Visualizzazione post con etichetta Risoluzione ONU. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Risoluzione ONU. Mostra tutti i post

mercoledì 25 agosto 2010

...WAINTING FOR A DIRECT CONTACT BETWEEN BELGRADE AND PRISTINA!

SRSG was today in Belgrade for a periodic round of consultations with the Serbian Government where he underscored the need for a direct dialogue between Belgrade and Pristina Special Representative of the Secretary-General (SRSG) Lamberto Zannier was today in Belgrade for a periodic round of consultations with the Serbian Government following the Security Council meeting in August and in anticipation of the UN General Assembly session on Kosovo in early September. He met with President Tadic, First Deputy Prime Minister Dacic, Minister Bogdanovic, State Secretary Ivanovic and various international stakeholders. In his conversations he underscored the need for a direct dialogue between Belgrade and Pristina to address open issues of common concern. He noted that while the UN will be ready to support this process, the EU should play a prominent role in facilitating such a dialogue, in view of the European perspective for the whole region. The SRSG also mentioned the UN Secretary-General’s concerns about the situation in the North, adding that direct dialogue and consultations will be particularly important in addressing issues of substance in that region. For its part, UNMIK will continue performing its functions under Resolution 1244 as mandated by the Security Council, to which it will continue to report periodically. Upon his return to Pristina, the SRSG will be available to inform the Kosovo authorities about the detailed contents of his discussions.

lunedì 23 marzo 2009

10 ANNI DAI BOMBARDAMENTI NATO SULLA SERBIA


Sono passati 10 anni esatti dall'inizio dei bombardamenti Nato sulla Serbia. Per la cronaca era il 23 marzo del 1999 quando, dopo circa un anno di acuta crisi in Kosovo, di operazioni militari spregiudicate da parte dell'esercito serbo e delle forze paramilitari, Javier Solana autorizzò quella che alla storia è passata come "Allied Force". Il 24 marzo iniziarono i bombardamenti.
Nei mesi precedenti lo scoppio della guerra, subito dopo che i pochi osservatori dell'Osce lasciarono il Kosovo, le forze militari serbe impressero una forte offensiva contro i capisaldi dell'Uck. Furono giorni di brutali barbarie, dove furono scacciate dalle loro case migliaia di persone, villaggi interi e quartieri cittadini furono dati alle fiamme, si fece ampio ricorso alla strategia di assassini indiscriminati, stupri e saccheggi per terrorizzare la popolazione e costringerla alla fuga.
Con la decisione presa dalla Nato, creata per scopi difensivi, ci si imbarcava, per la prima volta nella storia, in un nuovo percorso. L'Alleanza Atlantica si impegnava in un'azione offensiva, attaccando uno Stato sovrano e violando in tal modo non solo la Charta dell'Onu, ma anche la propria costituzione. Nel dare il via ai bombardamenti, la Nato era convinta che la Serbia sarebbe capitolata entro due o tre giorni. Il 10 giugno, dopo che i bombardamenti durarono ben 79 giorni, si raggiunse un accordo che prevedeva il ritiro delle truppe serbe dal Kosovo, firmato a Kumanovo – in Macedonia – dai vertici della Nato e dell'esercito di Belgrado. Il Consiglio di Sicurezza approvò, con la sola astensione della Cina, la Risoluzione 1244. Fu allora che si aprì un nuovo capitolo per la Serbia e i destini del Kosovo.Capitolo tutt'ora in corso.
La pulizia etnica (compiuta dai serbi) giustifica la violazione del diritto internazionale in Serbia, e quindi l'intervento Nato in Kosovo? La recente sentenza del Tribunale dell'Aia che ha condannato sei personaggi di spicco della politica e dell'esercito di allora, mostra chiaramente come l’intervento fosse in un certo senso legittimo. L'accertamento del fatto che sono state commesse delle grandi atrocità in Kosovo, secondo il mio punto di vista, implica che ogni sacrosanta "ragione di Stato", ogni violazione del diritto internazionale, è nulla rispetto alle migliaia di morti commesse e centinaia di migliaia di allontanamenti forzati.

Cosa ne pensate? Mi piacerebbe sapere la vostra opinione.

articolo pubblicato sul sito di Peacelink

venerdì 5 dicembre 2008

I SEI PUNTI



I tanto discussi sei punti proposti dal segretario generale Ban Ki-moon a Belgrado e Pristina - una volta raggiunto l'accordo di massima con la Serbia- sono stati approvati all'unanimità dal Consiglio di Sicurezza. Il nuovo piano dell'ONU, di seguito riportato, rappresenta l'ennesima acrobatica alchimia diplomatica dell'Occidente con l'intento di ri-uscire dalla controversa realtà sopraggiunta all'indipendenza.
Senza entrare nel merito di questa o quella posizione (pro-indipendenza o meno) mi limito a far presente che le rocambolesche giravolte fanno molto male ai cittadini di ogni etnia e schieramento che vivono oggi in Kosovo e solo a loro. Non si può ogni volta sventolare la bandiera della convenienza politica, giocare al gioco della carota e del bastone, sostenere prima una posizione e insieme una visione, poi il suo opposto, provocandone prima il rancore di Belgrado ora quello di Pristina. I sei punti, con piccole variazioni, non rappresentano altro che la realtà del Kosovo precedente al 17 febbraio 2008, dove la risoluzione ONU 1244 era la cornice giuridica di riferimento. Non aggiungono nulla di eclatante. Anzi, sottraggono lo zuccherino che era stato dato dalle maggiori potenze occidentali al Kosovo, l'indipendenza come possibile soluzione pacifica del conflitto. Perchè, mi chiedo, questo nuovo piano in sei punti non è stato presentato prima del Piano Ahtisaari?, in modo tale da fermare quel processo indipendentista che proprio l'Occidente aveva partorito? La virata di questi giorni, con l'approvazione dei sei punti, sarà la premessa di nuove tensioni tra i due eterni rivali, l'opposto di quello che vanno predicando sempre ONU, Unmik e ora Eulex. Onestamente penso che solo così, con una situazione sempre tesa, conflittuale e appositamente creata, i nostri beniamini dell'"ordine" e della "democrazia" possono trovarvi interesse per agire e operare, con la compiacenza appunto della comunità internazionale che li paga profumatamente.


I sei punti del piano Onu (fonte Osservatorio sui Balcani)

1- Polizia: Nei territori abitati da popolazione serba le forze di polizia restano sotto l'attuale catena di comando, supervisionata dalla polizia internazionale. Gli ufficiali serbi vengono nominati dal capo dell'Unmik.

2 - Dogane: I doganieri internazionali tornano a controllare i valichi confinari nel nord del Kosovo, nella cornice della risoluzione 1244.

Viene incluso anche un protocollo di collaborazione tra la Serbia e il Servizio Dogane dell'Unmik. E' prevista l'apertura di un ulteriore valico a Kamenica. La maggior parte degli introiti raccolti alle frontiere andrà alle amministrazioni locali, una parte minore al governo di Pristina.

3 - Tribunale: Il tribunale di Mitrovica nord rimane sotto controllo dell'Unmik. Giudici e procuratori locali saranno nominati nella cornice della risoluzione 1244.

4 - Infrastrutture: Verranno iniziati appositi negoziati.

5 - Confini: Nella cornice della 1244, la Nato continuerà ad esercitare l'attuale mandato di garante della sicurezza.

6 - Tutela del patrimonio culturale serbo: E' necessario continuare il dialogo tra Pristina e Belgrado, nel quale dovrà essere coinvolta anche la Chiesa Ortodossa Serba.


mercoledì 19 novembre 2008

EULEX: MISSION IMPOSSIBLE


La situazione socio-politica in Kosovo è tornata nuovamente ad essere tormentata e confusa. La partita tra, Onu, le cancellerie occidentali, Unmik, che dovrebbe tornare a casa, ed Eulex, la nuova missione civile di stampo europeo prossima ad entrare in azione, sembra non finire mai. Il gioco-forza delle diplomazie occidentali, arbitri-registi-piloti di questa partita, non ha certo permesso di chiudere, una volta per tutte, la questione kosovara. L'Europa, forte del fatto di avere ben 22 stati su 27 che si sono espressi favorevolmente al riconoscimento del Kosovo indipendente, avrebbe potuto agire diversamente. Ma i tentennamenti dell'Europa non aiutano certo a sbloccare la situazione del Kosovo, che ripetiamo, anche per queste ragioni, è ritornata ad essere molto ingarbugliata. Va tuttavia tenuto presente che tutti gli stati che hanno riconosciuto il Kosovo indipendente, Italia compresa, hanno preso un impegno nei confronti del Kosovo e del Piano Ahtisaari, ma hanno ancora un impegno con Belgrado, con la risoluzione Onu 1244 che è ancora legge. Questa posizione schizofrenica dell'Europa o riconverge presto al palazzo di Vetro di New York oppure diventerà sempre più insostenibile. In sostanza negli ultimi mesi si sono registrate delle evoluzioni-involuzioni che potrebbero essere così riassunte. Eulex, la missione civile, che era pronta da circa sei mesi ad operare in Kosovo, è ancora ferma per via dei veti della Serbia che sino a una settimana fa si è mostrata contraria all'entrata in azione della missione europea in Kosovo, manifestando apertamente lo scontento anche con proteste organizzate a Mitrovica e Gracanica. La Serbia non permetterà a Eulex di operare perchè ciò significherebbe accettare da parte delle autorità di Belgrado le evoluzioni avvenute in Kosovo e riconoscere apertamente l'allontanamento di Pristina dal controllo di Belgrado. Questo è il succo dell'azione politico-diplomatica giocata da Belgrado. L'Unione Europea ne ha preso atto ed ha capito che qualsiasi forzatura nel dispiegare la sua missione avrebbe potuto rivelarsi una mossa assai rischiosa. Sul versante kosovaro, le euforiche autorità di Pristina, sin dal giorno stesso della dichiarazione d'Indipendenza, hanno sempre espresso un parere favorevole alla missione Eulex ed hanno sempre spinto i governi europei ad accelerare tale missione. Da meno di una settimana le posizioni di Belgrado e Pristina per quanto fossero schiette, forti e sincere si sono completamente ribaltate. Questo si è verificato quando è giunto ai loro rispettivi indirizzi il piano in sei punti del Segretario Generale dell'Onu Ban Ki-Moon sulla riconfigurazione di Unmik, accordo che, di fatto, darebbe l'avvio al dislocamento della missione europea. Le pressioni ed i contatti delle Nazioni Unite, proprio per ammorbidire le posizioni serbe e cercare di trovare un buon compromesso, hanno spinto Belgrado a leggere e ad interpretare i sei punti dell'Onu con un'altra enfasi. Si è trovato un parziale compromesso. Le autorità serbe hanno espresso un parere favorevole all’implementazione del Piano con Belgrado che si è detta pronta ad accettare la presenza di Eulex in Kosovo a tre condizioni:
  • che la nuova missione venga dispiegata con l'approvazione del Consiglio di Sicurezza dell'Onu
  • che la nuova missione sia neutrale riguardo alla status del Kosovo (il messaggio di Belgrado è quello di far capire che la risoluzione Onu 1244 è ancora in vigore, quella che afferma in un suo punto che il Kosovo è una regione della Repubblica della Serbia)
  • che la nuova missione non faccia alcun riferimento al Piano Ahtisaari (piano post 1244 che prevede, invece, la gestione dell'indipendeza del Kosovo).
L'apertura condizionata di Belgrado è stata accettata dalle varie cancellerie con grande ottimismo. Lo scoglio più duro si pensava fosse superato e con esso sbloccato lo stallo Eulex . Si sono però sottovalutate le naturali reazioni di Pristina. Il lavoro dei diplomatici occidentali accreditati in Kosovo a nulla è valso per trovare un accordo di massima sui sei punti del nuovo Piano Onu, anzi in quelle circostanze le autorità di Pristina hanno avuto modo di esprimere e ribadire una posizione che sembrava ormai essere chiara a tutti. Sia il Presidente del Kosovo, Fatmir Sediu, che il Primo Ministro, Hasim Thaci, hanno espresso il loro interesse a rafforzare il dialogo e contribuire all'estensione della nuova missione Eulex, nel rispetto, però, del Piano Ahtisaari, della Costituzione del Kosovo e delle sue leggi. Sediu, ha affermato che "nessuno decide per il Kosovo" e che "per il paese sono responsabili le istituzioni nazionali". Neanche il sottosegretario del governo americano, Daniel Fried è riuscito, per il momento, a far digerire a Pristina questo boccone amaro. Fried, in missione in Kosovo ha cercarto di pacare gli animi e convincere le autorità kosovare a vedere i sei punti dell'Onu come il presupposto logico per far entrare in azione Eulex. Nulla, Pristina ha rigettato il piano in quanto, a detta di Hasim Thaci, "non si tratta di una proposta della Comunità Internazionale, bensì di Belgrado, che Pristina non accetta in questa forma e contenuto". Il Primo Ministro del Kosovo ha affermato anche che il sogno di Belgrado sul Kosovo dovrà svanire per sempre. “Sulla sovranità e l'integrità del Kosovo non ci sarà mai nessun compromesso con Belgrado" sentenzia. Commenti lapidari che lasciano intendere come il clima di questi giorni sia cambiato. Si sono registrate, infatti, nei giorni scorsi una serie di vicende preoccupanti come l'ordigno esploso appena fuori la sede dell'ICO (International Civilian Office), le crescenti proteste e intimidazioni a Mitrovica, sfociate in scontri e tafferugli, le scritte innegianti l'UCK apparse su alcune case nel Bosnian Mahalla, quartiere misto di Mitrovica, e le proteste di movimenti, come Vetevendosje, contro quelli che definiscono "nuovi diktat" per il Kosovo. Il clima si è arroventato e la Comunità Internazionale c’ha messo del suo. Sono naturali le proposte di Belgrado, così come altrettanto legittime lo sono quelle di Pristina. Nella normale dialettica politica, per questioni importanti e cruciali, il lavoro sin qui svolto dalle due parti in causa pare essere più che giusto: ognuno cerca di dar peso alle sue prospettive, cercando di portare quanta più acqua possibile al proprio mulino. Quello che trovo assurdo è invece l'atteggiamento altalenante della Comunità Internazionale, che disposta a uscire dal vicolo cieco in cui si è trovata (Eulex aspetta di partire ormai da diverso tempo), usa tutti gli strumenti a sua disposizione, spesso anche contraddicendosi. Le reazioni e la chiusura di Pristina ai sei punti possono essere facilmente comprensibili se si presta attenzione al contenuto degli stessi. Questi punti immagino che infastidiscono Pristina perchè, se implementati alla lettera, consentiranno alla Serbia, per le aree kosovare a maggioranza serba, di pronunciarsi su aspetti cruciali della vita quotidiana, dalle dogane, alla polizia locale, alla protezione dei monumenti culturali e religiosi, alle comunicazioni e alle questioni legate all'ordinaria amministrazione che si credevano risolti per sempre. Non sono sicuro se si uscirà presto da quella che sembra una "missione impossibile", ma di sicuro il dispiegamento di Eulex previsto in un primo momento a giugno del 2008, poi spostato a settembre, previsto forse per il 2 dicembre, pare che partirà, su tutto il territorio del Kosovo, nel marzo del 2009. Eulex non credo riuscirà a dispiegarsi il 2 dicembre, ma "non si può nemmeno ritirarla perchè sarebbe una sconfitta" dicono in molti. Non si può nemmeno dispiegarla solo nelle aree albanesi perchè quest'ultimi non l'accetterebbero. Alla fine, quasi sicuramente il 2 dicembre, con basso profilo, si dichiara la partenza della missione in maniera "graduale", iniziando ovviamente nelle aree albanesi ma con promessa che appena pronti i cioccolatini si andrà anche nelle aree serbe.

articolo pubblicato sul sito di carta.org


venerdì 4 luglio 2008

KONFUSIONE KOSOVO

Caldo, sole e afa stanno facendo da sfondo qui in Kosovo ad una situazione a dir poco emblematica. Definirla confusione sarebbe un eufemismo.
L’Unione Europea si sta preparando ad organizzare la Conferenza dei Donatori per il Kosovo. Si presume che altri soldi presto arriveranno nel paese. Le autorità locali del neonato 193° Stato hanno lavorato tanto per arrivare all’incontro con idee e progetti concreti e chiederne l’immediata implementazione. Ma quello che troveranno nella capitale belga sarà anche dell’altro. A dare il benvenuto alle autorità del Kosovo sarà il logo dell’evento attentamente creato per non suscitare malumori all’interno degli stati membri dell’EU, in particolare di quelli che non l'hanno riconosciuto.
Nonostante i 2/3 dei paesi menbri dell’Europa abbiano risposto positivamente al riconoscimento, infatti, sul logo ufficiale che apre la conferenza l’11 Luglio a Bruxelles, verrà riportato ben in vista il nome “Kosovo”, ma una nota chiarirà per bene che in questo posto (il Kosovo appunto) è in vigore la risoluzione Onu 1244 – nella quale si afferma che il territorio è parte integrante della Serbia.
Effettivamente è ancora in vigore la 1244 con la quale il Consiglio di Sicurezza ha potuto operare in Kosovo dal 1999 istituendo a suo tempo la Missione Unmik.
Se quest’ultima si trova ancora qui sul suolo kosovaro ad operare è per via di questa risoluzione che per essere superata ha bisogno del nulla osta di tutto il Consiglio di Sicurezza (la Cina non si pronuncia e lascia fare all’amica Russia). I 120 giorni per organizzare il rientro di Unmik previsto per metà giugno sono passati e il suo personale si sta preparando ad una nuova riconfigurazione che li vedrà impegnati quanto meno fino alla metà di ottobre, anche se con un ruolo leggermente più limitato per non offuscare le neonate istituzioni del Kosovo e la stessa Eulex.
Constatiamo ora che anche per l’Europa questa risoluzione è ancora in vigore. Sarà forse un facile espediente per aggraziarsi la Russia e poi la popolazione serba per far finalmente partire, dopo varie lungaggini, la tanto attesa missione Eulex?
Bisogna notare, inoltre, che non è l’unico controsenso di questi giorni.
Di sicuro nel mese di giugno ci sono state tante novità in questa direzione. Ricordiamo appunto l’entrata in vigore della Costituzione della Repubblica del Kosovo il 15 giugno, così come quella del parlamento serbo di stanza a Mitrovica, composta dai membri eletti alle ultime elezioni serbe, tenutesi anche in Kosovo. Nonostante le asciutte dichiarazioni di Rucker -dell’ormai ex capo di Unmik- di considerare nulle le elezioni locali dell’11 maggio, l’assemblea, formata però solo da due partiti politici, si è riunita il 28 di giugno (lo storico giorno di San Vito), senza grandi cerimoniali e senza impressionare nessuno, ma facendo riflettere tanti.
Da un'altra angolatura, quella dell’International Steering Group –ISG - la situazione per il Kosovo è più colorita. L'ISG, struttura formata da 25 Stati (20 Europei che hanno riconosciuto l’indipendenza, oltre a Croazia, Norvegia, Svizzera, Turchia e Stati Uniti) che supervisionerà la nuova presenza internazionale in Kosovo, ha espresso pieno supporto per la partecipazione di Pristina nelle varie Organizzazioni Internazionali come il Fondo Monetario, per garantire la stabilità sociale ed economica dell’intera area. Sarà invece un po’ più difficile pensare all’ingresso del Kosovo in strutture come l’OSCE dove il peso della Russia e della Serbia si fa sentire.
Sul fronte Eulex le cose non vanno per niente bene. La nuova missione avrebbe già dovuto prendere impiego alcuni mesi addietro, ma ancora oggi fa fatica a posizionarsi. L'inviato speciale EU per la status del Kosovo, Stefan Lehne, recentemente ha espresso l’augurio di poter vedere tutto il suo team operare presto su tutto il territorio del Kosovo, incluse le aree del nord a maggioranza serba. C’è infatti, per il momento, il niet assoluto da parte della Russia sul dispiegamento di questa nuova missione se non la si inserirà sotto l’ombrello ONU, e nel nord oggi è implicitamente vietato circolare per qualsiasi macchina targata EU.
La costituzione intanto è entrata in vigore e l’attuazione in ogni parte del suo territorio (dall’Ibar in su) è lontana se non impossibile da implementare. Lo sa bene il nuovo sindaco di Mitrovica, Bajram Rexhepi, che ha mosso dure critiche nei confronti di Unmik in quanto, a detta di Rexhepi, la missione collabora con i rappresentanti delle strutture parallele serbe, per la semplice ragione di non averle considerate illegali e non aver prestato fede, quindi, alle parole dell’ex numero uno di Unmik. Rexhepi la scorsa settimana ha anche invitato le autorità internazionali e di peacekeeping (i militari di Kfor per intenderci) presenti sul territorio a vigilare e far si che la legge del Kosovo venga applicata anche nella parte nord di Mitrovica. In questo clima di confusione e con temperature che superano abbondantemente i 30 gradi sta diventando difficile sbrogliare la matassa, e c’è chi, come il funzionario di nazionalità russa che lavora per Unmik, come riportato l’altro ieri (2 Luglio) dal giornale albanese Lajm, giunto all'aeroporto di Pristina si rifiuta di farsi mettere il nuovo timbro della Repubblica del Kosovo sul suo passaporto, pretendendo invece quello vecchio di Unmik.
Il capitolo indipendenza è da poco iniziato. Ci saranno ancora tanti paragrafi da scrivere, ma di sicuro una cosa appare evidente: il progetto americano dell’indipendenza sta subendo duri colpi. Di questo sono ben consci i serbi di Mitrovica che si mostrano molto più distesi in viso, se non sorridenti.


domenica 18 maggio 2008

DOPO L'11 MAGGIO

L’11 maggio è passato e le elezioni serbe in Kosovo si sono tenute in un clima sereno e tranquillo. Non sono stati riportati importanti brogli elettorali nè scontri ai seggi, tranne un unico caso isolato in un’enclave serba tra un piccolo gruppo di elettori e la commissione. Fatto irrisorio comunque. Di questa domenica di maggio due elementi balzano agli occhi: una discreta affluenza alle urne e l’espressione di un voto radicale. Il partito di Nicolic (SRS) ha fatto il pieno dei voti qui in Kosovo.
La vittoria dell’ala più morbida e filo-europea è sicura
mente un ottimo risultato e potrebbe aprire scenari nuovi e più colorati, non da ultimo l’implementazione dell’Accordo di Associazione e Stabilizzazione che aprirà la strada alla cooperazione economica –milioni di euro quindi- tra l’Unione Europea e la Serbia, con risvolti positivi per il Kosovo stesso.
Questa vittoria di Tadic, il carismatico leader del Partito Democratico (D
S), è stata accolta con un certo gradimento dagli ambienti politici kosovari e dalla sua stessa società civile. Ci si augura, pertanto, che aria fresca possa presto arrivare qui in Kosovo nella calda stagione estiva alle porte, dopo aver compreso, però, che quest’ultimo voto uscito dalle urne del Kosovo (115.000 erano i cittadini registrati) è un voto estremista che racchiude malcontento e rabbia, in controtendenza rispetto al resto della Serbia.

É bene fare un passo indietro e cercare di inquadrare il contesto in cui sono maturate queste elezioni. Praticamente in seguito all’autoproclamazione dell’indipendenza del Kosovo ed ai disaccordi venutisi a creare all’interno del governo Kostunica, quest’ultimo per queste ragioni l’8 Marzo si dimette. Nove giorni dopo (17 Marzo) avvengono gli scontri a Mitrovica per l’occupazione del tribunale penale da parte di un gruppo di dipendenti stessi. Nel corso di tali scontri un giovane di vent’anni, soldato di nazionalità ucraina della Kfor, perde la vita ed altre 150 persone, tra dimostranti e soldati del contigente Kfor, rimangono feriti. Sul caso ci sono ancora accertamenti in corso ed un team dell’ONU composto da quattro esperti è venuto appositamente da New York per svolgere le dovute indagini e cercare di ricostruire l’accaduto. Ma quel che è certo è che sono state commesse alcune leggerezze da parte di Unmik, nel consentire prima e per un arco di tempo lungo (4 giorni) l’occupazione del tribunale, e come conseguenza di ciò, l’aver deciso di intervenire, per allontare gli occupanti, proprio il 17 marzo giorno dell’anniversario degli scontri del 2004, ben più tragici di quest’ultimi. La decisione di occupare il tribunale, da parte del gruppo serbo, è stata indubbiamente un atto forte, illegale, l’ennesimo atto di forza commesso dalla Serbia nei confronti di Unmik. Una cosa è certa: il tribunale non andava occupato ma anche Unmik non doveva intervenire proprio quel giorno, anche se poco o nulla sarebbe cambiato sul piano mediatico. Intervenire infatti due giorni prima o uno dopo non avrebbe cambiato nulla (i fatti di marzo del 2004 si svolsero dal 16 al 19). Da allora però molte Organizzazioni internazionali operanti a Mitrovica nord hanno dovuto fare i conti con una popolazione provata, amareggiata e diffidente verso il personale internazionale, ed hanno dovuto fare marcia indietro, arretrando o azzerando il lavoro implementato in anni. Inutile però dilungarsi su questo fronte che occupa un’altro capitolo. Altro elemento intercorso durante questo breve periodo, avvelenando ulteriormente il clima e l’animo della popolazione serba, è stato il verdetto finale del Tribunale Internazionale dell’Aia che non ha ritenuto colpevole per i reati di genocidio, stupro e violenze Ramush Haradinaj, l’ex Primo Ministro del Kosovo, riabilitandolo quindi come leader kosovaro.

E’ in questo clima che si è tenuta la breve campagna elettorale, e per di più in un momento di piena crisi Unmik sopraggiunta dopo tale evento. Nell’ultimo periodo, 18 marzo-10 maggio, Unmik ha cercato, ma ancora non c’è riuscita, una possibile via d’uscita e di tenuta alla crisi che la sta attraversando –crisi di management e di leadership al vertice, mentre la Serbia ha tentato più volte di forzare la mano, prima con l’invio di ingenti aiuti umanitari dalla Russia di Putin indirizzati alle enclaves serbe del Kosovo senza chiedere il dovuto coinvolgimento nelle procedure e nella gestione di tali aiuti a Unmik e le istituzioni kosovare (evento che ha creato non poco imbarazzo tra la comunità internazionale presente in Kosovo ed Unmik stessa). Poi, nonostante il parere contrario dell’amministrazione internazionale in Kosovo, i centri decisionali a Belgrado hanno deciso di tenere anche qui nella loro provincia le elezioni per il rinnovo del Parlamento e delle amministrazioni locali. L’impasse causata dalla titubanza iniziale e non-decisione in merito da parte di Unmik è stata superata dal loro acconsentire solo alle elezioni politiche sul territorio, in quanto viene riconosciuta ai serbi kosovari la doppia cittadinanza. Non sono state autorizzate invece le elezioni per il rinnovo dei comuni. Rucker, numero uno di Unmik, è stato lapidario al riguardo anche il giorno delle elezioni con dichiarazioni che non lasciavano nessun possibile fraintendimento: “Queste elezioni sono illegali”; “Elezioni illegali non potranno avere conseguenze legali”. Nonostante ciò, e con un basso profilo di Unmik, l’ennesimo, le elezioni di Maggio si sono tenute in un clima di assoluta tranquillità. È bene ricordare che in base alla risoluzione ONU 1244, ancora in vigore, Unmik ha il diritto e il potere di amministrare il Kosovo (lo sta facendo dal 1999) e, in veste di questo incarico, è l’unica e la sola autorità che può autorizzare le elezioni in Kosovo ed in tutto il suo territorio, che è ancora, in forza della stessa risoluzione, considerata una provincia della Serbia. Questo è uno dei tanti paradossi della politica internazionale. Tale clima ha preceduto dunque il voto dell’11 Maggio in Kosovo. Ma si spera aria nuova arrivi presto. Potrebbe essere giunta l’ora di voltare pagina per quel che riguarda la gestione generale che sino ad ora è stata fatta del “Caso Kosovo” ed aprire un nuovo capitolo. C’è ancora tempo per avviare un costruttivo dialogo tra i serbi e gli albanesi kosovari, con il dovuto supporto della comunità internazionale. Ci sia augura che quest’ondata blu-europea rinfreschi l’aria portando idee nuove e costruttive, fosse solo per risolvere l’affannosa questione della popolazione serba in Kosovo. Questo è possibile ad almeno una condizione e cioè che Belgrado, percependosi ora più ad ovest di quanto immaginava prima e non servendosi più del salvagente russo, cambi atteggiamento nei riguardi del Kosovo delle istituzioni di Unmik e dei cittadini serbi che vivono qui. La politica cieca e ostruzionista di chiusura verso le istituzioni del Kosovo ha avuto conseguenze negative proprio sui serbi stessi che vivono qui, sulla loro libertà di movimento e di partecipazione alla cosa pubblica. Belgrado avrebbe ottenuto di più facendo partecipare i serbi, in varie forme e modi, alle istituzioni del Kosovo in maniera unitaria ed organica, anche per cercare di lottare dal di dentro avanzando proposte fattibili ed alternative a quelle albanesi, e riservandosi eventualmente in seguito a disaccordi il diritto di manifestare il proprio dissenso con forme legittime di proteste. Oggi è bene che si inizi a dare peso e spessore alle esigenze e alle richieste dei tanti serbi che vivono in Kosovo allentando una volta per tutte la corda del ricatto e del controllo (le armi del passato). Bisogna ripartire dal basso, dalla strada maestra, ed avviare quantomeno forme embrionali di dialogo tra le parti. Sino ad ora e per tutti questi nove anni ciò è mancato, in tutte le sue forme ed espressioni e a tutti i livelli della politica. Non esiste un incontro alla luce del sole, una conferenza –Vienna a parte-, un minimo contatto formale tra le due parti, figurarsi una foto che immortali la stretta di mano tra i leaders. Si vociferava poco tempo fa di un presunto incontro dietro le quinte del palazzo di vetro a New York tra Thaci (Primo Ministro del Kosovo) e Tadic (Presidente della Serbia), categoricamente smentito da uno dei due.
Tutto ciò è gra
ve e la comunità internazionale dovrebbe interrogarsi su questo. È sua infatti una gran fetta di responsabilità. La creazione di barriere, simboliche e non, sono un nostro prodotto e di questo Mitrovica è il risultato più emblematico: una città praticamente divisa in due parti nette, distinte e contrapposte. Questa classica politica del “divide et impera” ha maturato questo frutto bastardo. La comunità internazionale scesa in campo ad interporsi tra le due opposte realtà non poteva e non può permettersi il rischio di perdere tra i suoi uomini delle vite umane. Timorosa di ciò ha come tenuto legati ad una catena due pitbull (continuamente maltrattati dai loro rispettivi padroni) che con il passare del tempo si sono via via sempre più inferociti bavando di rabbia. Si potrebbe supporre che se lasciati liberi di esprimersi, sotto la supervisione del loro guardiano, in un primo momento abbaieranno animosamente, ma finiranno, quando non sentiranno più il fiato di altri sul collo, con l’annusarsi, accettarsi l’un l’altro e condividere poi lo stesso recinto. Questa metafora potrebbe spiegare l’ovvia conclusione che la dialettica sino ad ora portata avanti solo dall’alta diplomazia è servita a poco. Tale politica che ha fatto del “Caso Kosovo” una partita tra Usa e Russia, delicata per gli equilibri geopolitici mondiali (con forti influenze sugli altri attori, Belgrado inclusa), non ha certo risolto concretamente ed in maniera duratura i destini di chi il Kosovo lo popola e che proprio per questo, mi riferisco ai serbi del Kosovo, in più occasioni e su questioni pratiche, hanno mostrato alternative diverse a quelle volute ed attuate da Belgrado.

articolo pubblicato sul sito di peacelink.it

KOSOVO: LA VOCE DEL CONIGLIO