mercoledì 27 luglio 2011

IL NORD KOSOVO: NUOVI SCONTRI, VECCHI PROBLEMI.


Il caso "Nord Kosovo" non solo non è stato mai affrontato seriamente, ma oggi, dopo oltre un decennio, si è trasformato in metastasi.
 
Torna a salire la tenzione nel nord del Kosovo lungo le frontiere 1 e 31, le principali vie di accesso per i cittadini e i prodotti serbi verso l'ex provincia della Serbia. Il motivo anche questa volta è politico ed economico allo stesso tempo. L’incidente sembra essere stato innescato da una disputa sugli scambi commerciali che avvengono lungo il confine. Dalla fine della guerra il Kosovo non ha mai potuto esportare i propri prodotti in Serbia per via di quel "Republika e Kosovës" contenuta sulle merci (la stessa cosa vale per i timbri sui passaporti che bloccano intere famiglie lungo questi confini). Al contrario, però, la Serbia ha sempre esportato grosse quantità di prodotti attraverso il confine kosovaro. Il flusso commerciale si è interrotto lo scorso 20 luglio quando il governo del Kosovo ha vietato l'ingresso dei prodotti provenienti dalla Serbia. Il mercato del Kosovo è fondamentale per la Serbia perché assorbe una fetta importante delle sue esportazioni. Il contrario non si può dire in quanto il Kosovo riesce a fare a meno dei prodotti serbi. Se questo blocco -lungo i confini mai riconosciuti dalla Serbia- è stato il primo serio stop delle merci serbe dal giorno dell'indipendenza del Kosovo, e rappresenta un enorme shock per la Serbia che oggi ha preso coscienza di quanto sia dipendente dalla sue ex provincia, le tensioni, invece, in questa striscia di terra risalgono all'immediato dopoguerra. Proteste, scontri, spari, lancio di granate, gas lacrimogeni, feriti e qualche morto. Il copione è sempre lo stesso. I protagonisti anche. Unmik e i suoi fratelli, che a mio modo di vedere hanno creato il caso "Nord Kosovo", recitano sempre lo stesso ruolo: quello di Fantozzi nel ruolo del finto pompiere. Dal dopoguerra Fantozzi ha diviso la città di Mitrovica letteralmente in due per poterla "gestire meglio", ha consentito il proliferare delle istituzioni parallele serbe, chiuso gli occhi sui traffici e il contrabbando nel nord, permesso ai cittadini serbi di violare la legge sotto i propri occhi. Rideva e si burlava quando sul ponte di Mitrovica vedeva i cittadini serbi cambiare le targhe alle macchine. Fantozzi ha cercato di non scontentare mai nessuno, ma tutte le volte che è scoppiato l'incendio, invece di prendere la pompa dell'acqua prendeva la biro e vestiva i panni del finto diplomatico. Anche questa volta, ovviamente.
 L'ultima letterina di Fantozzi il diplomatico:

UNMIK concerned about the ongoing situation in northern Kosovo
PRISTINA - Robert Sorenson, UNMIK Officer in Charge, expresses his deep concern for the ongoing situation in northern Kosovo and calls upon all parties to refrain from any action which could further exacerbate the situation. UNMIK strongly condemns the violence and believes that dialogue based upon mutual respect is the way forward for resolving issues. “UNMIK stands ready to assist in efforts to calm the situation. We call upon all parties to work with EULEX and KFOR to restore order and resolve issues through discussion and mutual understandings”, Mr. Sorenson said.

lunedì 11 luglio 2011

THE STRANGE CASE OF DR. CAPUSSELA AND MR. AUK


  
“L’abuso del potere pubblico per soddisfare interessi privati è la ragion d'essere di questo accordo”

Si intitola provocatoriamente "Stealing from the poor to give to the rich" l'articolo di Andrea Capussela apparso in due parti (5 e 6 luglio) sul quotidiano kosovaro Koha Ditore. L'ennesimo articolo-denuncia dell'ormai ex direttore del dipartimento Affari Economici e Fiscali dell’International Civilian Office (ICO). A far discutere questa volta è l'affaire AUK (Università Americana del Kosovo) che coinvolgerebbe il Primo Ministro Hashim Thaci, i vertici del PAK (Agenzia Privatizzazione per il Kosovo), il numero uno dell'ICO Peter Feith e il procuratore Isabel Arnal, direttore dello SPKO (Ufficio Speciale della Procura del Kosovo-Eulex). Al centro dello scandalo, avvenuto con la complicità di molti, soprattutto di quelle rappresentanze internazionali create ad hoc per vigilare sulle nascenti istituzioni kosovare, c'è il business delle Università private, quella americana in particolare, spuntate come funghi nel dopoguerra. Per via del budget risicato l'Università pubblica in Kosovo offre ai suoi studenti un sistema educativo economico, ma inadeguato. Strutture carenti, attrezzature obsolete e scarsità di laboratori, sono tra i principali fattori che hanno spinto grandi investitori a puntare sulle università private. Una di queste, la più consistente, è l'AUK.

L'AUK
L'AUK (Università Americana del Kosovo) è una organizzazione non governativa, un'associazione privata senza scopo di lucro, ed è riconosciuta dalla New York University e dal Rochester Institute of Technology, supportata anche da una fondazione caritatevole di New York. L'AUK offre una buona educazione, ma costosa se si considera che le rette annuali versate dagli studenti sono pari a circa due anni di salario del lavoratore medio del Kosovo. Com'è facilmente riscontrabile sul sito dell'AUK, sotto la voce bilanci, negli ultimi quattro anni il ricavo medio è stato di  2,8 milioni di euro a fronte di una spesa media di 3,1 milioni. Le associazioni no profit, come scritto anche nello statuto dell'AUK, per la loro natura giuridica e per via di un sistema fiscale agevolato, dovrebbero -il condizionale è d’obbligo- reinvestire tutto l'utile che ricavano dalle loro attività. Ecco spiegato il motivo del certificato pareggio o gli inconsistenti ricavi di dette organizzazioni, AUK inclusa. In sostanza l'AUK trasferisce una buona parte delle sue entrate per pagare diritti e servizi al Rochester Institute of Technology e ad una fondazione caritatevole di  New York (accreditamento nel settore universitario, consulenza, ricerca del personale e salario per gli insegnanti) per i quali non esiste un valore di mercato di riferimento, e il cui prezzo è liberamente determinato tra le parti (non a caso cresciuto significativamente negli anni). Questo prezzo, è una delle conclusioni cui è arrivato Capussela "può essere, per esempio, aumentato a volontà per assicurarsi che AUK non produca alcun profitto, che, diversamente dovrebbe essere impiegato in attività di beneficenza in Kosovo". 


L'ESPROPRIO DEI TERRENI DELLO STATO E IL NUOVO CAMPUS UNIVERSITARIO
Anche se quanto sopra riportato fa indignare, il nocciolo della questione riguarda l’illegale esproprio di alcuni terreni pubblici per consentire all’AUK di costruire un nuovo campus universitario. Premesso che ben prima della stipula degli accordi i lavori per la costruzione del campus erano già iniziati, per Capussela l'espropriazione in se è illegale. “Primo perché il patrimonio dello Stato non può essere espropriato per soddisfare un interesse privato, ma solo ed unicamente per un interesse pubblico. Inoltre, contrariamente alla legge, il prezzo che il governo ha proposto di pagare per questi terreni al PAK (Agenzia Privatizzazione per il Kosovo) è stato molto inferiore al valore di mercato". Una stima molto prudente del costo per metro quadrato fissa il prezzo a circa 60 euro. "La cifra pagata è stata di appena 11 euro al metro quadrato, e nelle casse dello Stato sono arrivati poco più di 3 milioni a fronte dei possibili 18/20 milioni di euro. Almeno 15 milioni di euro si sono volatilizzati, quando invece sarebbero potuti andare ad ingrossare l'esiguo bilancio dell’Università di Pristina. "In pratica si sarebbero potute comprare nuove attrezzature, computers, allestire e sistemare nuovi laboratori e apportare miglioramenti alla qualità della formazione, migliorando le prospettive future del Kosovo e dei suoi giovani” sono le logiche conclusioni di Capussela.

IL GOVERNO, GLI AMERICANI, L'ICO, EULEX E CAPUSSELA
Andrea Capussela, nell'articolo descrive minuziosamente le dinamiche dell'accordo firmato tra il Governo e l'Agenzia di Privatizzazione per il Kosovo (PAK), relativa all'esproprio di un terreno pubblico sul quale l'AUK ha programmato di costruire il nuovo campus universitario. Inizia da qui la coraggiosa battaglia di Capussela, che in veste di direttore del dipartimento Affari Economici e Fiscali presso l’ICO supervisiona, informa i suoi diretti superiori e ne denuncia lo scandalo. Scrive, sollecita, incontra diplomatici dell’Ambasciata americana in Kosovo, i vertici del PAK, della stessa Università americana, Ministri, procuratori di Eulex e così via. La lista è lunga. I muri di gomma alti e spessi. Per molti mesi si sono prodotti soltanto lunghi silenzi, non risposte, ragnatele di ritardi, commenti futili e incontri infruttuosi. Tale lentezza è stata efficace poiché si è arrivati molto vicini alla fine naturale del mandato dell'ingombrante funzionario internazionale, il 31 marzo 2011. L'affaire AUK, che era sotto la supervisione di Capussela, doveva essere bloccato e il funzionario dell'ICO c'ha provato in tutti i modi. Dopo l'insistenza e il continuo battere dei piedi di Capussela, arriva l’ordine categorico da parte dei suoi superiori di tacere sul caso AUK, pena il suo licenziamento (avvenuto comunque per motivi disciplinari il 30 marzo, a meno di 24 ore dalla scadenza naturale del contratto).

CONCLUSIONI 
Non si è ancora riusciti a fermare l'affaire, ma una cosa è chiara ed è sempre Capussela a ribadirla quando dice che “l’abuso del potere pubblico per soddisfare interessi privati è la ragion d'essere di questo accordo”. Tali violazioni, sempre secondo l’autore “contribuiscono al deterioramento della qualità sia dello stato di diritto sia del clima per gli investimenti, danneggiano le prospettive dello sviluppo economico e tendono a fare del Kosovo una meta ancor meno attraente per gli investimenti esteri”. Forse l'opposizione parlamentare, la stampa e la società civile, possono ancora fare qualcosa al riguardo. Se dovessero fermare quest'accordo, che semplifica perfettamente ciò che è sbagliato nel Kosovo di oggi, otterrebbero un'importante vittoria simbolica, che potrebbe portare a ulteriori sviluppi positivi. Certamente se quelli che in Kosovo aspirano a una migliore governance dovessero vincere questa lotta, che sia l'ICO che EULEX non hanno neanche voglia di iniziare, otterrebbero l'evidenza empirica che queste due imperfette creature internazionali siano diventate quantomeno superflue. 

venerdì 8 luglio 2011

CHI? ...ANDREA CAPUSSELA!


E’ giunto il momento che chi gestisce i soldi pubblici dei cittadini kosovari lo faccia nel solo ed esclusivo interesse della collettività. (*Andrea Capussela)

* Dall'inizio del suo dispiegamento (2008) e fino alla fine di marzo 2011, Andrea Capussela è stato il direttore del dipartimento Affari economici e fiscali dell’International Civilian Office (ICO). Dall'alto delle sue manzioni, Capussela si è occupato di settori divenuti sempre più strategici per la transizione del Kosovo verso un'economia di mercato, settori dove lo sperpero del denaro pubblico e la corruzione -quella di alti livelli- sono di casa. In quasi tre anni ha svolto un lavoro esemplare di "watchdog", denunciandone ai suoi diretti superiori e referenti locali le storture del sistena kosovaro. Capussela ci ha mostrato in più occasioni (THE GUARDIAN, OSSERVATORIO BALCANI, ed altre pubblicazioni) come le radici di queste "malepiante" traggano vitale sostentamento proprio dalle inefficenti strutture internazionali (ICO, EULEX), le stesse preposte per estirparle. Proprio per il difficile ruolo che si è appiccicato addosso, l'ex funzionario ICO è adesso al centro di accesi dibattiti (l'affare che vede coinvolta l'AUK, l'Università americana del Kosovo) che hanno mandato su tutte le furie il suo recente datore di lavoro, pronto a portarlo davanti al giudice (ne parleremo prossimamente).

giovedì 7 luglio 2011

DON LUSH GJERGJI: IL PUNTO DI VISTA DI

Ponti per i confronti e gli incontri, che uniscono e che abbracciano. Parole concilianti, di apertura, fin troppo accomodanti, ma pur sempre argomentazioni che provengono da una figura di spicco del mondo cattolico del Kosovo. Don Lush Gjergji, che in Italia si è laureato in Filosofia, Teologia e Psicologia, è il sacerdote e intellettuale cattolico più noto e apprezzato nei Balcani. Autore di una quindicina di opere tradotte in molte lingue, uno dei maggiori conoscenti e tra i principali biografi di Madre Teresa di Calcutta, Don Lush Gjerji -incontrato recentemente nella nuova sede della diocesi di Pristina- ci parla di una piccola comunità cattolica che, nonostante le varie vicissitudini storiche, è riuscita a sopravvivere. Quella che il sacerdote ci mostra è una chiesa cattolica che in Kosovo mira a "creare punti di incontro e di confronto sereno e civile fra le diverse etnie e le diverse religioni". E' sotto questo aspetto, quello del dialogo e della riconciliazione appunto, che Don Lush Gjergji ci invita a vedere la nuova cattedrale di Pristina, un santuario che, per usare le sue stesse parole "sarà aperto non soltanto con le porte, ma anche con il cuore a tutti quelli che cercano la pace".



KOSOVO: LA VOCE DEL CONIGLIO