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domenica 1 febbraio 2009

IL KOSOVO E LA SUA AGRICOLTURA (seconda parte)


IL SETTORE LATTIERO-CASEARIO

Di seguito viene riportato una parte dello studio che ho realizzato per conto della Provincia di Gorizia in Kosovo nel mese di marzo-luglio 2008.

Si ritiene che la sempre più stretta connessione tra sviluppo (umano, sociale, politico e non solo numerico o economico) e i destini di un paese, passa, per quello che riguarda il Kosovo, inevitabilmente dal suo sviluppo agricolo. In questo studio, oltre ad una panoramica generale del settore vengono messi in risalto una serie di contrasti e assurdità - la politica agricola comune, PAC, i fondi della Comunità Internazionale, le priorità del governo - che attanagliano lo sviluppo del paese.

Il consumo di latte in Kosovo è stimato a 170 litri a persona per anno. Sul totale del latte prodotto localmente (257.500 tonnellate) si stima che 117.383 tonnellate siano consumate nella fattoria stessa. Ulteriori 114.000 tonnellate sono vendute nei mercati locali come latte grezzo o formaggio bianco (fresco). Solo approssimativamente 34.000 tonnellate (ossia il 10% della domanda del mercato) del latte prodotto localmente viene trasformato industrialmente dai 19 caseifici presenti. I principali prodotti lattiero-caseari sono il latte, lo yogurt, il kos, il formaggio fresco e il kashkaval. Gli allevatori fanno fronte approssimantivamente al 76% della domanda totale interna di latte, e le importazioni riguardano il 24% del consumo totale dei prodotti lattiero-caseari.

Consumo di latte

170 litri/persona/anno

Domanda del mercato

339. 500 tonnellate

Totale della produzione locale

257.500 ton/anno che corrispondono al 76% del totale della domanda interna di latte

Totale della trasformazione di latte locale

34.000 tonnellate, ovvero il 10% della domanda del mercato

Importazione

24% del consumo totale (formaggi e latte UHT dall’Ungheria, Bulgaria, Slovenia e Turchia)

Numero di Caseifici

19 unità

Principali prodotti

Latte, yogurt, Kos, formaggio fresco e Kashkaval


Per tale motivo il mercato lattiero-caseario in Kosovo può essere diviso, in linea generale, in tre segmenti. Due terzi della produzione lattiero-casearia è prodotta nel territorio e consumata o direttamente nella fattoria o commercializzata nei mercati “verdi” (non regolamentati). L’altro terzo del mercato è fornito sotto forma di prodotti trasformati. Questa porzione è dominata dalle importazioni, specialmente per formaggi e latte UHT. Le principali fonti di importazioni sono l’Ungheria e la Germania per il formaggio (70% di tutte le importazioni) e la Slovenia e l’Ungheria per il latte UHT (83%). Altri importanti paesi esportatori sono poi Bulgaria e Turchia. Il Kosovo importa prodotti lattiero-caseari per un totale di 21 milioni di euro ( il 24% della richiesta del Kosovo in volume). Il latte e i formaggi importati dominano così il mercato, la qualità è generalmente considerata migliore e il prezzo è molto competitivo: del totale dei prodotti lattiero-caseari importati circa il 70% arriva a prezzi inferiori rispetto al costo di produzione che si raggiunge in Kosovo. Il costo della produzione di latte in Kosovo è relativamente alto principalmente per via degli alti costi dei mangimi che incidono per circa il 70-80% sul costo totale della produzione di latte. Il bestiame è prevalentemente stazionario e difficilmente pascola. La media del prezzo al dettaglio è di 0,64 €/litro e, considerati i costi del mantenimento della struttura e di produzione, i margini lordi per i produttori sono bassi. Gli allevatori più grandi hanno costi medi più bassi rispetto ai piccoli allevatori e vendono il loro latte alle aziende di trasformazione a un prezzo di circa 0.24 €/litro. Queste ultime dichiarano che avrebbero bisogno che il prezzo d’acquisto fosse ridotto ad almeno 0.20 €/litro per poter competere con i prodotti lattiero-caseari importati. KAMP (Associazione Kosovara Produttori di Latte), da parte sua, stima che i costi diretti per i produttori sono 0.21 €/litro, che danno un margine lordo di appena 0.3 €/litro se il prezzo per le aziende in questione rimane di 0.24 €/litro. Al mercato verde si vende latte per una quantità tre volte superiore a quella destinata alle locali industrie di trasformazione lattiero-casearie. Tale mercato viene rifornito principalmente da medi allevatori e il latte viene venduto in bottiglie di plastica riutilizzate, mentre il formaggio lo si vende in ceste di plastica, ad un prezzo oscillante tra 1,50 €/kg e 2,50 €/kg. Le importazioni di formaggio sono considerate particolarmente dannose per l’industria di trasformazione del Kosovo in quanto i prezzi dei formaggi sono più competitivi che qui. Il consumo del latte è lievemente superiore nei mesi invernali, tuttavia la sua produzione è maggiore nei mesi estivi. Nella maggior parte dei paesi avanzati le aziende di trasformazione utilizzano il surplus di latte dei mesi estivi per produrre latte in polvere che poi riaggiungono nei mesi invernali, quando la produzione di latte è minore. I caseifici del Kosovo non hanno tuttavia i macchinari adatti per seccare il latte (e trasformarlo in polvere) e per questo producono tanto formaggio nei mesi estivi. La KDPA (Associazione dei Caseifici del Kosovo) stima che c’è un eccesso di produzione in quei mesi di circa 10.000 tonnellate di latte. Tali perdite di latte rappresentano un grande problema per i contadini kosovari. Per cercare di far fronte al problema, alcuni donatori hanno provveduto a supportare l’istallazione di cisterne-frigo in aree selezionate e compagnie lattiero-casearie di trasformazione (per esempio Vita) stanno incoraggiando l’uso di servizi e equipaggiamento adeguato nelle diverse fattorie. Il largo numero di piccoli produttori di latte rende tuttavia la raccolta del latte costosa per le compagnie di lavorazione e le perdite del latte nei mesi estivi rimangono relativamente alte a causa della sovrapproduzione stagionale e la mancanza dei servizi refrigeranti di breve tempo necessari. Mentre il collegamento tra i produttori e i mercati verdi funziona molto bene, lo stesso non può dirsi tra produttori e caseifici. Questo collegamento necessita di maggiore sviluppo e di una migliore qualità di latte di base per utilizzarlo pienamente nell’ambito della trasformazione. Di questo i caseifici sono consapevoli e fanno pressioni affinchè la qualità così come la quantità del latte aumenti. Il maggiore ostacolo sembra essere la piccola dimensione delle imprese di produzione e la mancanza di collaborazione tra gli agricoltori.
La qualità del latte allo stato grezzo differisce notevolmente a causa di:
- mancanza di contenitori refrigeranti
- distanza tra gli allevatori (la raccolta è difficile da organizzare)
- poca trasparenza degli allevatori (allungano il latte con l’acqua).
Tuttavia, considerato che tutte le industrie del settore dipendono da materiale allo stato grezzo, queste sono costrette a comprare qualunque latte sia disponibile sul mercato. In Kosovo il prezzo del latte all’origine per i caseifici è effettivamente più basso rispetto ai principali paesi esportatori di latte –Ungheria e Slovenia. Ma, una volta che i costi di raccolta sono aggiunti, l’Ungheria ha già un piccolo margine di vantaggio competitivo. Ed inoltre, eccetto per il latte UHT, i costi di trasformazione sono per il 30% più bassi nei paesi concorrenti rispetto al Kosovo. Un altro argomento problematico è la difficoltà di esportare prodotti lattiero caseari locali a causa della competizione con gli stessi prodotti regionali o EU e considerata l’attuale politica fiscale governativa non favorevole.
La popolazione del Kosovo attualmente consuma 280.000 tonnellate di latte/prodotti lattieri. La domanda del mercato è coperta per il 33% delle importazioni. Le industrie di trasformazione coprono circa il 7% della domanda del mercato. Questa percentuale è aumentata negli ultimi 2 anni come risultato della migliorata qualità dei prodotti lattiero-caseari locali e di una migliore produzione. Le vendite dirette stanno diminuendo se comparate agli anni precedenti e coprono oggi approssimativamente il 20% del consumo totale. L’urbanizzazione e il cambiamento delle generazioni hanno causato una diminuzione dell’autoconsumo. Da questi dati si può concludere che l’industria di trasformazione lattiero-casearia in crescita stia assorbendo porzioni dal mercato di vendita diretta piuttosto che dalle importazioni. Sebbene le naturali condizioni del Kosovo siano favorevoli alla zootecnia e alla produzione di latte e negli ultimi anni ci siano stati significativi miglioramenti nella capacità di trasformazione del latte da parte dei caseifici locali, questi ultimi necessitano di diversi elementi tuttora mancanti, tra cui latte di migliore qualità, per poter competere con le importazioni. Al momento in Kosovo ci sono 26 caseifici di cui 15 con licenza dal KVFA e 11 in procinto di ottenere la dovuta autorizzazione. Accanto a 2 grandi caseifici (con più di 20.000 litri al giorno), ce ne sono 5 medi (10.000 – 19.000 litri al giorno) e 19 di piccole dimensioni (con meno di 10.000 litri) [fonte KDPA].
Attualmente in Kosovo ci sono più di 500 fattorie con più di tre mucche che producono tra i 110.000 e i 120.000 litri al giorno [fonte KAMP].
La raccolta del latte è un fattore importante per la qualità e la sicurezza alimentare nel settore lattiero-caseario in generale. Attualmente in Kosovo ci sono dai 25 ai 30 centri di raccolta latte attivi (dotati di sistemi refrigeranti), alcuni dei quali all’interno dei caseifici, che raccolgono latte dagli allevatori piccoli e medi. Presso questi centri vengono effettuati test di acidità (per la freschezza) e contenuti di grassi (paramento fondamentale per determinare il prezzo del latte). Va notato che la qualità e la quantità delle analisi effettuate sono molto approssimative.
L’infrastruttura esistente nella filiera necessita di notevoli interventi per poter migliorare la qualità media del latte allo stato grezzo che è ancora molto bassa. I problemi principali sono:
- cattiva gestione a livello aziendale
- carenza di personale qualificato a tutti i livelli del settore
- scarsa qualità del bestiame e delle loro condizioni nelle aziende
- macchinari e attrezzature datati e scarsamente e/o mal funzionanti
- scarsa igiene generale della fattoria e non stabile, povera e inappropriata pulizia dell’equipaggiamento e dei contenitori per l’immagazzinaggio del latte
- frequenti black-outs elettrici
- insufficiente refrigerazione e trasporto.

leggi la prima parte


martedì 20 gennaio 2009

IL KOSOVO E LA SUA AGRICOLTURA


Di seguito viene riportato una parte dello studio che ho realizzato per conto della Provincia di Gorizia in Kosovo nel mese di marzo-luglio 2008.

Si ritiene che la sempre più stretta connessione tra sviluppo (umano, sociale, politico e non solo numerico o economico) e i destini di un paese, passa, per quello che riguarda il Kosovo, inevitabilmente dal suo sviluppo agricolo. In questo studio, oltre ad una panoramica generale del settore vengono messi in risalto una serie di contrasti e assurdità - la politica agricola comune, PAC, i fondi della Comunità Internazionale, le priorità del governo - che attanagliano lo sviluppo del paese.

I governi in generale, e specialmente quelli di economie di sviluppo e transizione - come nel caso del Kosovo - si trovano oggi ad affrontare sfide importanti per raggiungere lo sviluppo rurale e locale in una fase caratterizzata da globalizzazione, liberalizzazione dei mercati e ridotto intervento da parte dello Stato nell’economia. In questo scenario, va sottolineato un riesame ed una presa di coscienza nuova per quanto riguarda il ruolo dell'agricoltura nell’impiego rurale e come mezzo di sussistenza. I mercati sono in costante evoluzione e stanno affrontando rapidi cambiamenti, con sistemi meccanizzati che sempre più condizionano o rimpiazzano i mercati di vendita all’ingrosso e i piccoli mercati locali. Le strutture di produzione e i grandi commercianti chiedono ora, anche in Kosovo, rigorosi livelli di qualità, conformità con gli standard, codici di condotta e di igiene dai loro fornitori, che non sono però sempre capaci di rispondere a tali richieste.
CONTESTO MACRO-ECONOMICO E AGRICOLO DEL KOSOVO
Dopo la fine del conflitto, il Kosovo ha compiuto notevoli progressi sul piano del rafforzamento istituzionale e la stabilizzazione macro-economica. Tuttavia, il processo di recupero è stato troppo lento e a tutt’oggi non soddisfa le domande e le aspettative dei suoi cittadini. La mancanza di sviluppo economico potrebbe avere un impatto negativo sulla stabilità politica, a maggior ragione se si tiene conto dell’aspetto demografico del territorio, che conta la popolazione più giovane d’Europa (più del 50% ha meno di 25 anni): questo potrebbe essere un ottimo punto di forza facilmente trasformabile, però, in piaga sociale qualora le loro aspettative occupazionali fossero deluse. In effetti la sfida più pressante per le autorità del Kosovo è di raggiungere la stabilità macro-economica e la crescita riducendo l’altissimo tasso di disoccupazione attuale. Recenti stime parlano infatti di un tasso di disoccupazione del 46,2% (ILO 2007) su una popolazione totale di circa 2 milioni. La diminuzione dell'assistenza dall’estero e degli afflussi privati potrebbe rendere ancora più difficile il raggiungimento di questo obiettivo. L’economia del Kosovo è ancora caratterizzata e sostenuta dall’assistenza straniera e dagli afflussi privati esterni che nei primi anni dopo la guerra ammontavano a circa il 50% del PIL. Il settore dei donatori ha creato così un mercato di "esportazione" artificiale per i beni e servizi del Kosovo. Tuttavia l’assistenza estera ha mostrato una tendenza al ribasso e alla fine del 2004 era già soltanto la metà di quella del 2000. Certo è che le risorse proprie del Kosovo non sono sufficienti da sole a finanziare l’investimento necessario per una crescita robusta, anche per via del basso livello dei risparmi interni. Politiche forti sono allora necessarie a promuovere lo sviluppo e creare così un ambiente favorevole all'investimento produttivo attraverso:
- una spesa pubblica efficiente e mirata,
- il mantenimento della stabilità fiscale,
- rapide riforme nel settore delle imprese pubbliche, e del mercato in generale.
Per quanto riguarda lo sviluppo del settore privato, si sono registrati progressi costanti per la messa in piedi di un quadro giuridico adeguato, processo guidato e supportato da istituzioni internazionali. La sfida principale ora è proprio quella di sviluppare le capacità necessarie alla sua implementazione e applicazione. Nel nostro caso specifico, il Ministero dell’Agricoltura del Kosovo, con il supporto di esperti internazionali, ha pubblicato un ottimo documento tecnico (MAFRD, Agriculture and Rural Development Plan 2007-2013), punto di riferimento anche per altri paesi dell’area balcanica. Tale documento tuttavia per essere implementato alla lettera necessita di almeno 200 milioni di euro.
L’AGRICOLTURA NELL’ECONOMIA NAZIONALE
L’agricoltura del Kosovo è caratterizzata da piccole aziende agricole, bassa produttività e servizi di consulenza poco sviluppati eppure contribuisce a circa ¼ del PIL del Kosovo e fornisce approssimativamente dal 25 al 35% della forza lavoro. Il settore consta di circa 1.800 cooperative e imprese commerciali (sia pubbliche che private) e di 143.000 famiglie rurali, il 50% delle quali sono definite come fattorie con una superficie inferiore o pari a un ettaro. La bassa produttività lavorativa del settore è combinata con il più basso salario mensile. Ci sono circa 150.000 persone coinvolte nel settore dell'agricoltura/allevamento.Nel 1999-2004 la divisione settoriale del PIL è cambiata comunque in modo significativo. Il settore dei servizi ha dimostrato una rapida crescita (dal 46,5% nel 1993 al 58% nel 1998), mentre il settore agricolo, pur rimanendo un’importante generatore di ricchezza nazionale nonché il motore principale per la crescita del PIL nel 1999-2004, ha visto diminuito il suo contributo al PIL. Tale contributo rimane consistente (19%), ma ciò è dovuto principalmente al diminuito peso dell'industria e di altri settori piuttosto che il risultato dello sviluppo dell'agricoltura stessa. In effetti, il peso del settore agricolo al PIL/tasso di occupazione indica scarsa efficienza del settore, crescenti difficoltà impiegatizie e una perdita di reddito per le famiglie che sta danneggiando la sostenibilità delle comunità rurali. Appare sempre più necessario che insieme al potenziamento del settore, attività economiche alternative vengano adeguatamente sviluppate.
IL SETTORE AGRO-ALIMENTARE
In media una famiglia kosovara spende approssimativamente il 60% delle sue entrate per il cibo, di questa percentuale il 12% è usato per pane e cereali, il 9% per carni, seguito dalle verdure (7%) e i prodotti lattiero-caseari e uova (6%) [fonte SOK: Ufficio statistiche del Kosovo]. La sfida per l’economia del Kosovo è quella di creare e sviluppare le capacità interne per rispondere alla domanda domestica e ridurre la dipendenza dai fornitori esteri. Approssimativamente tra il 70 e il 95% dei prodotti agro-alimentari, per la maggiore prodotti trasformati, sono infatti importati. Tuttavia il settore agro-alimentare kosovaro soffre di tutta una serie di problemi, tra cui quantità, qualità e disponibilità di materie prime. Come risultato, la maggior parte delle imprese di trasformazione sono costrette ad utilizzare principalmente merci importate. Eppure, prima dello scoppio delle ostilità il Kosovo era in qualche modo auto-sostenibile in ambito alimentare (stime variavano dal 30 al 50% del fabbisogno interno), i prodotti provenienti dal Kosovo erano disponibili in tutta la Yugoslavia, le aziende erano di grandi dimensioni e la struttura integrata era funzionale a soddisfare le necessità del mercato interno di allora. Ora, alcune di queste aziende sono state parzialmente distrutte, la maggior parte non sono pienamente funzionanti e le loro attrezzature sono superate. Inoltre, la concorrenza internazionale è divenuta sempre più forte come dimostrato dal notevole aumento delle importazioni e la produttività nelle aziende è ancora lontana dagli standards internazionali. La ragione è data da una combinazione di diversi fattori come:
- la piccola dimensione delle aziende (stimate tra 1,6 e 2,4 ettari) e i problemi legati alla propietà della terra (privatizzazioni)
- limitata collaborazione tra gli operatori del settore
- limitato accesso al credito
- scarse infrastrutture
- limitata conoscenza delle tecniche di produzione più avanzate
- limitata conoscenza delle tecniche di management delle aziende
Aumentare la dimensione delle aziende attraverso il consolidamento della terra e lo sviluppo dell’attuale mercato terriero è un elemento fondamentale per lo sviluppo rurale del Kosovo. Ad oggi, infatti, la maggior parte della terra è valutata qui come terra urbana anche se la maggior parte di essa nelle aree rurali viene usata esclusivamente per l’agricoltura. Per tale motivo è essenziale che sia preparato un piano di sviluppo per la riqualificazione della terra al fine di creare economie di scala ed aumentarne conseguentemente la produzione. La maggior parte degli allevatori kosovari si trovano infatti ad affrontare numerose difficoltà legate alle piccole dimensioni delle loro aziende e il ridotto numero di animali per nucleo familiare (il 93,7% di contadini attivi nel settore lattiero-caseario in Kosovo hanno da due a quattro mucche ciascuno). Gli stessi prezzi di partenza del prodotto nelle aziende variano significativamente tra le diverse regioni del Kosovo in buona parte perchè le strutture agricole di piccolo taglio producono principalmente per auto-consumo e solo le quantità in eccedenza, disponibili soprattutto durante i mesi estivi, giungono ai mercati verdi (mercati locali non regolamentati). Tale surplus tuttavia, per via della cattiva conservazione -dovuta alla mancanza di spazi per il magazzinaggio delle merci e la mancanza di conoscenza delle tecniche post-raccolto- subisce variazioni di prezzo, principalmente al ribasso. Estendere il periodo di coltivazione-produzione (ad esempio attraverso l’utilizzo di produzioni meccanizzate e più redditizie) e rafforzare la collaborazione tra agricoltori certamente migliorerebbe lo scenario.
IL COMMERCIO CON L’ESTERO
Nel 2005 il totale delle importazioni era di 1,2 bilioni di euro mentre il totale delle esportazioni era di 44,4 milioni di euro. La quota dei prodotti agricoli sul totale delle esportazioni era del 9,2% mentre la quota delle importazioni degli stessi era del 14,4%. (fonte Agriculture and Rural Development Plan 2007-2013). Il flusso delle importazioni per i primi sei mesi del 2006 comparato con lo stesso periodo del 2005, ha raggiunto la somma di 561. I dati forniti dal Ministero del Commercio e dell’Industria del Kosovo indicano, nello stesso periodo, un notevole trend negativo per le importazioni da Germania e Montenegro, e una lieve diminuzione da Slovenia e Albania, laddove invece i prodotti importanti dalla Macedonia sono aumentati considerevolmente. La maggior parte dei prodotti importati provengono da Unione Europea e Svizzera (insieme il 34%), Macedonia (14%), Serbia (15%) e Turchia (8%) [fonti statistiche del Ministero del Commercio e dell’Industria]. La Camera di Commercio del Kosovo stima che l’85% del cibo all’ingrosso viene importato e vede la sostituzione delle importazioni con le merci auto-prodotte come una priorità chiave per la politica interna. Le esportazioni alimentari riguardano principalmente grandi quantità di prodotti quali funghi essiccati selvaggi e coltivati, patate, pelle di animali succhi e vino; anche se le esportazioni attuali sono relativamente poco consistenti, maggiori opportunità come il latte UHT per l’Albania si stanno prendendo in considerazione. Le importazioni/esportazioni sono effettuate prevalentemente lungo l’asse stradale attraverso gli 8 punti di entrata/uscita in tutto il Kosovo. La distribuzione via treno o aereo è poco sviluppata. Durante la stagione della produzione i commercianti comprano direttamente dai produttori locali usando camion isolati che non sono però muniti di sistema refrigerante. Commercianti intermediari sono in grado di influenzare le vendite alimentari perchè capaci di rifornire con i loro autorimorchi regolarmente e tutto l’anno i piccoli commercianti all’ingrosso. Pochi sono i produttori che hanno informazioni attendibili sulle condizioni del mercato, incluso le caratteristiche e le preferenze dei consumatori, prezzi, quantità, livelli di produzione.
LA SICUREZZA ALIMENTARE
Lo standard attuale delle attrezzature della maggior parte dei piccoli negozi che attualmente dominano la distribuzione sul mercato è insufficiente a preservare nel modo adeguato frutta fresca, verdura, carni e latte. Le aziende che trasformano il prodotto si lamentano che gli alimenti nei negozi non vengono immagazzinati in maniera adeguata e ciò comporta una durata ridotta sullo scaffale, una qualità inferiore, oltre che una perdita economica causata da tutta la merce invenduta. La sicurezza alimentare è inoltre una grande preoccupazione per i consumatori in Kosovo e offre potenzialmente un forte vantaggio a livello competitivo per i produttori capaci di offrire una produzione certificata, garantita e sicura. Il governo del Kosovo è consapevole che la qualità dei prodotti agricoli locali rappresenta un passo importante per la sostituzione delle importazioni. E’ questa una delle sfide che il MAFRD intende affrontare nell’immediato futuro, cosciente dello stato attuale in cui riversa il settore.
I MERCATI ALIMENTARI
I mercati alimentari esistono nella maggior parte delle grandi città del Kosovo, ma non vendono esclusivamente prodotti freschi. Prodotti confezionati e non, sono infatti venduti spesso direttamente dal retro dei camion da commercianti locali e regionali. Non c’è nessun sistema di vendita all’asta e tutti i pagamenti sono fatti in denaro. Durante il periodo di raccolta la produzione locale è normalmente disponibile nei mercati. Tuttavia la maggior parte dei produttori locali hanno difficoltà ad accedere ai mercati principali o di base. Questo avviene perchè i rifornimenti dai contadini locali sono principalmente non coordinati e riguardano relativamente piccole quantità più spesso vendute fuori dal mercato principale o in posti sulla strada. I servizi e le attrezzature di mercato sono inoltre molto scarsi e si trovano nei principali centri urbani spesso sovrappopolati e con scarsi servizi di smaltimento dei rifiuti prodotti, consegna-distribuzione inefficiente, immagazzinaggio e presentazione del prodotto inadeguati. L’accesso alla terra per lo sviluppo di nuovi mercati è spesso difficile per via di problemi legati sia alla proprietà della terra che alla privatizzazione. Alcune municipalità hanno cercato di creare dei mercati stagionali per i produttori locali ma senza successo perchè tali strutture venivano edificate in luoghi spesso fuori dalle aree riconosciute dai compratori o i produttori non riuscivano a sostenere le spese per affitto e gestione (a Mitrovica, di recente sono state create delle strutture ad hoc negli stessi spazi dove si tiene il mercato). I mercati del bestiame operano una volta a settimana in tutte le municipalità. La maggior parte di loro hanno ridotti servizi e forniscono scarse informazioni sui prezzi e le vendite non sono coordinate nè pubblicizzate (fonte GFA Regional Beef Market Survey 2002).
continua...

lunedì 14 gennaio 2008

IL KOSOVO CHE SI ECLISSA



La terra coltivabile sta progressivamente scomparendo. Ogni anno tra i 1000 e i 2000 ettari di terra coltivabile vanno perduti. Questo la dice lunga su come si è impostato lo sviluppo che si vuole fare intraprendere a questa regione: una crescita selvaggia, senza una chiara programmazione urbanistica è il Kosovo di oggi.

Mentre i media locali e internazionali hanno le orecchie puntate quasi esclusivamente sulle ultime elezioni in Kosovo e sulla risoluzione dello status di questa regione serba presso il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, un dato reale con il quale buona parte della popolazione kosovare si misura quotidianamente, riguarda un settore che fa poca notizia ma che e’ fondamentale per il futuro di questo territorio:l’agricoltura.
Il settore agricolo in Kosovo è molto importante per diversi motivi. Innanzitutto, è la principale attività economica che ricopre il 25% del PIL del Kosovo ed impiega all’incirca 145.000 persone, il 42% della forza lavoro, attestandosi a settore impiegatizio principale. Secondo gli ultimi dati del Ministero dell’Agricoltura del Kosovo, la popolazione agricola è stimata in circa il 62,5% del totale, quasi 1,25 milioni di persone, la più alta rispetto a paesi come Albania, Turchia, Macedonia, Slovenia, Croazia e Serbia.
Basterebbe prendere in considerazione le componenti socio-politico-economiche del contesto kosovaro per capire come la mancanza di investimenti pubblici e la sempre più limitata assistenza internazionale rendano attuale ed urgente un intervento massiccio in questo campo. Il paese in questione ha un elevato tasso di povertà, un elevatissimo tasso di disoccupazione, con punte che raggiungono anche il 70% in alcune aree, un settore industriale fino ad ora privilegiato che non ha portato i risultati desiderati. Secondo il Ministero dell’Agricoltura (2003) l’importazione dei soli prodotti agroalimentari sfiora il 24% delle importazioni totali per un valore di 288 milioni di euro, laddove le esportazioni si fermano ad appena 780 milioni di euro complessivi e di questi soltanto il 16% (per un valore di circa 110 milioni) riguardano prodotti agricoli e cibo. Questi dati, insieme alla scarsa volontà politica del governo kosovaro, fanno si che questa regione non riesca così a rispondere al proprio fabbisogno interno.
Per la terza volta consecutiva il Ministero dell’Agricoltura è stato affidato alla governance delle minoranze ( i partiti politici albanesi del Kosovo hanno cercato di accaparrarsi i Ministeri che ritenevano più importanti, lasciando agli altri quelli ritenuti di serie inferiore; ogni volta l’agricoltura è rimasta come moneta di scambio). La voce di budget è da sempre limitata e non ha mai ecceduto lo 0,5 % del budget del Kosovo. Per capire la gravità di questo dato, tralasciando l’ottimo esempio della Politica Agricola Comune Europea - che assorbe gran parte del PIL dei suoi stati membri - possiamo prendere in considerazione il caso del vicino Montenegro, che dedica molto meno spazio alle risorse agricole, ritenendo giustamente il turismo fonte di maggiore aspettative, eppure ha un budget, a livello di valore assoluto, tre volte maggiore di quello del Kosovo.
Ci si rendi conto allora che sino ad oggi e per tutti questi lunghi otto anni di incontrollato e sfrenato afflusso estero di moneta, l’agricoltura non solo non ha ricevuto le dovute attenzioni, ma è stata quasi considerata come un freno allo sviluppo, un fattore di arretratezza del quale sbarazzarsi in nome di una presunta modernizzazione. Di fronte a queste scelte politiche, la naturale reazione della popolazione rurale dopo le incessanti ma inutili richieste di maggiore supporto istituzionale all’agricoltura è stata quella dell’abbandono delle terre agricole e conseguentemente quella di riversarsi in città in cerca di qualcosa di più redditizio da fare. Non ci si può certo lamentare di chi lascia la terra incolta visto che in questo stato di cose, con una forte ignezione di denaro internazionale, costa meno comprare prodotti dall’estero che produrli localmente. Tali comportamenti sociali sono la naturale conseguenza dello sviluppo selvaggio e maldrestro che la classe politica locale, con l’avallo della Comunità Internazionale, ha voluto far intraprendere al kosovo.
La devastazione è sotto gli occhi di tutti, basta infatti vedere le oltre millecinquecento stazioni di benzina sparse in lungo e in largo per il Kosovo, le tantissime piscine, i campi da calcio e le numerose e troppo spesso inopportune strutture alberghiere che distruggono per sempre la terra coltivabile. Ogni anno infatti tra i mille e i duemila ettari di terra coltivabile vanno perduti.
Recenti dati della FAO mostrano che questa regione ha 342 mila ettari di terreno coltivabile, una media di appena lo 0,18 ettari pro-capite. D’accordo con gli standards di sviluppo, i paesi che hanno una media di 0,15 ettari pro-capite, sono considerati paesi che non possono provvedere da soli all’autoproduzione di prodotti agroalimentari. Il Kosovo sta così intraprendendo una strada senza uscita. Senza annoverare la responsabilità di Unmik e del governo locale, mi limito a sostenere che il settore agricolo non ha ricevuto in Kosovo le dovute attenzioni, mentre invece doveva ricoprire un ruolo più determinante nell’agenda politica ed essere quanto meno volano per l’economia del Kosovo e per il benessere della sua gente.
Se il non autosostentamento è stato frutto di scelte politiche errate, da ora in poi potrebbero essere fattori come la mancanza di terreno agricolo a relegare il Kosovo in uno stato di perenne dipendenza dalla Comunità Internazionale, con le dovute ripercussioni interne a livello socio- politico e la conseguente stagnazione economica.
Con un certo ritardo si è finalmente capito il danno sino ad ora fatto e, per lo meno sulla carta, l’agricoltura ha acquistato maggiore spessore. Oggi il Kosovo ha una legge per la protezione delle terre coltivabili, ma da sola non basta. Servono strutture ad hoc che ancora non ci sono. È stato inoltre creato un valido documento, l’Agriculture and Rural Development Plan 2007/13 un testo corposo, il primo di questo genere, non soltanto per il Kosovo, ma per l’intera regione. Si tratta di una strategia che presenta un quadro completo ed esaustivo di dati insieme alla programmazione prossima futura che riguarderà il settore agricolo kosovaro per il periodo 2007-13 e fa riferimento anche a come affrontare le carenze legislative ed istituzionali. Peccato però che questo bel progetto per essere attuato alla lettera richiede altri 200 milioni di euro.
Certamente è giunta l’ora che i politici locali capiscano che se anche l’agricoltura non crea rapidi e consistenti redditi da lavoro, è capace di creare stabilità ed occupazione e un solido e duraturo sviluppo socio-economico. Solo così il settore agricolo potrà finalmente avere il ruolo che gli spetta, quello di forza trainante, soprattutto in un contesto prettamente agricolo ed in transizione.

articolo pubblicato sul sito di peacereporter.net

KOSOVO: LA VOCE DEL CONIGLIO