo le vie istituzionali per raggiungere gli obiettivi di sempre. Noi vogliamo il Kosovo sovrano e non soltanto indipendente e questo implica il rafforzamento delle strutture governative, una maggiore democrazia nelle istituzioni ed un sano sviluppo economico". Vetevendosje è adesso un partito politico. Alle elezioni del 12 dicembre si è misurato per la prima volta con il giudizio degli elettori e il risultato è stato sorprendente. Vetevendosje è diventato il terzo partito del Kosovo con il 13% circa delle preferenze e il suo gruppo conta oggi 14 deputati. Alle ultime elezioni politiche il partito ha condotto una campagna elettorale molto intelligente, sfruttando le prime avvisaglie della protesta sociale soprattutto da parte del ceto giovanile che si è sentito, e si sente, sempre meno rappresentato da una classe politica che a tutt'oggi non si è confrontata con i veri problemi economico-sociali del paese, ma che è rimasta ancorata ai vecchi problemi della sovranità e dell'indipendenza. La strategia di Albin e soci ha portato a grossi risultati in termini di consenso da parte giovanile, andando a pescare voti nel bacino elettorale di tutti i partiti. Questo, e non piuttosto lo spirito nazionalista del movimento, è stato il successo principale di Vetevendosje che è riuscito a cavalcare lo scontento di larghe fasce della popolazione. Adesso avrà davanti a sé una prova essenziale, perché una cosa è interpretare e cavalcare lo scontento sociale, altra cosa sarà tradurre questi temi in vere e proprie proposte politiche, anche di natura legislativa.
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martedì 12 aprile 2011
lunedì 4 aprile 2011
KOSOVO - HUMAN DEVELOPMENT REPORT 2010
E' da poco uscito l'ultimo report da parte dell'UNDP-Kosovo. Quest'anno si parla di inclusione sociale. In termini semplici, per esclusione sociale si intende la pratica di negare ad alcuni gruppi il diritto di contribuire economicamente, politicamente e socialmente alla crescita della loro società, limitando in tal modo il potenziale della società stessa. L'esclusione può avvenire deliberatamente, attraverso la discriminazione istituzionale, o involontariamente, attraverso pratiche culturali che di fatto limitano i diritti e le libertà individuali. Qualunque sia la causa, l'effetto è sempre lo stesso: autolimitazione e un iniquo processo di sviluppo. L'ampiezza dell'emarginazione all'interno della società kosovara è forse il dato più rilevante della relazione. Lungi dall'essere un fenomeno di minoranza, l'esclusione -economica, dai servizi sociali e di impegno civile- è una condizione vissuta da una vasta gamma di persone in varie dimensioni della vita quotidiana. Quella dell'esclusione è una sfida cruciale per lo sviluppo del Kosovo e di ogni paese. Il rapporto identifica nel dettaglio i gruppi sociali che più di altri risentono dell'esclusione sociale e ne sono vittime. Queste fette di popolazione rischiano di diventare invisibili se non si cambia rotta e non si inverte la scala delle priorità politiche. Nella lunga lista degli esclusi vanno annoverati: i disoccupati di lunga durata, i bambini svantaggiati, i giovani, le donne delle aree rurali, i Rom, Ashkali ed Egiziani (RAE) e tutte le persone con bisogni speciali. Davanti a se il Kosovo ha una serie di sfide sociali ed economiche da affrontare e queste riguardano:
• Stagnazione economica: il PIL pro capite del Kosovo è attualmente il più basso d'Europa. Anche se il Fondo Monetario Internazionale (FMI) ha previsto che crescerà del 3% per i prossimi sei anni (passando dai 1.766 ai 2.360 euro) il Kosovo ha ancora molto da recuperare in termini di equa distribuzione dei ricavi all'interno della sua società;
• Povertà diffusa: circa il 45% (poco più di due kosovari su cinque) vivono sotto la soglia della povertà e uno su cinque non è in grado di soddisfare i propri bisogni di base. La povertà è più elevata tra coloro che vivono in grandi famiglie - che spesso hanno molti membri disoccupati e livelli di istruzione relativamente più bassi. Coloro che vivono in povertà sono anche geograficamente concentrati nelle zone rurali e in alcune regioni del Kosovo, come Prizren e Gjilan/Gnjilane;
• Elevati livelli di disoccupazione: si stima che il 45% della forza lavoro è disoccupata, con tassi di disoccupazione per i giovani che superano il 73% e la disoccupazione femminile all'81%. Il mercato del lavoro ogni anno si gonfia in media di 30.000 giovani in cerca di lavoro, ma con poche opportunità a loro disposizione;
• Scarsa qualità della vita: sulla salute e gli standard educativi i cittadini kosovari sono in forte ritardo rispetto ai loro vicini europei. Gli indicatori sanitari in Kosovo sono tra i peggiori dell'Europa. Il tasso di mortalità infantile è di18-49 per 1.000 e sotto i cinque anni la mortalità infantile è di 35-40 per 1.000 nati vivi, rappresentando così il dato più alto in Europa. Anche l'istruzione è molto variabile e selettiva - in particolare per i bambini con qualsiasi forma di disabilità fisica o di apprendimento e l'educazione prescolare è praticamente inesistente al di fuori di Pristina;
• Discriminazione: le minoranze etniche del Kosovo sono quelle che subiscono l'impatto peggiore delle sfide socio-economico del Kosovo. In particolare, le condizioni dei RAE del Kosovo sono abbastanza vicini a quelli che si trovano nei paesi meno sviluppati. Il livello di disoccupazione per la comunità RAE, dove il 75% dei giovani maschi di 15-24 anni sono disoccupati, per esempio, è molto superiore alla media del Kosovo.
Il fatto davvero strano è che dal 2000 in poi la comunità internazionale ha investito più risorse pro-capite in Kosovo che in qualsiasi altra arena di post conflitto. L'Unione europea, principale donatore del Kosovo, ha annunciato che per i prossimi tre anni destinerà per il Kosovo molti più fondi che in qualsiasi altro posto del mondo.
Già la sola l'Unione europea ha erogato quasi un miliardo di euro per il Kosovo tra il 2000 e il 2006 attraverso il programma CARDS (assistenza comunitaria alla ricostruzione, lo sviluppo e la stabilizzazione) e dal 2007 altri 426 milioni di euro attraverso lo strumento di assistenza di preadesione (IPA). Poi giù di lì tutti gli altri milioni di euro del governo americano, delle organizzazioni internazionali e dei vari paesi europei. Una marea di fondi che negli anni sono serviti alla ricostruzione del paese e al rafforzamento delle istituzioni democratiche per armonizzarle con quelle europee. Gli scarsi risultati, però, sono sotto gli occhi di tutti. Il processo di adesione all'UE non è una passeggiata, è un iter estremamente complesso che richiede un rimodellamento vasto dei quadri normativi, il rispetto di standards molto elevati di governance e di cooperazione regionale. Nonostante la massiccia presenza di istituzioni internazionali e di ingenti fondi, la strada verso l'Europa è ancora molto lunga.
L'intero documento in lingua inglese
giovedì 4 febbraio 2010
DIPLOMAZIA DEL CAMPO
La situazione a Mitrovica, rispetto al resto delle cittadine abitate dai serbi a sud del fiume Ibar, è ben diversa e più complicata, anche perchè Belgrado mantiene delle proprie strutture di governo parallele; motivo per il quale non si è potuto votare nelle recenti elezioni locali. Qui serve una "diplomazia del campo", suggerisce l'ambasciatore italiano a Pristina, Michael Giffoni, in veste di political facilitator e di promotore del dialogo con le comunità nel nord del paese balcanico: una diplomazia, cioè, che "smitizzi" la definizione dello status, abbandoni l'ideologia e si concentri sulle necessità concrete della popolazione. "A Gracanica, per esempio, sotolinea l'ambasciatore, la comunità serba ha capito che non solo è meglio partecipare alla vita politica, ma anche indirizzarla. Per questo qui ha votato più del 30% dei serbi''
giovedì 5 novembre 2009
UNA FINESTRA SULLA CONFERENZA INTERNAZIONALE "PER UNO SVILUPPO IN PARNERSHIP ITALIA-KOSOVO"
Si è conclusa ieri la prima delle tre giornate organizzate da 7 ONG italiane impegnate da anni sul territorio kosovaro, iniziativa promossa con il contributo del MAE - Direzione Generale per la Cooperazione allo Sviluppo e il sostegno dell'Unità Tecnica Locale di Serbia, Montenegro e Kosovo. In Italia, paese in cui i Balcani ed in particolare il Kosovo sono notiziabili solo quando scorre il sangue o nell'aria c'è l'odore di polvere da sparo, un'iniziativa come quella in corso ricopre, senza dubbio, una posizione di grande valenza culturale per lo spessore dei relatori coinvolti e gli argomenti oggetto di analisi. Si tratta di una conferenza che, per quanto riguarda il "caso Kosovo", non ha precedenti e aprirà sicuramente percorsi nuovi nel modo di intendere la cooperazione allo sviluppo. Tra i partecipanti alle tavole rotonde previste all'interno della Conferenza ci sono i quadri istituzionali e personalità significative di entrambi i paesi, esperti e operatori delle ONG coinvolte nel progetto, i referenti più attivi che nel corso degli anni hanno lavorato dall'Italia e dal Kosovo sulle tematiche della cooperazione e dello sviluppo. Il risultato di questo interessante progetto di Educazione allo Sviluppo è stato la pubblicazione di un volume in cui sono raccolti i risultati dello studio-ricerca Paese, con tanto di riferimenti normativi, dati statistici, indicatori di analisi e di valutazione in cinque settori (minori, educazione, dialogo interetnico, agricoltura e microcredito) in cui si è maggiormente concentrata l'attività della Cooperazione Italiana in Kosovo. Il libro raccoglie oltre alle ricerche anche le esperienze delle Ong italiane attraverso i diversi progetti implementati sul campo e le buone pratiche da loro applicate; una mappatura aggiornata sul Paese, una finestra importante per chi vuole conoscere il Kosovo di oggi.
Per informazioni:
ONG Prodocs,
via Etruria 14 - 00183 Roma
+39 06 77072773
prodocs@prodocs.org , www.prodocs.org
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martedì 8 settembre 2009
HONEYMOONS

Titolo dolce, Honeymoons, dedicato alla luna di miele, ma durissimo nel suo svolgimento: è l'ultimo film di Goran Paskaljevic, applaudito al Cinema di Venezia all'interno delle Giornate degli Autori. Paskaljevic grazie alla sua forza artistica, al rispetto che gode in tutta l'area balcanica oltre che internazionale, è riuscito a realizzare per la prima volta nella storia una coproduzione serbo albanese. Con la sceneggiatura scritta a quattro mani dallo stesso regista insieme con Genc Permeti, Honeymoons è la dimostrazione di come il cinema può raggiungere risultati impossibili alla politica, superare confini invalicabili. Il film non è altro che la storia sul paradosso di frontiere che sembrano spalancate e sono invece trappole micidiali, che siano quella ungherese o il porto di Bari. La vicenda si svolge ai giorni nostri tra Albania, Serbia, Italia e Ungheria e segue le storie di due giovani coppie che decidono di lasciare i loro rispettivi paesi per inseguire una vita migliore in Europa. La coppia albanese vuole lasciare il paese sui monti con il suo rigido codice che non è solo una tradizione, ma legge e riesce a imbarcarsi. Giunti in Italia, per dare forma ai loro rispettivi sogni, trovano tanti ostacoli. L'arrivo al porto di Bari è infatti di imprevista durezza. Lo stesso destino attende la coppia serba che entra nell’Unione Europea attraverso il confine ungherese. Per una serie di casi sfortunati, non riescono, almeno per il momento, a coronare i loro sogni. La parola pericolosa che compare sui passaporti è Kosovo. Le strade delle due coppie si intrecceranno, ma solo per un breve momento... In Kosovo sono stati uccisi due soldati italiani dell'ONU e chiunque provenga dall'area è considerato un sospetto anche se con i documenti in regola.
www.honeymoons-movie.com
lunedì 31 agosto 2009
KOSOVO, INCERTEZZE E SOGNI: IL VIDEO
Anche se con ritardo, sono riuscito a caricare il video realizzato in occasione della mostra itinerante sul Kosovo, realizzato insieme al fotografo Ignacio Coccia, con il contributo di Stefano Artisunch che ha prestato la sua voce e il supporto della casa editrice Paoletti D'Isidori Capponi di Ascoli Piceno.
Incertezze e sogni, paiono essere agli autori due sostantivi che maggiormente racchiudono il sentire comune delle due principali etnie che compongono il Kosovo, da decenni in conflitto tra loro. Tra il bianco della neve e il nero delle ombre viene colta e quindi proposta al pubblico la luce dei volti e dei paesaggi desolati tra Pec e Pristina, Mitrovica e Gorazdevac. Viene messa a fuoco una quotidianità fatta di lavoro, casa, spiritualità, rispetto e culto delle tradizioni ancora sentite. E’ forse la quotidianità vissuta fino in fondo a fare da antidoto, pur se fugacemente, alle malinconie, alle paure e ai sogni che scaturiscono dall’incertezza per il futuro di questo nuovo stato. Ma potrebbe essere invece proprio la speranza l'antidoto più efficace. La luce della speranza e della rinascita proprio come quella che si percepisce nell'aria ogni volta che un inverno finisce.
giovedì 4 giugno 2009
KOSOVO: NUOVO MEMBRO DELLA BANCA MONDIALE
Il Kosovo, oggi 4 giugno, è stato ammesso come stato membro all'interno della Banca Mondiale. Questa nuova adesione che si aggiunge alla precedente accettazione del Kosovo nel Fondo Monetario Internazionale rappresenta, sicuramente, un'altra ghiotta opportunità per il Kosovo, un'altro colpo secco per la Serbia, da oltre un anno impegnata nella battaglia diplomatica per frenare ogni successo e riconoscimento internazionale a quella che considera la sua provincia secessionista.
"Abbiamo ricevuto oggi la conferma del fatto che il board della Banca Mondiale ha approvato una risoluzione circa l'ammissione della Repubblica del Kosovo in questa organizzazione", ha dichiarato il primo ministro Hashim Thaci. "Questo è un successo per il Kosovo, le sue istituzioni e i suoi cittadini", ha proseguito Thaci da Pristina. Difficile contraddire quest'ultime parole del primo ministro e sottovalutare l'opportunità che il Kosovo ha dinanzi a se, soprattutto perchè con l'entrata nella Banca mondiale [che ha nel suo dna lo sviluppo dei paesi membri facilitando l'investimento di capitale a scopi produttivi e promuovendo l'investimento privato estero] ci saranno maggiori alternative, più possibilità e più aiuti economici. Ci si augura che con l'ammissione nella Banca aumenti, insieme alla fiducia degli investitori internazionali, la coesione interna tra le due principali parti in causa.
"Abbiamo ricevuto oggi la conferma del fatto che il board della Banca Mondiale ha approvato una risoluzione circa l'ammissione della Repubblica del Kosovo in questa organizzazione", ha dichiarato il primo ministro Hashim Thaci. "Questo è un successo per il Kosovo, le sue istituzioni e i suoi cittadini", ha proseguito Thaci da Pristina. Difficile contraddire quest'ultime parole del primo ministro e sottovalutare l'opportunità che il Kosovo ha dinanzi a se, soprattutto perchè con l'entrata nella Banca mondiale [che ha nel suo dna lo sviluppo dei paesi membri facilitando l'investimento di capitale a scopi produttivi e promuovendo l'investimento privato estero] ci saranno maggiori alternative, più possibilità e più aiuti economici. Ci si augura che con l'ammissione nella Banca aumenti, insieme alla fiducia degli investitori internazionali, la coesione interna tra le due principali parti in causa.
domenica 10 maggio 2009
IL KOSOVO ENTRA NEL FONDO MONETARIO INTERNAZIONALE

Il Fondo monetario internazionale ha accettato di fare entrare nella sua grande casa, a Washington, il Kosovo. L'annuncio di venerdì 8 maggio è stato accolto con entusiasmo a Pristina e si può facilmente intuirne il motivo: i membri del FMI hanno accesso a milioni di dollari in prestiti. Una cosa è certa, Il Fondo monetario non ha mai regalato i soldi a nessuno. I prestiti concessi ai vari stati, a condizioni molto ragionevoli, sono vincolati al chiaro programma di sviluppo che il paese candidato presenta al Fondo monetario. Molto spesso tali azioni di sviluppo, condivisibili o meno, sono quasi sempre dettate dal Fondo stesso. Questo dovrebbe garantire, nel caso specifico del Kosovo, un miglioramento negli indicatori economici ed insieme la mancanza di sperpero di denaro. Bisogna adesso aspettare la firma ufficiale dei documenti di adesione per poter considerare il Kosovo il 186esimo stato membro. Ovviamente anche per questa battaglia, sia la Serbia che la Russia si sono battute per poter bloccare la membership del Kosovo. Ma in questo caso, diversamente da quanto avviene per le decisioni del Consiglio di sicurezza dell'ONU [dove i suoi membri permanenti hanno in mano l'arma del veto] solo gli Stati Uniti hanno un effettivo potere di veto sulle decisioni del FMI. Questa differenza non da poco ha permesso, oggi, al Kosovo di accedere, secondo quanto previsto dal Piano Ahtisaari, al Fondo monetario. Il passo successivo sarà l'ingresso nella Banca Mondiale.
sabato 24 gennaio 2009
LA VERA MULTIETNICITA' CHE NON HA CONFINI

Un colpo al cerchio, uno alla botte
Mi trovo pienamente in sintonia con l'articolo sotto riportato "Kosovo/Kfor: Incidenti a Nord "pilotati" da crimine organizzato". Si vocifera da molti anni e da vari ambienti della presunta e mai accertata colpevolezza del Kosovo per essere lo stato delle mafie, giusto per citare le parole di Limes. Il Kosovo viene dipinto come il crocevia principale dell'eroina afgana (da Riccardo Iacona) che giunge a fiumi tramite la Turchia, delle armi (da Limes) e della prostituzione. Questo colosso affaristico, che farebbe invidia anche alle potenti organizzazioni criminali di casa nostra, sarebbe retto dalla classe politica kosovara e dal suo braccio militare, l'UCK, restando fedeli alle osservazioni dei soggetti di cui sopra. Il quadro che hanno posto davanti ai lettori esiste ed ha come scenografia tutti questi elementi. E' un quadro fluido come gli affari che ci sono dietro, ma per niente nitido. Molto spesso viene difficile coglierne la tecnica e l'importanza di tutti gli elementi, ma come nel famoso ritratto ondulato di Dora Maar, guardandola in faccia, se ne ammira la potenza romantica del contenuto. Di tutto quello che i vari Iacona e Limes dicono, non c'è traccia alcuna. Nessun giornale locale, internazionale, rapporto della polizia locale o della Kfor ha mai riportato significativi riscontri con questa realtà, siano essi sequestri di droga (ho letto un solo articolo di un significativo quantitativo sequestrato al confine con la Macedonia), armi (limitati trafiletti sulla stampa locale kosovara) e prostituzione. Mi chiedo, pertanto, come sia possibile disegnare millimetricamente su cartine colorate (Limes) le strade di tutti questi traffici illeciti, senza riportare, con altrettanti documenti visivi, la veridicità delle notizie? Come sia possibile che, con una massiccia presenza di militari, 007, finanzieri, poliziotti e procuratori internazionali - che superano le 25000 unità - i criminali la facciano sempre franca, riescano a far passare sempre tutto senza farsi beccare con le mani nella marmellata? I fatti potrebbero essere due: i giornalisti dicono bufale e i militari fanno un ottimo lavoro, i militari sono in vacanza e i giornalisti riportano la verità. Battute di spirito a parte, credo che sotto sotto ci siano grossi guadagni dovuti a massicci traffici pilotati da buona parte dei politici del Kosovo e che le forze internazionali, tutte, per il quieto vivere preferiscono occuparsi d'altro [ma tutto ciò, come le osservazioni dei Iacona, Limes e altri, rimangono, in assenza di un riscontro pratico - video, foto, dossier- soltanto delle supposizioni]. Per carità, pattugliano, sorvegliano, documentano, ma mai sequestrano. Conoscono le esperienze di Ramush, persino dove ha i depositi di sigarette di contrabbando, ma nessuno fa nulla. A volte, come nel caso dei nostri finanzieri, sono impossibilitati a svolgere le stesse italiche funzioni: non possono sequestrare merce contraffatta e altro, perchè le regole di ingaggio - rules of engagement - non prevedono questo. I nostri finanzieri, sino ad ora, se non avranno comprato nulla nelle grandi catene del falso (ce ne sono due a pochi metri dal quartiere generale Kfor di Pristina) avranno sicuramente assistito alle grandi spese che militari e internazionali in genere (un buon 80% dei clienti) giornalmente, ma soprattutto durante i periodi festivi, si apprestano a fare. Scarpe Nike con i molloni, profumi di marca, borsette griffate all'ultima imitazione, magliette Lacoste, Ralph Lauren, pantaloni Zegna, Diesel, cd e dvd pirati, gli articoli più gettonati.
Riporto la scena di Melodia, uno dei due megastore, vista con i miei occhi innumerevoli volte, per far presente che molto spesso è il "complice" silenzio degli internazionali a fare del Kosovo una prospera isola felice per il crimine e il contrabbando. Comunque sia, nè l'eroina, nè la prostituzione nascono nel Kosovo, ma usufruiscono di queste falle del sistema per cambiare aspetto e presentarsi alle nostre frontiere sotto un look non sospetto. Sarò forse ingenuo, ma una domanda vorrei proprio farla: Non sarebbe logico che paesi molto più strutturati, prossimi ad entrare nell'Unione Europea o già dentro bloccassero il marcio che giunge sulle loro frontiere? L'eroina non potrebbe essere sequestrata in Turchia? o in Grecia? La prostituzione non potrebbe essere colpita in Romania o Bulgaria, prima di giungere in Kosovo? Questo paese, come riportano tutti, è uno sputo di terra circondato da molte realtà torbide e colluse con il contrabbando. Una di queste è la Serbia, che con la sua ex provincia e i suoi nemici di sempre, gli shqiptari, fanno ottimi affari. Ultimo quello sulla benzina e dei prodotti serbi. Samopravo sul suo blog spiega come funziona:
... le frontiere 1 e 31, che da febbraio di quest’anno sono allegramente aperte a tutti, grandi e piccoli. Ovviamente mi riferisco a grandi e piccoli traffici ileciti. Non a caso, le dogane sono stata la prima cosa ad essere bruciata dopo la dichiarazione di indipendenza...Quando si tratta di trafficare Serbi e Albanesi - si dice - vanno d’accordissimo. Fanno affaroni d’oro di questi tempi, soprattutto col traffico di benzina. Se volete spiego come funziona, non e’ difficile: porti una cisterna di benza dalla Serbia in Kosovo passando dal Nord. Non ha pagato le tasse in Serbia perche’ le tasse si pagano nel paese di destinazione (cioe’ il Kosovo, ricordate?). Solo che al Nord nel Kosovo non ci sono le dogane, quindi le tasse non le paghi manco li’. Quindi vendi la benza a Mitrovica Nord con saldi del 20% e fai un sacco di soldi. Vedrai, la gente fa la fila, viene anche da fuori citta’ apposta per quello. Oppure, meglio ancora, dopo che le hai fatto fare un giretto in Kosovo, la cisterna la re-importi in Serbia, sempre sfruttando le dogane che non ci sono. E li’ te la vendi come sopra. (sull'argomento vedi anche Rinascita Balcanica)
Kosovo/Kfor: Incidenti a Nord "pilotati" da crimine organizzato. Ragioni etniche di facciata: si protegge fiorente contrabbando (Apcom/ Nuova Europa)
Gettare ombra sull'operato della missione di giustizia e polizia dell'Unione europea (Eulex), di recente dispiegata in Kosovo, e impedirle di consolidare le fragilissime strutture doganali che favoriscono le fiorenti attività di contrabbando nell'area. Questo il vero obiettivo che si nasconderebbe dietro gli incidenti registrati ultimamente a Mitrovica, città a nord del Kosovo, roccaforte della minoranza serba: episodi pilotati dunque, che poco hanno a che vedere con lo scontro etnico tra serbi e albanesi. Una tesi, questa, che si è andata diffondendo tra molti analisti e osservatori locali ed internazionali e che trova ampio riscontro nell'intervista rilasciata al quotidiano di Pristina, Koha ditore, da Michel Yakovleff, comandante delle truppe Nato (Kfor) competenti del Kosovo settentrionale. Pur senza esplicitare che Eulex sia finita nel mirino di contrabbandieri "soprattutto di benzina", il militare ammette: "Ci sono giovani ragazzi che i criminali utilizzano per i loro personali scopi. Non c'è niente di inter-etnico e tutti concordano su questo". Il riferimento è agli episodi di violenza di cui è stata teatro Mitrovica nelle recenti settimane: un giovane serbo è stato accoltellato da due albanesi; tre giornalisti e sette pompieri sono rimasti feriti a margine di scontri interetnici; due serbi sono stati aggrediti da una ventina di albanesi; una bomba a mano è stata lanciata contro una casa di proprietà di un albanese. La rivalità tra serbi e albanesi sarebbe però solo di facciata: "L'intera regione - puntualizza Yakovleff - è un paradiso per i contrabbandieri, non solo a nord, ma anche a sud". Ciononostante, la situazione generale nel Kosovo settentrionale, di cui Yakovleff è direttamente competente, resta "abbastanza sicura" in quanto vi è "un focolaio circoscritto al centro di Mitrovica, mentre in altre località come Leposavic, Zubin Potok o Vucitrn non ci sono molti problemi". Mitrovica è la città simbolo delle fratture etniche dell'auto proclamato stato, spaccata com'è dal fiume Ibar: a nord i abitano i serbi, a sud gli albanesi. "Dal 30 dicembre scorso - informa il comandante Kfor - abbiamo incrementato la presenza militare nella città".
Mi trovo pienamente in sintonia con l'articolo sotto riportato "Kosovo/Kfor: Incidenti a Nord "pilotati" da crimine organizzato". Si vocifera da molti anni e da vari ambienti della presunta e mai accertata colpevolezza del Kosovo per essere lo stato delle mafie, giusto per citare le parole di Limes. Il Kosovo viene dipinto come il crocevia principale dell'eroina afgana (da Riccardo Iacona) che giunge a fiumi tramite la Turchia, delle armi (da Limes) e della prostituzione. Questo colosso affaristico, che farebbe invidia anche alle potenti organizzazioni criminali di casa nostra, sarebbe retto dalla classe politica kosovara e dal suo braccio militare, l'UCK, restando fedeli alle osservazioni dei soggetti di cui sopra. Il quadro che hanno posto davanti ai lettori esiste ed ha come scenografia tutti questi elementi. E' un quadro fluido come gli affari che ci sono dietro, ma per niente nitido. Molto spesso viene difficile coglierne la tecnica e l'importanza di tutti gli elementi, ma come nel famoso ritratto ondulato di Dora Maar, guardandola in faccia, se ne ammira la potenza romantica del contenuto. Di tutto quello che i vari Iacona e Limes dicono, non c'è traccia alcuna. Nessun giornale locale, internazionale, rapporto della polizia locale o della Kfor ha mai riportato significativi riscontri con questa realtà, siano essi sequestri di droga (ho letto un solo articolo di un significativo quantitativo sequestrato al confine con la Macedonia), armi (limitati trafiletti sulla stampa locale kosovara) e prostituzione. Mi chiedo, pertanto, come sia possibile disegnare millimetricamente su cartine colorate (Limes) le strade di tutti questi traffici illeciti, senza riportare, con altrettanti documenti visivi, la veridicità delle notizie? Come sia possibile che, con una massiccia presenza di militari, 007, finanzieri, poliziotti e procuratori internazionali - che superano le 25000 unità - i criminali la facciano sempre franca, riescano a far passare sempre tutto senza farsi beccare con le mani nella marmellata? I fatti potrebbero essere due: i giornalisti dicono bufale e i militari fanno un ottimo lavoro, i militari sono in vacanza e i giornalisti riportano la verità. Battute di spirito a parte, credo che sotto sotto ci siano grossi guadagni dovuti a massicci traffici pilotati da buona parte dei politici del Kosovo e che le forze internazionali, tutte, per il quieto vivere preferiscono occuparsi d'altro [ma tutto ciò, come le osservazioni dei Iacona, Limes e altri, rimangono, in assenza di un riscontro pratico - video, foto, dossier- soltanto delle supposizioni]. Per carità, pattugliano, sorvegliano, documentano, ma mai sequestrano. Conoscono le esperienze di Ramush, persino dove ha i depositi di sigarette di contrabbando, ma nessuno fa nulla. A volte, come nel caso dei nostri finanzieri, sono impossibilitati a svolgere le stesse italiche funzioni: non possono sequestrare merce contraffatta e altro, perchè le regole di ingaggio - rules of engagement - non prevedono questo. I nostri finanzieri, sino ad ora, se non avranno comprato nulla nelle grandi catene del falso (ce ne sono due a pochi metri dal quartiere generale Kfor di Pristina) avranno sicuramente assistito alle grandi spese che militari e internazionali in genere (un buon 80% dei clienti) giornalmente, ma soprattutto durante i periodi festivi, si apprestano a fare. Scarpe Nike con i molloni, profumi di marca, borsette griffate all'ultima imitazione, magliette Lacoste, Ralph Lauren, pantaloni Zegna, Diesel, cd e dvd pirati, gli articoli più gettonati.
Riporto la scena di Melodia, uno dei due megastore, vista con i miei occhi innumerevoli volte, per far presente che molto spesso è il "complice" silenzio degli internazionali a fare del Kosovo una prospera isola felice per il crimine e il contrabbando. Comunque sia, nè l'eroina, nè la prostituzione nascono nel Kosovo, ma usufruiscono di queste falle del sistema per cambiare aspetto e presentarsi alle nostre frontiere sotto un look non sospetto. Sarò forse ingenuo, ma una domanda vorrei proprio farla: Non sarebbe logico che paesi molto più strutturati, prossimi ad entrare nell'Unione Europea o già dentro bloccassero il marcio che giunge sulle loro frontiere? L'eroina non potrebbe essere sequestrata in Turchia? o in Grecia? La prostituzione non potrebbe essere colpita in Romania o Bulgaria, prima di giungere in Kosovo? Questo paese, come riportano tutti, è uno sputo di terra circondato da molte realtà torbide e colluse con il contrabbando. Una di queste è la Serbia, che con la sua ex provincia e i suoi nemici di sempre, gli shqiptari, fanno ottimi affari. Ultimo quello sulla benzina e dei prodotti serbi. Samopravo sul suo blog spiega come funziona:
... le frontiere 1 e 31, che da febbraio di quest’anno sono allegramente aperte a tutti, grandi e piccoli. Ovviamente mi riferisco a grandi e piccoli traffici ileciti. Non a caso, le dogane sono stata la prima cosa ad essere bruciata dopo la dichiarazione di indipendenza...Quando si tratta di trafficare Serbi e Albanesi - si dice - vanno d’accordissimo. Fanno affaroni d’oro di questi tempi, soprattutto col traffico di benzina. Se volete spiego come funziona, non e’ difficile: porti una cisterna di benza dalla Serbia in Kosovo passando dal Nord. Non ha pagato le tasse in Serbia perche’ le tasse si pagano nel paese di destinazione (cioe’ il Kosovo, ricordate?). Solo che al Nord nel Kosovo non ci sono le dogane, quindi le tasse non le paghi manco li’. Quindi vendi la benza a Mitrovica Nord con saldi del 20% e fai un sacco di soldi. Vedrai, la gente fa la fila, viene anche da fuori citta’ apposta per quello. Oppure, meglio ancora, dopo che le hai fatto fare un giretto in Kosovo, la cisterna la re-importi in Serbia, sempre sfruttando le dogane che non ci sono. E li’ te la vendi come sopra. (sull'argomento vedi anche Rinascita Balcanica)
Kosovo/Kfor: Incidenti a Nord "pilotati" da crimine organizzato. Ragioni etniche di facciata: si protegge fiorente contrabbando (Apcom/ Nuova Europa)
Gettare ombra sull'operato della missione di giustizia e polizia dell'Unione europea (Eulex), di recente dispiegata in Kosovo, e impedirle di consolidare le fragilissime strutture doganali che favoriscono le fiorenti attività di contrabbando nell'area. Questo il vero obiettivo che si nasconderebbe dietro gli incidenti registrati ultimamente a Mitrovica, città a nord del Kosovo, roccaforte della minoranza serba: episodi pilotati dunque, che poco hanno a che vedere con lo scontro etnico tra serbi e albanesi. Una tesi, questa, che si è andata diffondendo tra molti analisti e osservatori locali ed internazionali e che trova ampio riscontro nell'intervista rilasciata al quotidiano di Pristina, Koha ditore, da Michel Yakovleff, comandante delle truppe Nato (Kfor) competenti del Kosovo settentrionale. Pur senza esplicitare che Eulex sia finita nel mirino di contrabbandieri "soprattutto di benzina", il militare ammette: "Ci sono giovani ragazzi che i criminali utilizzano per i loro personali scopi. Non c'è niente di inter-etnico e tutti concordano su questo". Il riferimento è agli episodi di violenza di cui è stata teatro Mitrovica nelle recenti settimane: un giovane serbo è stato accoltellato da due albanesi; tre giornalisti e sette pompieri sono rimasti feriti a margine di scontri interetnici; due serbi sono stati aggrediti da una ventina di albanesi; una bomba a mano è stata lanciata contro una casa di proprietà di un albanese. La rivalità tra serbi e albanesi sarebbe però solo di facciata: "L'intera regione - puntualizza Yakovleff - è un paradiso per i contrabbandieri, non solo a nord, ma anche a sud". Ciononostante, la situazione generale nel Kosovo settentrionale, di cui Yakovleff è direttamente competente, resta "abbastanza sicura" in quanto vi è "un focolaio circoscritto al centro di Mitrovica, mentre in altre località come Leposavic, Zubin Potok o Vucitrn non ci sono molti problemi". Mitrovica è la città simbolo delle fratture etniche dell'auto proclamato stato, spaccata com'è dal fiume Ibar: a nord i abitano i serbi, a sud gli albanesi. "Dal 30 dicembre scorso - informa il comandante Kfor - abbiamo incrementato la presenza militare nella città".
lunedì 14 gennaio 2008
IL KOSOVO CHE SI ECLISSA
La terra coltivabile sta progressivamente scomparendo. Ogni anno tra i 1000 e i 2000 ettari di terra coltivabile vanno perduti. Questo la dice lunga su come si è impostato lo sviluppo che si vuole fare intraprendere a questa regione: una crescita selvaggia, senza una chiara programmazione urbanistica è il Kosovo di oggi.
Mentre i media locali e internazionali hanno le orecchie puntate quasi esclusivamente sulle ultime elezioni in Kosovo e sulla risoluzione dello status di questa regione serba presso il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, un dato reale con il quale buona parte della popolazione kosovare si misura quotidianamente, riguarda un settore che fa poca notizia ma
Il settore agricolo in Kosovo è molto importante per diversi motivi. Innanzitutto, è la principale attività economica che ricopre il 25% del PIL del Kosovo ed impiega all’incirca 145.000 persone, il 42% della forza lavoro, attestandosi a settore impiegatizio principale. Secondo gli ultimi dati del Ministero dell’Agricoltura del Kosovo, la popolazione agricola è stimata in circa il 62,5% del totale, quasi 1,25 milioni di persone, la più alta rispetto a paesi come Albania, Turchia, Macedonia, Slovenia, Croazia e Serbia.
Basterebbe prendere in considerazione le componenti socio-politico-economiche del contesto kosovaro per capire come la mancanza di investimenti pubblici e la sempre più limitata assistenza internazionale rendano attuale ed urgente un intervento massiccio in questo campo. Il paese in questione ha un elevato tasso di povertà, un elevatissimo tasso di disoccupazione, con punte che raggiungono anche il 70% in alcune aree, un settore industriale fino ad ora privilegiato che non ha portato i risultati desiderati. Secondo il Ministero dell’Agricoltura (2003) l’importazione dei soli prodotti agroalimentari sfiora il 24% delle importazioni totali per un valore di 288 milioni di euro, laddove le esportazioni si fermano ad appena 780 milioni di euro complessivi e di questi soltanto il 16% (per un valore di circa 110 milioni) riguardano prodotti agricoli e cibo. Questi dati, insieme alla scarsa volontà politica del governo kosovaro, fanno si che questa regione non riesca così a rispondere al proprio fabbisogno interno.
Per la terza volta consecutiva il Ministero dell’Agricoltura è stato affidato alla governance delle minoranze ( i partiti politici albanesi del Kosovo hanno cercato di accaparrarsi i Ministeri che ritenevano più importanti, lasciando agli altri quelli ritenuti di serie inferiore; ogni volta l’agricoltura è rimasta come moneta di scambio). La voce di budget è da sempre limitata e non ha mai ecceduto lo 0,5 % del budget del Kosovo. Per capire la gravità di questo dato, tralasciando l’ottimo esempio della Politica Agricola Comune Europea - che assorbe gran parte del PIL dei suoi stati membri - possiamo prendere in considerazione il caso del vicino Montenegro, che dedica molto meno spazio alle risorse agricole, ritenendo giustamente il turismo fonte di maggiore aspettative, eppure ha un budget, a livello di valore assoluto, tre volte maggiore di
Ci si rendi conto allora che sino ad oggi e per tutti questi lunghi otto anni di incontrollato e sfrenato afflusso estero di moneta, l’agricoltura non solo non ha ricevuto le dovute attenzioni, ma è stata quasi considerata come un freno allo sviluppo, un fattore di arretratezza del quale sbarazzarsi in nome di una presunta modernizzazione. Di fronte a queste scelte politiche, la naturale reazione della popolazione rurale dopo le incessanti ma inutili richieste di maggiore supporto istituzionale all’agricoltura è stata quella dell’abbandono delle terre agricole e conseguentemente quella di riversarsi in città in cerca di qualcosa di più redditizio da fare. Non ci si può certo lamentare di chi lascia la terra incolta visto che in questo stato di cose, con una forte ignezione di denaro internazionale, costa meno comprare prodotti dall’estero che produrli localmente. Tali comportamenti sociali sono la naturale conseguenza dello sviluppo selvaggio e maldrestro che la classe politica locale, con l’avallo della Comunità Internazionale, ha voluto far intraprendere al kosovo.
La devastazione è sotto gli occhi di tutti, basta infatti vedere le oltre millecinquecento stazioni di benzina sparse in lungo e in largo per il Kosovo, le tantissime piscine, i campi da calcio e le numerose e troppo spesso inopportune strutture alberghiere che distruggono per sempre la terra coltivabile. Ogni anno infatti tra i mille e i duemila ettari di terra coltivabile vanno perduti.
Recenti dati della FAO mostrano che questa regione ha 342 mila ettari di terreno coltivabile, una media di appena lo 0,18 ettari pro-capite. D’accordo con gli standards di sviluppo, i paesi che hanno una media di 0,15 ettari pro-capite, sono considerati paesi che non possono provvedere da soli all’autoproduzione di prodotti agroalimentari. Il Kosovo sta così intraprendendo una strada senza uscita. Senza annoverare la responsabilità di Unmik e del governo locale, mi limito a sostenere che il settore agricolo non ha ricevuto in Kosovo le dovute attenzioni, mentre invece doveva ricoprire un ruolo più determinante nell’agenda politica ed essere quanto meno volano per l’economia del Kosovo e per il benessere della sua gente.
Se il non autosostentamento è stato frutto di scelte politiche errate, da ora in poi potrebbero essere fattori come la mancanza di terreno agricolo a relegare il Kosovo in uno stato di perenne dipendenza dalla Comunità Internazionale, con le dovute ripercussioni interne a livello socio- politico e la conseguente stagnazione economica.
Con un certo ritardo si è finalmente capito il danno sino ad ora fatto e, per lo meno sulla carta, l’agricoltura ha acquistato maggiore spessore. Oggi il Kosovo ha una legge per la protezione delle terre coltivabili, ma da sola non basta. Servono strutture ad hoc che ancora non ci sono. È stato inoltre creato un valido documento, l’Agriculture and Rural Development Plan 2007/13 un testo
Certamente è giunta l’ora che i politici locali capiscano che se anche l’agricoltura non crea rapidi e consistenti redditi da lavoro, è capace di creare stabilità ed occupazione e un solido e duraturo sviluppo socio-economico. Solo così il settore agricolo potrà finalmente avere il ruolo che gli spetta, quello di forza trainante, soprattutto in un contesto prettamente agricolo ed in transizione.
articolo pubblicato sul sito di peacereporter.net
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