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mercoledì 3 agosto 2011

L'AFGHANO IN KOSOVO



A/SRSG Farid Zarif Arrives in Kosovo

PRISTINA – Mr Farid Zarif arrived in Kosovo on Tuesday to take up the leadership of UNMIK in his new role as the Acting Special Representative of the Secretary-General. 
Mr Zarif has an extensive field experience, having been UN Deputy Humanitarian Coordinator in Baghdad in the nineties, Chief of Staff of the UN Assistance Mission in Iraq (UNAMI) and later acting DSRSG of the UN Mission in Sudan (UNMIS).
A national of Afghanistan, Mr Zarif has been a career diplomat and Deputy Foreign Minister. Mr Zarif studied Law, Diplomacy and International Relations at the Faculty of Law and Political Science of Kabul University, the Afghan Institute of Diplomacy and Oxford University.
Since August 2010 he is the Director of Europe and Latin America Division of the Department of Peacekeeping Operations at UN Headquarters. 

mercoledì 27 luglio 2011

IL NORD KOSOVO: NUOVI SCONTRI, VECCHI PROBLEMI.


Il caso "Nord Kosovo" non solo non è stato mai affrontato seriamente, ma oggi, dopo oltre un decennio, si è trasformato in metastasi.
 
Torna a salire la tenzione nel nord del Kosovo lungo le frontiere 1 e 31, le principali vie di accesso per i cittadini e i prodotti serbi verso l'ex provincia della Serbia. Il motivo anche questa volta è politico ed economico allo stesso tempo. L’incidente sembra essere stato innescato da una disputa sugli scambi commerciali che avvengono lungo il confine. Dalla fine della guerra il Kosovo non ha mai potuto esportare i propri prodotti in Serbia per via di quel "Republika e Kosovës" contenuta sulle merci (la stessa cosa vale per i timbri sui passaporti che bloccano intere famiglie lungo questi confini). Al contrario, però, la Serbia ha sempre esportato grosse quantità di prodotti attraverso il confine kosovaro. Il flusso commerciale si è interrotto lo scorso 20 luglio quando il governo del Kosovo ha vietato l'ingresso dei prodotti provenienti dalla Serbia. Il mercato del Kosovo è fondamentale per la Serbia perché assorbe una fetta importante delle sue esportazioni. Il contrario non si può dire in quanto il Kosovo riesce a fare a meno dei prodotti serbi. Se questo blocco -lungo i confini mai riconosciuti dalla Serbia- è stato il primo serio stop delle merci serbe dal giorno dell'indipendenza del Kosovo, e rappresenta un enorme shock per la Serbia che oggi ha preso coscienza di quanto sia dipendente dalla sue ex provincia, le tensioni, invece, in questa striscia di terra risalgono all'immediato dopoguerra. Proteste, scontri, spari, lancio di granate, gas lacrimogeni, feriti e qualche morto. Il copione è sempre lo stesso. I protagonisti anche. Unmik e i suoi fratelli, che a mio modo di vedere hanno creato il caso "Nord Kosovo", recitano sempre lo stesso ruolo: quello di Fantozzi nel ruolo del finto pompiere. Dal dopoguerra Fantozzi ha diviso la città di Mitrovica letteralmente in due per poterla "gestire meglio", ha consentito il proliferare delle istituzioni parallele serbe, chiuso gli occhi sui traffici e il contrabbando nel nord, permesso ai cittadini serbi di violare la legge sotto i propri occhi. Rideva e si burlava quando sul ponte di Mitrovica vedeva i cittadini serbi cambiare le targhe alle macchine. Fantozzi ha cercato di non scontentare mai nessuno, ma tutte le volte che è scoppiato l'incendio, invece di prendere la pompa dell'acqua prendeva la biro e vestiva i panni del finto diplomatico. Anche questa volta, ovviamente.
 L'ultima letterina di Fantozzi il diplomatico:

UNMIK concerned about the ongoing situation in northern Kosovo
PRISTINA - Robert Sorenson, UNMIK Officer in Charge, expresses his deep concern for the ongoing situation in northern Kosovo and calls upon all parties to refrain from any action which could further exacerbate the situation. UNMIK strongly condemns the violence and believes that dialogue based upon mutual respect is the way forward for resolving issues. “UNMIK stands ready to assist in efforts to calm the situation. We call upon all parties to work with EULEX and KFOR to restore order and resolve issues through discussion and mutual understandings”, Mr. Sorenson said.

lunedì 20 dicembre 2010

IL VASO DI PANDORA SOTTO L'ALBERO. IL RAPPORTO MARTY


E' passata una settimana dal voto del 12 dicembre e il risultato delle elezioni non è ancora chiaro. Come se ciò non bastasse un pesante macigno è giunto all'indirizzo di Hashim Thaci. Questa volta l'accusa al Primo Ministro del Kosovo - non espressamente citato - con un passato da guerrigliero nelle file dell'UCK, lo vuole coinvolto in una rete criminale  che trafficava armi, droga e organi umani di persone scomparse. Il "serpente", così veniva chiamato dai suoi nemici interni, sembra essere alle strette.


Nonostante la netta vittoria elettorale, Thaci non è riuscito ancora a delineare la possibile squadra di governo che dovrebbe presiedere e, pochi giorni addietro, il CEC (Commissione Centrale per le elezioni) ha preso la decisione di far ripetere le elezioni in cinque municipalità dove sono stati riscontrati evidenti manomissioni del voto. Le aree coinvolte sono tutte situate nel cuore del Kosovo e, come Decani, Skenderaj, Malishevo e la stessa Drenas, sono state nel corso della guerra gli avamposti dell'UCK (esercito di liberazione del Kosovo), i luoghi più caldi del conflitto ed oggi i simboli della passata resistenza kosovara. Sono proprio questi i luoghi che collegano il passato al presente, i leader politici e la criminalità organizzata. La colla si chiama UCK ed anche il recente rapporto del Consiglio d'Europa (COE) lo certifica. L'avvocato svizzero e membro del COE, Dick Marty, ha aspettato che la campagna elettorale si svolgesse in un clima di assoluta serenità. Poi, con puntualità svizzera, una volta terminate le elezioni, ha presentato il suo rapporto ai 47 delegati degli stati membri del Consiglio. Il documento è frutto di due anni di indagini  e cita fonti di intelligence e di polizia. Ad essere franchi non svela nulla che non si sapesse già. Fatti gravi riguardanti il traffico di armi, droga e organi umani, erano conosciuti già da Carla del Ponte. La stessa Unmik possedeva informazioni delicate, ma per il quieto vivere ed a volte anche per la complicità di qualche alto funzionario (uno fra tutti l'ex numero due di Unmik, Steven Schook) sono rimaste chiuse nel cassetto. Alcuni di questi documenti, ben prima del caso Wikileaks, hanno visto la luce e sono ora consultabili (DOCUMENTI 01, DOCUMENTI 02, DOCUMENTI03). L'aspetto nuovo di questa vicenda è rappresentato dall'articolata denuncia che il Consiglio d'Europa ha fatto pervenire alle istituzioni europee insieme all'esplicita volontà di essere diffusa e quindi sostenuta con fermezza perchè il futuro del Kosovo non può essere costruito senza affrontare il suo passato. Il vaso di pandora è pronto per essere aperto. Chissà cosa troveremo sotto l'albero? Per il momento non ci resta che leggere il rapporto del Consiglio d'Europa 


articolo pubblicato su AgoraVox


giovedì 4 novembre 2010

VETEVENDOSJE: IL MOVIMENTO CHE VUOLE DIVENTARE UN PARTITO


Lo scorso 28 ottobre la direzione del movimento Vetevendosje (autodeterminazione, in lingua albanese) ha presentato il suo programma politico.

"Vetevendosje ha sempre lavorato dal di fuori delle istituzioni perchè non vuole omologarsi nè restare schiacciato dai pesci più grossi che dimorano nei palazzi del governo". E' passato meno di un anno da quando Albin Kurti, leader del movimento, ha rilasciato queste dichiarazioni e Vetevendosje ha deciso di cambiare pelle e trasformarsi in partito politico. Il programma presentato la settimana scorsa ha due priorità fondamentali: la costruzione dello stato e lo sviluppo socio-economico. Lo state building è inteso come soggettività, democrazia, giustizia e cittadinanza, mentre lo sviluppo socio-economico nelle intenzioni di Albin Kurti deve includere la creazione delle capacità produttive e un'equa redistribuzione della ricchezza per aumentare il benessere. Il programma si compone di 100 articoli (consultabile qui in lingua albanese) che contengono i principi e le priorità del movimento Vetevendosje. Al centro di quello che definiscono "stato attivo sovrano" c'è il popolo, fonte della sovranità. La presenza internazionale, con le loro tante agenzie, da sempre percepite dal movimento come macchina sperperatrice di denaro e corruzione, può continuare ad operare "a condizione che lavori in partenariato con il Kosovo, come stato sovrano, così come avviene negli altri paesi". Nel manifesto politico non mancano i richiami albanofobi e populisti: "Questo stato sovrano riconosce la Costituzione come lotta del popolo kosovaro-albanese per la libertà".  L'identità dello Stato, secondo la concezione di Vetevendosje, viene espressa dai simboli dell'identità nazionale albanese. Quello che potrebbe, però, creare non poche discussioni e risvegliare antichi fantasmi è la parte del documento che afferma "il Kosovo avrà il diritto di unirsi pacificamente e di concerto con l'Albania attraverso un referendum, qualora le rispettive popolazioni si esprimessero in tal senso". Inutile dire che "in tutto il territorio del Kosovo saranno garantiti i diritti umani fondamentali, quelli delle varie minoranze nazionali, religiose e culturali". Altro passaggio importante che viene menzionato nel programma-propaganda è quello che riguarda "i crimini commessi durante l'ultima guerra, la criminalità organizzata e le violazioni della sovranità da parte della Serbia con le sue illegali strutture parallele". L'opposizione "all'autoritarismo di Unmik", da sempre bersaglio di Vetevendosje, e la spinosa questione del nord del paese, si materializzano nel programma: "provvederemo a rimuovere il piano Ahtisaari che divide il Kosovo su base etnica e sostituire questo decentramento con un altro sistema basato sui diritti e i bisogni dei cittadini, rafforzando il potere di controllo del governo locale". E ancora "Siamo impegnati a rimuovere le strutture parallele della Serbia e stabilire il controllo delle frontiere al gate 1 e 31, nella parte settentrionale del paese. Restiamo contrari a qualsiasi tipo di statuto speciale per il nord del Kosovo. Abbiamo intenzione di investire nel rilancio della capacità industriale di Mitrovica, al fine di creare posti di lavoro e aumentare il benessere della gente". Tutela dei diritti umani, della proprietà, misure economiche, sviluppo, difesa militare, welfare, istruzione, politica estera e integrazione UE, non manca proprio nulla e tutto sembra filare liscio. Peccato che l'unica nota fuori luogo sia proprio questo manifesto politico.


sabato 15 maggio 2010

IL CASO "LLAPI GROUP" E LA NUOVA STAGIONE EULEX


Nell'ottobre del 2009 la Corte distrettuale di Pristina, composta da un giudice del Kosovo e due di EULEX, ha emesso un verdetto relativo al caso "LLAPI GROUP". Tale gruppo, costituito da uomini appartenenti all'UCK (esercito di liberazione del Kosovo), durante la fase più acuta del conflitto 1998-1999 ha compiuto violenze e uccisioni nei confronti di tutti coloro che riteneva "traditori", "collaborazionisti dei serbi" o potenziali nemici per il controllo futuro dell'ex provincia serba. Latif Gashi, Nazif Mehmeti e Rrustem Mustafa, posti ai vertici della struttura, sono stati giudicati colpevoli di crimini di guerra per il trattamento disumano inflitto ai prigionieri civili, per la violenza e la tortura perpetrata ai danni dei detenuti civili. Un quarto uomo Naim Kadriu, anch'esso ritenuto colpevole nel processo del 2003, nel frattempo è deceduto.
- Latif Gashi condannato a 6 anni di carcere 
- Nazif Mehmeti condannato a 3 anni di carcere. 
- Rrustem Mustafa condannato a 4 anni di carcere.
I tre non sono persone qualunque. Gashi appartiene alla National Intelligence Service, un'organizzazione ombra formata nel 1999 dal governo provvisorio del Kosovo, Mehmeti è un membro del Servizio di polizia del Kosovo e Mustafa, conosciuto come Remi, era un alto comandante dell'UCK ed ora siede in Parlamento nelle fila del Partito Democratico del Kosovo, PDK, e ricopre anche la carica di presidente della commissione per gli affari interni e la sicurezza nazionale.
COS'E' SUCCESSO? 
Da ottobre 1998 fino ad aprile 1999, Latif Gashi, Nazif Mehmeti e Rrustem Mustafa, agendo di concerto con altri individui non identificati, hanno ordinato e compiuto violenza nei confronti di civili albanesi detenuti nel centro di detenzione situato a Llapashtica/Lapaštica, lasciandoli in condizioni disumane, privandoli di servizi igienici adeguati, senza cibo, acqua e le necessarie cure mediche. Il trio ha applicato misure di intimidazione e di terrore, ordinato e partecipato a pestaggi e torture nel tentativo di costringere i detenuti a confessare atti di slealtà verso l'UCK. Questo tragico caso iniziò con la raccolta di dati e testimonianze nel 2001/02. Nel 2003 iniziò il primo processo e furono emesse le sentenze di condanna.Nel 2005, però, la Corte Suprema del Kosovo chiese un nuovo processo. Si è giunti così alla data del 7 luglio 2009: il nuovo processo venne riavviato e la Corte distrettuale di Pristina condannò i tre criminali. Ma subito dopo cos'è successo? L'arresto di questi loschi figuri albanesi ha provocato un'ondata di proteste contro la comunità internazionale. L'associazione dei veterani dell'UCK, quella degli invalidi di guerra dell'UCK e delle famiglie dei martiri, hanno portato in piazza 5.000 manifestanti albanesi per chiedere a gran voce la liberazione del trio. I manifestanti hanno attaccato la polizia internazionale e minacciato le guardie locali dell'OSCE. La nuova missione EULEX non si è lasciata intimidire da questi eventi e pare decisa ad aprire un nuovo capitolo e accantonare la strategia sino ad ora usata da Unmik, fatta di immobilismo verso i criminali anche di fronte a prove certe. Questo nuovo messaggio di Eulex è arrivato a molti, anche ad Hashim Thaci. Il Primo Ministro e uomo vicino agli accusati, non si è scomposto e ha fatto sapere di essere fiducioso per l'assoluzione degli imputati dalle accuse. Come devono essere intese le parole di Thaci? Avra lanciato qualche segnale ai suoi? E' presto per capire se questa presunta nuova stagione di Eulex sia qualcosa di più sostanzioso di un semplice fuoco di paglia. Non ci resta che attendere.
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lunedì 10 maggio 2010

MAFIA LIKES FOG, LIKE WOLVES

 Intervista del TG2 a Giuseppe Ciulla e Vittorio Romano, autori del libro "Lupi nella nebbia"

domenica 2 maggio 2010

tUNg tUNg



Rrezeart Galica è un giovane artista e fa parte di quel 62% della popolazione sotto i 30 anni  di cui è composto il Kosovo, il paese con la più giovane popolazione d'Europa. I trentenni di oggi sono quelli che hanno visto con gli occhi  innocenti -quelli di un bambino- il dramma della guerra, la fuga ed i cadaveri dei loro cari. Una generazione, quella nata negli anni 80, cresciuta a pane ed "imposizione". Prima con i serbi e poi con la missione internazionale della Nazioni Unite, diversamente conosciuta col nome di UNMIK. Come avviane anche dalle nostre parti i detentori del potere o i presunti tali sono bersaglio di critiche e slogan. Su di loro, qui in Kosovo, si potrebbe pubblicare un book fotografico.
"TUNG" (arrivederci, ciao, in lingua albanese) è l'opera realizzata da Galica. Personalmente credo che esprime molto bene quel senso di "occupazione" tanto sentito tra la gente locale.


Guarda le altre opere di Rrezeart Galica


P.S. Sento il dovere di precisare, specie dopo gli ultimi articoli pubblicati, che il mio giudizio sulla missione internazionale di Unmik prima ed Eulex poi era e rimane positivo....Certamente, col senno di poi, si sarebbe  potuto fare di meglio.


giovedì 22 aprile 2010

EULEX BEST PRACTICES


Sono venuto a conoscenza, certo non dalla stampa, che sedici rumeni apparteneti alle forze di polizia FPU di Eulex sono stati fermati ed accusati di contrabbando di sigarette e di liquori. Stavano per ritornare in Romania con un autobus-navetta della missione Eulex, ma giunti alla frontiera con la Macedonia sono stati bloccati dalle autorità macedoni. Dai controlli effettuati sono state rinvenute 400 stecche di sigarette e 300 litri di liquori. La notizia molto probabilmente non creerà alcun scalpore. Si continuerà invece a parlare, con una certa faciloneria, del Kosovo come di "quel buco nero nel cuore dell'Europa", di quella piccola striscia di terra meta di traffici illeciti e criminalità organizzata, anche se non ci sono fatti concreti che possano far pensare a tutto ciò.Qui, l'unico elemento certo è la presenza, da dieci anni, di circa 15 mila soldati della Kfor e servizi segreti di mezzo mondo che non sono riusciti a scoprire un bel nulla. Anzi, se proprio bisogna dirla tutta, va rilevato che in più occasioni sono stati proprio gli internazionali stessi - militari, alti funzionari di Unmik, consulenti - ad essere stati beccati con le mani nel sacco. Un Paese grande quanto l'Abruzzo e con tutti questi soldati dovrebbe essere uno dei posti più sicuri del mondo. E invece?

giovedì 11 febbraio 2010

L'"IN"GIUSTIZIA DI UNMIK

Nel terzo anniversario dell'uccisione di due giovani attivisti del movimento Vetevendosje, Mon Balaj e Arben Xheladini, le famiglie e il movimento di Albin Kurti chiedono giustizia. Era il 10 febbraio 2007 quando due ragazzi appena ventenni, durante accese proteste nel pieno centro di Pristina, furono uccisi dalle forze di polizia Unmik di nazionalità romena, schierate quasi sempre in prima fila in presenza di eventi del genere, insieme ai loro colleghi pakistani, moldavi o marocchini. La stampa locale oltra a riportare questa notizia parla anche dell'indigno dei familiari per l'insulto ricevuto dalla proposta di Unmik, quella cioè di offrire 55 mila euro come compensazione per le vittime e per rinunciare, ovviamente, alle vie legali. L’ingiustizia e la beffa, sollevate dalla stampa locale, hanno spinto, sempre nella giornata di ieri, i vertici di Unmik a indirizzare una nota di precisazione alla stampa.



Note to the media: Facts regarding the UN’s compensation process related to deaths and injuries caused during the 10 February 2007 protest.
This note is intended to clarify mischaracterizations that have appeared in the media regarding the processes related to the events of 10 February 2007 Special Representative of the Secretary-General (SRSG) Lamberto Zannier has taken a keen interest in the processes related to the events of 10 February 2007, and fully supports all ongoing efforts to ensure that compensation is provided to the families of the deceased and to those injured during the protest. While no amount of money can make up for the loss of life and injuries suffered on 10 February 2007, compensation can help the injured and families with expenses. Since 2007, UNMIK has been engaged with the families in the compensation process. As a result of these efforts, United Nations headquarters applied the Third Party Claims process, the UN procedure for providing monetary compensation for lost earnings suffered by individuals or their dependents. In this context, last summer the SRSG met with the families of Messrs. Balaj and Xheladini and individuals who were injured. He personally apologized to them on behalf of the UN for the events of 10 February 2007.He stands by this apology today. Following repeated consultations with the lawyers of the families and the other claimants, the United Nations formally offered compensation late last year. Whether to accept the compensation is a personal decision to be made by the families and the individuals involved. However, contrary to erroneous reports in the media, the compensation process and the acceptance of the compensation offered by the UN are separate from any criminal investigation proceedings related to the case. The SRSG firmly believes in the families’ right to seek justice. He understands their frustration and will continue to raise the issue with the relevant member state.

mercoledì 18 novembre 2009

ALBIN KURTI, IL LEADER RIBELLE DEL MOVIMENTO VETEVENDOSJE

L'ex studente ribelle, Albin Kurti, è cresciuto, ma sembra non aver abbandonato mai la strada della protesta. Sin dal periodo universitario, da quando a Pristina si organizzavano le prime proteste contro il regime serbo, Albin Kurti ha continuato ad essere un elemento perturbatore della piatta e asfittica società kosovara. Fedele alla protesta, spesso connotata da eventi violenti e vandalici, il giovane Albin guida dal 2005 il Movimento Vetevendosje ("Autodeterminazione"). Persona colta ed istruita, Kurti, dietro la sua alta statura e minuta ossatura, sembra nascondere un carattere davvero forte. Si possono condividere o meno le idee e le attività di Vetevendosje, ma bisogna prendere atto che questo movimento, i cui attivisti sono soprattutto giovani universitari, è l'unico movimento culturale e politico del Kosovo con una forte vocazione popolare. Per certi aspetti, il movimento di Kurti potrebbe essere paragonato alla Lega Nord, in particolare alla prima fase del movimento padano, quando allora faceva parlare di se più per la spettacolarizzazione delle proteste (con i propri simboli, gadgets e rituali) che per il contenuto effettivo che le alimentava. Vetevendosje, dalla data della sua fondazione, lavora sempre dal di fuori delle istituzioni perchè "non vuole omologarsi e restare schiacciato dai pesci più grossi che dimorano nei palazzi del governo" dice il suo leader. "Per adesso combattiamo da fuori, ma non escudiamo un domani di creare un partito" afferma sempre Albin Kurti.
Il Movimento Vetevendosje negli anni ha organizzato accese battaglie contro la corruzione della classe politica kosovara, contro le imposizioni del "dittatore" Unmik, "i cui alti gerarchi confabulano e vanno a pranzo con i criminali" continua Albin, contro Unmik-Eulex e la Polizia Internazionale che non fanno rispettare la legge e l'ordine nel nord del Kosovo. Le battaglie di Vetevendosje sono anche a favore dello smantellamento delle istituzioni parallele serbe, e contro l'istituzione di nuove municipalità serbe nel centro del Kosovo che, agli occhi di Albin Kurti, paiono ricreare una situazione simile alla Bosnia Hertzegovina ovvero di quello che sembra essere "un unico paese visto dal di fuori, ma diviso se lo si guarda da dentro".


Sono principalmente queste le lotte che Vetevendosje porta avanti, rare volte pacificamente, la maggior parte delle volte con metodi che possono sfociare in rappresaglie e scontri. Basti pensare che nel febbraio del 2008 due attivisti rimasero uccisi nel pieno centro di Pristina durante una delle tante controverse manifestazioni del movimento. Alcuni militari rumeni furono accusati in quell'occasione di aver sparato proiettili di gomma ad altezza uomo. Il clamore iniziale si raffreddò però nel giro di qualche settimana, dei rumeni più nulla. Ultimamente, con il passaggio da Unmik ad Eulex, i loro attacchi si sono spostati verso "il nuovo dittatore europeo", parafrasando sempre Kurti. Al leader di Vetevendosje dieci anni di "dominio internazionale" sembrano eccessivi, non sembrano interessare le decisive tappe di ricostruzione e di supporto alle istituzioni locali che Unmik prima, ed Eulex poi, hanno realizzato, anzi vede nel loro intervento, che ha portato milioni e milioni di euro in Kosovo, uno dei mali recenti del suo paese. Albin guarda lontano e vuole vedere il suo paese pienamente indipendente e sovrano senza più vincoli, condizionamenti e imposizioni che vengono dall'esterno. Quasi come se l'indipendenza fosse un percorso obbligato e la ricostruzione delle infrastrutture e delle istituzioni un gioco da ragazzi!


venerdì 5 dicembre 2008

I SEI PUNTI



I tanto discussi sei punti proposti dal segretario generale Ban Ki-moon a Belgrado e Pristina - una volta raggiunto l'accordo di massima con la Serbia- sono stati approvati all'unanimità dal Consiglio di Sicurezza. Il nuovo piano dell'ONU, di seguito riportato, rappresenta l'ennesima acrobatica alchimia diplomatica dell'Occidente con l'intento di ri-uscire dalla controversa realtà sopraggiunta all'indipendenza.
Senza entrare nel merito di questa o quella posizione (pro-indipendenza o meno) mi limito a far presente che le rocambolesche giravolte fanno molto male ai cittadini di ogni etnia e schieramento che vivono oggi in Kosovo e solo a loro. Non si può ogni volta sventolare la bandiera della convenienza politica, giocare al gioco della carota e del bastone, sostenere prima una posizione e insieme una visione, poi il suo opposto, provocandone prima il rancore di Belgrado ora quello di Pristina. I sei punti, con piccole variazioni, non rappresentano altro che la realtà del Kosovo precedente al 17 febbraio 2008, dove la risoluzione ONU 1244 era la cornice giuridica di riferimento. Non aggiungono nulla di eclatante. Anzi, sottraggono lo zuccherino che era stato dato dalle maggiori potenze occidentali al Kosovo, l'indipendenza come possibile soluzione pacifica del conflitto. Perchè, mi chiedo, questo nuovo piano in sei punti non è stato presentato prima del Piano Ahtisaari?, in modo tale da fermare quel processo indipendentista che proprio l'Occidente aveva partorito? La virata di questi giorni, con l'approvazione dei sei punti, sarà la premessa di nuove tensioni tra i due eterni rivali, l'opposto di quello che vanno predicando sempre ONU, Unmik e ora Eulex. Onestamente penso che solo così, con una situazione sempre tesa, conflittuale e appositamente creata, i nostri beniamini dell'"ordine" e della "democrazia" possono trovarvi interesse per agire e operare, con la compiacenza appunto della comunità internazionale che li paga profumatamente.


I sei punti del piano Onu (fonte Osservatorio sui Balcani)

1- Polizia: Nei territori abitati da popolazione serba le forze di polizia restano sotto l'attuale catena di comando, supervisionata dalla polizia internazionale. Gli ufficiali serbi vengono nominati dal capo dell'Unmik.

2 - Dogane: I doganieri internazionali tornano a controllare i valichi confinari nel nord del Kosovo, nella cornice della risoluzione 1244.

Viene incluso anche un protocollo di collaborazione tra la Serbia e il Servizio Dogane dell'Unmik. E' prevista l'apertura di un ulteriore valico a Kamenica. La maggior parte degli introiti raccolti alle frontiere andrà alle amministrazioni locali, una parte minore al governo di Pristina.

3 - Tribunale: Il tribunale di Mitrovica nord rimane sotto controllo dell'Unmik. Giudici e procuratori locali saranno nominati nella cornice della risoluzione 1244.

4 - Infrastrutture: Verranno iniziati appositi negoziati.

5 - Confini: Nella cornice della 1244, la Nato continuerà ad esercitare l'attuale mandato di garante della sicurezza.

6 - Tutela del patrimonio culturale serbo: E' necessario continuare il dialogo tra Pristina e Belgrado, nel quale dovrà essere coinvolta anche la Chiesa Ortodossa Serba.


mercoledì 19 novembre 2008

EULEX: MISSION IMPOSSIBLE


La situazione socio-politica in Kosovo è tornata nuovamente ad essere tormentata e confusa. La partita tra, Onu, le cancellerie occidentali, Unmik, che dovrebbe tornare a casa, ed Eulex, la nuova missione civile di stampo europeo prossima ad entrare in azione, sembra non finire mai. Il gioco-forza delle diplomazie occidentali, arbitri-registi-piloti di questa partita, non ha certo permesso di chiudere, una volta per tutte, la questione kosovara. L'Europa, forte del fatto di avere ben 22 stati su 27 che si sono espressi favorevolmente al riconoscimento del Kosovo indipendente, avrebbe potuto agire diversamente. Ma i tentennamenti dell'Europa non aiutano certo a sbloccare la situazione del Kosovo, che ripetiamo, anche per queste ragioni, è ritornata ad essere molto ingarbugliata. Va tuttavia tenuto presente che tutti gli stati che hanno riconosciuto il Kosovo indipendente, Italia compresa, hanno preso un impegno nei confronti del Kosovo e del Piano Ahtisaari, ma hanno ancora un impegno con Belgrado, con la risoluzione Onu 1244 che è ancora legge. Questa posizione schizofrenica dell'Europa o riconverge presto al palazzo di Vetro di New York oppure diventerà sempre più insostenibile. In sostanza negli ultimi mesi si sono registrate delle evoluzioni-involuzioni che potrebbero essere così riassunte. Eulex, la missione civile, che era pronta da circa sei mesi ad operare in Kosovo, è ancora ferma per via dei veti della Serbia che sino a una settimana fa si è mostrata contraria all'entrata in azione della missione europea in Kosovo, manifestando apertamente lo scontento anche con proteste organizzate a Mitrovica e Gracanica. La Serbia non permetterà a Eulex di operare perchè ciò significherebbe accettare da parte delle autorità di Belgrado le evoluzioni avvenute in Kosovo e riconoscere apertamente l'allontanamento di Pristina dal controllo di Belgrado. Questo è il succo dell'azione politico-diplomatica giocata da Belgrado. L'Unione Europea ne ha preso atto ed ha capito che qualsiasi forzatura nel dispiegare la sua missione avrebbe potuto rivelarsi una mossa assai rischiosa. Sul versante kosovaro, le euforiche autorità di Pristina, sin dal giorno stesso della dichiarazione d'Indipendenza, hanno sempre espresso un parere favorevole alla missione Eulex ed hanno sempre spinto i governi europei ad accelerare tale missione. Da meno di una settimana le posizioni di Belgrado e Pristina per quanto fossero schiette, forti e sincere si sono completamente ribaltate. Questo si è verificato quando è giunto ai loro rispettivi indirizzi il piano in sei punti del Segretario Generale dell'Onu Ban Ki-Moon sulla riconfigurazione di Unmik, accordo che, di fatto, darebbe l'avvio al dislocamento della missione europea. Le pressioni ed i contatti delle Nazioni Unite, proprio per ammorbidire le posizioni serbe e cercare di trovare un buon compromesso, hanno spinto Belgrado a leggere e ad interpretare i sei punti dell'Onu con un'altra enfasi. Si è trovato un parziale compromesso. Le autorità serbe hanno espresso un parere favorevole all’implementazione del Piano con Belgrado che si è detta pronta ad accettare la presenza di Eulex in Kosovo a tre condizioni:
  • che la nuova missione venga dispiegata con l'approvazione del Consiglio di Sicurezza dell'Onu
  • che la nuova missione sia neutrale riguardo alla status del Kosovo (il messaggio di Belgrado è quello di far capire che la risoluzione Onu 1244 è ancora in vigore, quella che afferma in un suo punto che il Kosovo è una regione della Repubblica della Serbia)
  • che la nuova missione non faccia alcun riferimento al Piano Ahtisaari (piano post 1244 che prevede, invece, la gestione dell'indipendeza del Kosovo).
L'apertura condizionata di Belgrado è stata accettata dalle varie cancellerie con grande ottimismo. Lo scoglio più duro si pensava fosse superato e con esso sbloccato lo stallo Eulex . Si sono però sottovalutate le naturali reazioni di Pristina. Il lavoro dei diplomatici occidentali accreditati in Kosovo a nulla è valso per trovare un accordo di massima sui sei punti del nuovo Piano Onu, anzi in quelle circostanze le autorità di Pristina hanno avuto modo di esprimere e ribadire una posizione che sembrava ormai essere chiara a tutti. Sia il Presidente del Kosovo, Fatmir Sediu, che il Primo Ministro, Hasim Thaci, hanno espresso il loro interesse a rafforzare il dialogo e contribuire all'estensione della nuova missione Eulex, nel rispetto, però, del Piano Ahtisaari, della Costituzione del Kosovo e delle sue leggi. Sediu, ha affermato che "nessuno decide per il Kosovo" e che "per il paese sono responsabili le istituzioni nazionali". Neanche il sottosegretario del governo americano, Daniel Fried è riuscito, per il momento, a far digerire a Pristina questo boccone amaro. Fried, in missione in Kosovo ha cercarto di pacare gli animi e convincere le autorità kosovare a vedere i sei punti dell'Onu come il presupposto logico per far entrare in azione Eulex. Nulla, Pristina ha rigettato il piano in quanto, a detta di Hasim Thaci, "non si tratta di una proposta della Comunità Internazionale, bensì di Belgrado, che Pristina non accetta in questa forma e contenuto". Il Primo Ministro del Kosovo ha affermato anche che il sogno di Belgrado sul Kosovo dovrà svanire per sempre. “Sulla sovranità e l'integrità del Kosovo non ci sarà mai nessun compromesso con Belgrado" sentenzia. Commenti lapidari che lasciano intendere come il clima di questi giorni sia cambiato. Si sono registrate, infatti, nei giorni scorsi una serie di vicende preoccupanti come l'ordigno esploso appena fuori la sede dell'ICO (International Civilian Office), le crescenti proteste e intimidazioni a Mitrovica, sfociate in scontri e tafferugli, le scritte innegianti l'UCK apparse su alcune case nel Bosnian Mahalla, quartiere misto di Mitrovica, e le proteste di movimenti, come Vetevendosje, contro quelli che definiscono "nuovi diktat" per il Kosovo. Il clima si è arroventato e la Comunità Internazionale c’ha messo del suo. Sono naturali le proposte di Belgrado, così come altrettanto legittime lo sono quelle di Pristina. Nella normale dialettica politica, per questioni importanti e cruciali, il lavoro sin qui svolto dalle due parti in causa pare essere più che giusto: ognuno cerca di dar peso alle sue prospettive, cercando di portare quanta più acqua possibile al proprio mulino. Quello che trovo assurdo è invece l'atteggiamento altalenante della Comunità Internazionale, che disposta a uscire dal vicolo cieco in cui si è trovata (Eulex aspetta di partire ormai da diverso tempo), usa tutti gli strumenti a sua disposizione, spesso anche contraddicendosi. Le reazioni e la chiusura di Pristina ai sei punti possono essere facilmente comprensibili se si presta attenzione al contenuto degli stessi. Questi punti immagino che infastidiscono Pristina perchè, se implementati alla lettera, consentiranno alla Serbia, per le aree kosovare a maggioranza serba, di pronunciarsi su aspetti cruciali della vita quotidiana, dalle dogane, alla polizia locale, alla protezione dei monumenti culturali e religiosi, alle comunicazioni e alle questioni legate all'ordinaria amministrazione che si credevano risolti per sempre. Non sono sicuro se si uscirà presto da quella che sembra una "missione impossibile", ma di sicuro il dispiegamento di Eulex previsto in un primo momento a giugno del 2008, poi spostato a settembre, previsto forse per il 2 dicembre, pare che partirà, su tutto il territorio del Kosovo, nel marzo del 2009. Eulex non credo riuscirà a dispiegarsi il 2 dicembre, ma "non si può nemmeno ritirarla perchè sarebbe una sconfitta" dicono in molti. Non si può nemmeno dispiegarla solo nelle aree albanesi perchè quest'ultimi non l'accetterebbero. Alla fine, quasi sicuramente il 2 dicembre, con basso profilo, si dichiara la partenza della missione in maniera "graduale", iniziando ovviamente nelle aree albanesi ma con promessa che appena pronti i cioccolatini si andrà anche nelle aree serbe.

articolo pubblicato sul sito di carta.org


venerdì 4 luglio 2008

KONFUSIONE KOSOVO

Caldo, sole e afa stanno facendo da sfondo qui in Kosovo ad una situazione a dir poco emblematica. Definirla confusione sarebbe un eufemismo.
L’Unione Europea si sta preparando ad organizzare la Conferenza dei Donatori per il Kosovo. Si presume che altri soldi presto arriveranno nel paese. Le autorità locali del neonato 193° Stato hanno lavorato tanto per arrivare all’incontro con idee e progetti concreti e chiederne l’immediata implementazione. Ma quello che troveranno nella capitale belga sarà anche dell’altro. A dare il benvenuto alle autorità del Kosovo sarà il logo dell’evento attentamente creato per non suscitare malumori all’interno degli stati membri dell’EU, in particolare di quelli che non l'hanno riconosciuto.
Nonostante i 2/3 dei paesi menbri dell’Europa abbiano risposto positivamente al riconoscimento, infatti, sul logo ufficiale che apre la conferenza l’11 Luglio a Bruxelles, verrà riportato ben in vista il nome “Kosovo”, ma una nota chiarirà per bene che in questo posto (il Kosovo appunto) è in vigore la risoluzione Onu 1244 – nella quale si afferma che il territorio è parte integrante della Serbia.
Effettivamente è ancora in vigore la 1244 con la quale il Consiglio di Sicurezza ha potuto operare in Kosovo dal 1999 istituendo a suo tempo la Missione Unmik.
Se quest’ultima si trova ancora qui sul suolo kosovaro ad operare è per via di questa risoluzione che per essere superata ha bisogno del nulla osta di tutto il Consiglio di Sicurezza (la Cina non si pronuncia e lascia fare all’amica Russia). I 120 giorni per organizzare il rientro di Unmik previsto per metà giugno sono passati e il suo personale si sta preparando ad una nuova riconfigurazione che li vedrà impegnati quanto meno fino alla metà di ottobre, anche se con un ruolo leggermente più limitato per non offuscare le neonate istituzioni del Kosovo e la stessa Eulex.
Constatiamo ora che anche per l’Europa questa risoluzione è ancora in vigore. Sarà forse un facile espediente per aggraziarsi la Russia e poi la popolazione serba per far finalmente partire, dopo varie lungaggini, la tanto attesa missione Eulex?
Bisogna notare, inoltre, che non è l’unico controsenso di questi giorni.
Di sicuro nel mese di giugno ci sono state tante novità in questa direzione. Ricordiamo appunto l’entrata in vigore della Costituzione della Repubblica del Kosovo il 15 giugno, così come quella del parlamento serbo di stanza a Mitrovica, composta dai membri eletti alle ultime elezioni serbe, tenutesi anche in Kosovo. Nonostante le asciutte dichiarazioni di Rucker -dell’ormai ex capo di Unmik- di considerare nulle le elezioni locali dell’11 maggio, l’assemblea, formata però solo da due partiti politici, si è riunita il 28 di giugno (lo storico giorno di San Vito), senza grandi cerimoniali e senza impressionare nessuno, ma facendo riflettere tanti.
Da un'altra angolatura, quella dell’International Steering Group –ISG - la situazione per il Kosovo è più colorita. L'ISG, struttura formata da 25 Stati (20 Europei che hanno riconosciuto l’indipendenza, oltre a Croazia, Norvegia, Svizzera, Turchia e Stati Uniti) che supervisionerà la nuova presenza internazionale in Kosovo, ha espresso pieno supporto per la partecipazione di Pristina nelle varie Organizzazioni Internazionali come il Fondo Monetario, per garantire la stabilità sociale ed economica dell’intera area. Sarà invece un po’ più difficile pensare all’ingresso del Kosovo in strutture come l’OSCE dove il peso della Russia e della Serbia si fa sentire.
Sul fronte Eulex le cose non vanno per niente bene. La nuova missione avrebbe già dovuto prendere impiego alcuni mesi addietro, ma ancora oggi fa fatica a posizionarsi. L'inviato speciale EU per la status del Kosovo, Stefan Lehne, recentemente ha espresso l’augurio di poter vedere tutto il suo team operare presto su tutto il territorio del Kosovo, incluse le aree del nord a maggioranza serba. C’è infatti, per il momento, il niet assoluto da parte della Russia sul dispiegamento di questa nuova missione se non la si inserirà sotto l’ombrello ONU, e nel nord oggi è implicitamente vietato circolare per qualsiasi macchina targata EU.
La costituzione intanto è entrata in vigore e l’attuazione in ogni parte del suo territorio (dall’Ibar in su) è lontana se non impossibile da implementare. Lo sa bene il nuovo sindaco di Mitrovica, Bajram Rexhepi, che ha mosso dure critiche nei confronti di Unmik in quanto, a detta di Rexhepi, la missione collabora con i rappresentanti delle strutture parallele serbe, per la semplice ragione di non averle considerate illegali e non aver prestato fede, quindi, alle parole dell’ex numero uno di Unmik. Rexhepi la scorsa settimana ha anche invitato le autorità internazionali e di peacekeeping (i militari di Kfor per intenderci) presenti sul territorio a vigilare e far si che la legge del Kosovo venga applicata anche nella parte nord di Mitrovica. In questo clima di confusione e con temperature che superano abbondantemente i 30 gradi sta diventando difficile sbrogliare la matassa, e c’è chi, come il funzionario di nazionalità russa che lavora per Unmik, come riportato l’altro ieri (2 Luglio) dal giornale albanese Lajm, giunto all'aeroporto di Pristina si rifiuta di farsi mettere il nuovo timbro della Repubblica del Kosovo sul suo passaporto, pretendendo invece quello vecchio di Unmik.
Il capitolo indipendenza è da poco iniziato. Ci saranno ancora tanti paragrafi da scrivere, ma di sicuro una cosa appare evidente: il progetto americano dell’indipendenza sta subendo duri colpi. Di questo sono ben consci i serbi di Mitrovica che si mostrano molto più distesi in viso, se non sorridenti.


domenica 18 maggio 2008

DOPO L'11 MAGGIO

L’11 maggio è passato e le elezioni serbe in Kosovo si sono tenute in un clima sereno e tranquillo. Non sono stati riportati importanti brogli elettorali nè scontri ai seggi, tranne un unico caso isolato in un’enclave serba tra un piccolo gruppo di elettori e la commissione. Fatto irrisorio comunque. Di questa domenica di maggio due elementi balzano agli occhi: una discreta affluenza alle urne e l’espressione di un voto radicale. Il partito di Nicolic (SRS) ha fatto il pieno dei voti qui in Kosovo.
La vittoria dell’ala più morbida e filo-europea è sicura
mente un ottimo risultato e potrebbe aprire scenari nuovi e più colorati, non da ultimo l’implementazione dell’Accordo di Associazione e Stabilizzazione che aprirà la strada alla cooperazione economica –milioni di euro quindi- tra l’Unione Europea e la Serbia, con risvolti positivi per il Kosovo stesso.
Questa vittoria di Tadic, il carismatico leader del Partito Democratico (D
S), è stata accolta con un certo gradimento dagli ambienti politici kosovari e dalla sua stessa società civile. Ci si augura, pertanto, che aria fresca possa presto arrivare qui in Kosovo nella calda stagione estiva alle porte, dopo aver compreso, però, che quest’ultimo voto uscito dalle urne del Kosovo (115.000 erano i cittadini registrati) è un voto estremista che racchiude malcontento e rabbia, in controtendenza rispetto al resto della Serbia.

É bene fare un passo indietro e cercare di inquadrare il contesto in cui sono maturate queste elezioni. Praticamente in seguito all’autoproclamazione dell’indipendenza del Kosovo ed ai disaccordi venutisi a creare all’interno del governo Kostunica, quest’ultimo per queste ragioni l’8 Marzo si dimette. Nove giorni dopo (17 Marzo) avvengono gli scontri a Mitrovica per l’occupazione del tribunale penale da parte di un gruppo di dipendenti stessi. Nel corso di tali scontri un giovane di vent’anni, soldato di nazionalità ucraina della Kfor, perde la vita ed altre 150 persone, tra dimostranti e soldati del contigente Kfor, rimangono feriti. Sul caso ci sono ancora accertamenti in corso ed un team dell’ONU composto da quattro esperti è venuto appositamente da New York per svolgere le dovute indagini e cercare di ricostruire l’accaduto. Ma quel che è certo è che sono state commesse alcune leggerezze da parte di Unmik, nel consentire prima e per un arco di tempo lungo (4 giorni) l’occupazione del tribunale, e come conseguenza di ciò, l’aver deciso di intervenire, per allontare gli occupanti, proprio il 17 marzo giorno dell’anniversario degli scontri del 2004, ben più tragici di quest’ultimi. La decisione di occupare il tribunale, da parte del gruppo serbo, è stata indubbiamente un atto forte, illegale, l’ennesimo atto di forza commesso dalla Serbia nei confronti di Unmik. Una cosa è certa: il tribunale non andava occupato ma anche Unmik non doveva intervenire proprio quel giorno, anche se poco o nulla sarebbe cambiato sul piano mediatico. Intervenire infatti due giorni prima o uno dopo non avrebbe cambiato nulla (i fatti di marzo del 2004 si svolsero dal 16 al 19). Da allora però molte Organizzazioni internazionali operanti a Mitrovica nord hanno dovuto fare i conti con una popolazione provata, amareggiata e diffidente verso il personale internazionale, ed hanno dovuto fare marcia indietro, arretrando o azzerando il lavoro implementato in anni. Inutile però dilungarsi su questo fronte che occupa un’altro capitolo. Altro elemento intercorso durante questo breve periodo, avvelenando ulteriormente il clima e l’animo della popolazione serba, è stato il verdetto finale del Tribunale Internazionale dell’Aia che non ha ritenuto colpevole per i reati di genocidio, stupro e violenze Ramush Haradinaj, l’ex Primo Ministro del Kosovo, riabilitandolo quindi come leader kosovaro.

E’ in questo clima che si è tenuta la breve campagna elettorale, e per di più in un momento di piena crisi Unmik sopraggiunta dopo tale evento. Nell’ultimo periodo, 18 marzo-10 maggio, Unmik ha cercato, ma ancora non c’è riuscita, una possibile via d’uscita e di tenuta alla crisi che la sta attraversando –crisi di management e di leadership al vertice, mentre la Serbia ha tentato più volte di forzare la mano, prima con l’invio di ingenti aiuti umanitari dalla Russia di Putin indirizzati alle enclaves serbe del Kosovo senza chiedere il dovuto coinvolgimento nelle procedure e nella gestione di tali aiuti a Unmik e le istituzioni kosovare (evento che ha creato non poco imbarazzo tra la comunità internazionale presente in Kosovo ed Unmik stessa). Poi, nonostante il parere contrario dell’amministrazione internazionale in Kosovo, i centri decisionali a Belgrado hanno deciso di tenere anche qui nella loro provincia le elezioni per il rinnovo del Parlamento e delle amministrazioni locali. L’impasse causata dalla titubanza iniziale e non-decisione in merito da parte di Unmik è stata superata dal loro acconsentire solo alle elezioni politiche sul territorio, in quanto viene riconosciuta ai serbi kosovari la doppia cittadinanza. Non sono state autorizzate invece le elezioni per il rinnovo dei comuni. Rucker, numero uno di Unmik, è stato lapidario al riguardo anche il giorno delle elezioni con dichiarazioni che non lasciavano nessun possibile fraintendimento: “Queste elezioni sono illegali”; “Elezioni illegali non potranno avere conseguenze legali”. Nonostante ciò, e con un basso profilo di Unmik, l’ennesimo, le elezioni di Maggio si sono tenute in un clima di assoluta tranquillità. È bene ricordare che in base alla risoluzione ONU 1244, ancora in vigore, Unmik ha il diritto e il potere di amministrare il Kosovo (lo sta facendo dal 1999) e, in veste di questo incarico, è l’unica e la sola autorità che può autorizzare le elezioni in Kosovo ed in tutto il suo territorio, che è ancora, in forza della stessa risoluzione, considerata una provincia della Serbia. Questo è uno dei tanti paradossi della politica internazionale. Tale clima ha preceduto dunque il voto dell’11 Maggio in Kosovo. Ma si spera aria nuova arrivi presto. Potrebbe essere giunta l’ora di voltare pagina per quel che riguarda la gestione generale che sino ad ora è stata fatta del “Caso Kosovo” ed aprire un nuovo capitolo. C’è ancora tempo per avviare un costruttivo dialogo tra i serbi e gli albanesi kosovari, con il dovuto supporto della comunità internazionale. Ci sia augura che quest’ondata blu-europea rinfreschi l’aria portando idee nuove e costruttive, fosse solo per risolvere l’affannosa questione della popolazione serba in Kosovo. Questo è possibile ad almeno una condizione e cioè che Belgrado, percependosi ora più ad ovest di quanto immaginava prima e non servendosi più del salvagente russo, cambi atteggiamento nei riguardi del Kosovo delle istituzioni di Unmik e dei cittadini serbi che vivono qui. La politica cieca e ostruzionista di chiusura verso le istituzioni del Kosovo ha avuto conseguenze negative proprio sui serbi stessi che vivono qui, sulla loro libertà di movimento e di partecipazione alla cosa pubblica. Belgrado avrebbe ottenuto di più facendo partecipare i serbi, in varie forme e modi, alle istituzioni del Kosovo in maniera unitaria ed organica, anche per cercare di lottare dal di dentro avanzando proposte fattibili ed alternative a quelle albanesi, e riservandosi eventualmente in seguito a disaccordi il diritto di manifestare il proprio dissenso con forme legittime di proteste. Oggi è bene che si inizi a dare peso e spessore alle esigenze e alle richieste dei tanti serbi che vivono in Kosovo allentando una volta per tutte la corda del ricatto e del controllo (le armi del passato). Bisogna ripartire dal basso, dalla strada maestra, ed avviare quantomeno forme embrionali di dialogo tra le parti. Sino ad ora e per tutti questi nove anni ciò è mancato, in tutte le sue forme ed espressioni e a tutti i livelli della politica. Non esiste un incontro alla luce del sole, una conferenza –Vienna a parte-, un minimo contatto formale tra le due parti, figurarsi una foto che immortali la stretta di mano tra i leaders. Si vociferava poco tempo fa di un presunto incontro dietro le quinte del palazzo di vetro a New York tra Thaci (Primo Ministro del Kosovo) e Tadic (Presidente della Serbia), categoricamente smentito da uno dei due.
Tutto ciò è gra
ve e la comunità internazionale dovrebbe interrogarsi su questo. È sua infatti una gran fetta di responsabilità. La creazione di barriere, simboliche e non, sono un nostro prodotto e di questo Mitrovica è il risultato più emblematico: una città praticamente divisa in due parti nette, distinte e contrapposte. Questa classica politica del “divide et impera” ha maturato questo frutto bastardo. La comunità internazionale scesa in campo ad interporsi tra le due opposte realtà non poteva e non può permettersi il rischio di perdere tra i suoi uomini delle vite umane. Timorosa di ciò ha come tenuto legati ad una catena due pitbull (continuamente maltrattati dai loro rispettivi padroni) che con il passare del tempo si sono via via sempre più inferociti bavando di rabbia. Si potrebbe supporre che se lasciati liberi di esprimersi, sotto la supervisione del loro guardiano, in un primo momento abbaieranno animosamente, ma finiranno, quando non sentiranno più il fiato di altri sul collo, con l’annusarsi, accettarsi l’un l’altro e condividere poi lo stesso recinto. Questa metafora potrebbe spiegare l’ovvia conclusione che la dialettica sino ad ora portata avanti solo dall’alta diplomazia è servita a poco. Tale politica che ha fatto del “Caso Kosovo” una partita tra Usa e Russia, delicata per gli equilibri geopolitici mondiali (con forti influenze sugli altri attori, Belgrado inclusa), non ha certo risolto concretamente ed in maniera duratura i destini di chi il Kosovo lo popola e che proprio per questo, mi riferisco ai serbi del Kosovo, in più occasioni e su questioni pratiche, hanno mostrato alternative diverse a quelle volute ed attuate da Belgrado.

articolo pubblicato sul sito di peacelink.it

KOSOVO: LA VOCE DEL CONIGLIO