LIFE AFTER è la storia di un gruppo di anziani, di diverse etnie, che vivono insieme sotto lo stesso tetto di un centro geriatrico del Kosovo e condividono un problema comune: sono stati dimenticati dal mondo. Come risultato, hanno deciso di concentrarsi sul fare conoscenze e amicizie. LIFE AFTER racconta una storia che vale la pena guardare, fosse solo perché mostra come le persone che hanno perso tutto durante o dopo la guerra, abbiano ancora la forza di dare consigli su come vivere insieme.
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lunedì 27 giugno 2011
lunedì 4 aprile 2011
KOSOVO - HUMAN DEVELOPMENT REPORT 2010
E' da poco uscito l'ultimo report da parte dell'UNDP-Kosovo. Quest'anno si parla di inclusione sociale. In termini semplici, per esclusione sociale si intende la pratica di negare ad alcuni gruppi il diritto di contribuire economicamente, politicamente e socialmente alla crescita della loro società, limitando in tal modo il potenziale della società stessa. L'esclusione può avvenire deliberatamente, attraverso la discriminazione istituzionale, o involontariamente, attraverso pratiche culturali che di fatto limitano i diritti e le libertà individuali. Qualunque sia la causa, l'effetto è sempre lo stesso: autolimitazione e un iniquo processo di sviluppo. L'ampiezza dell'emarginazione all'interno della società kosovara è forse il dato più rilevante della relazione. Lungi dall'essere un fenomeno di minoranza, l'esclusione -economica, dai servizi sociali e di impegno civile- è una condizione vissuta da una vasta gamma di persone in varie dimensioni della vita quotidiana. Quella dell'esclusione è una sfida cruciale per lo sviluppo del Kosovo e di ogni paese. Il rapporto identifica nel dettaglio i gruppi sociali che più di altri risentono dell'esclusione sociale e ne sono vittime. Queste fette di popolazione rischiano di diventare invisibili se non si cambia rotta e non si inverte la scala delle priorità politiche. Nella lunga lista degli esclusi vanno annoverati: i disoccupati di lunga durata, i bambini svantaggiati, i giovani, le donne delle aree rurali, i Rom, Ashkali ed Egiziani (RAE) e tutte le persone con bisogni speciali. Davanti a se il Kosovo ha una serie di sfide sociali ed economiche da affrontare e queste riguardano:
• Stagnazione economica: il PIL pro capite del Kosovo è attualmente il più basso d'Europa. Anche se il Fondo Monetario Internazionale (FMI) ha previsto che crescerà del 3% per i prossimi sei anni (passando dai 1.766 ai 2.360 euro) il Kosovo ha ancora molto da recuperare in termini di equa distribuzione dei ricavi all'interno della sua società;
• Povertà diffusa: circa il 45% (poco più di due kosovari su cinque) vivono sotto la soglia della povertà e uno su cinque non è in grado di soddisfare i propri bisogni di base. La povertà è più elevata tra coloro che vivono in grandi famiglie - che spesso hanno molti membri disoccupati e livelli di istruzione relativamente più bassi. Coloro che vivono in povertà sono anche geograficamente concentrati nelle zone rurali e in alcune regioni del Kosovo, come Prizren e Gjilan/Gnjilane;
• Elevati livelli di disoccupazione: si stima che il 45% della forza lavoro è disoccupata, con tassi di disoccupazione per i giovani che superano il 73% e la disoccupazione femminile all'81%. Il mercato del lavoro ogni anno si gonfia in media di 30.000 giovani in cerca di lavoro, ma con poche opportunità a loro disposizione;
• Scarsa qualità della vita: sulla salute e gli standard educativi i cittadini kosovari sono in forte ritardo rispetto ai loro vicini europei. Gli indicatori sanitari in Kosovo sono tra i peggiori dell'Europa. Il tasso di mortalità infantile è di18-49 per 1.000 e sotto i cinque anni la mortalità infantile è di 35-40 per 1.000 nati vivi, rappresentando così il dato più alto in Europa. Anche l'istruzione è molto variabile e selettiva - in particolare per i bambini con qualsiasi forma di disabilità fisica o di apprendimento e l'educazione prescolare è praticamente inesistente al di fuori di Pristina;
• Discriminazione: le minoranze etniche del Kosovo sono quelle che subiscono l'impatto peggiore delle sfide socio-economico del Kosovo. In particolare, le condizioni dei RAE del Kosovo sono abbastanza vicini a quelli che si trovano nei paesi meno sviluppati. Il livello di disoccupazione per la comunità RAE, dove il 75% dei giovani maschi di 15-24 anni sono disoccupati, per esempio, è molto superiore alla media del Kosovo.
Il fatto davvero strano è che dal 2000 in poi la comunità internazionale ha investito più risorse pro-capite in Kosovo che in qualsiasi altra arena di post conflitto. L'Unione europea, principale donatore del Kosovo, ha annunciato che per i prossimi tre anni destinerà per il Kosovo molti più fondi che in qualsiasi altro posto del mondo.
Già la sola l'Unione europea ha erogato quasi un miliardo di euro per il Kosovo tra il 2000 e il 2006 attraverso il programma CARDS (assistenza comunitaria alla ricostruzione, lo sviluppo e la stabilizzazione) e dal 2007 altri 426 milioni di euro attraverso lo strumento di assistenza di preadesione (IPA). Poi giù di lì tutti gli altri milioni di euro del governo americano, delle organizzazioni internazionali e dei vari paesi europei. Una marea di fondi che negli anni sono serviti alla ricostruzione del paese e al rafforzamento delle istituzioni democratiche per armonizzarle con quelle europee. Gli scarsi risultati, però, sono sotto gli occhi di tutti. Il processo di adesione all'UE non è una passeggiata, è un iter estremamente complesso che richiede un rimodellamento vasto dei quadri normativi, il rispetto di standards molto elevati di governance e di cooperazione regionale. Nonostante la massiccia presenza di istituzioni internazionali e di ingenti fondi, la strada verso l'Europa è ancora molto lunga.
L'intero documento in lingua inglese
martedì 11 gennaio 2011
L'ARTE DEL RICAMO: ARTHUR'S SEAT PROJECT
(Arthur's Seat Project, 1999-2000 installazione, ricamo su tela riportata su feltro, 12 elementi collezione MAXXI)
"Alla fine del 1999 ho iniziato un nuovo progetto di ricamo collettivo, il secondo. Volevo coinvolgere donne di etnia serba e albanese perché ciascuna ricamasse un frammento di uno stesso disegno preso da una geografia reale. Una specie di punto d’incontro fittizio. Sapevo anche della necessità di scegliere un luogo ‘neutrale’, che non avesse niente a che fare, almeno direttamente, con la storia personale delle 12 donne contattate, un ‘terzo’ luogo. Una geografia che io ho vissuto, emotivamente e fisicamente. Una terra di mezzo" Claudia Losi
L'Arthur's Seat è opera della giovene artista Claudia Losi. Anche questa, come molte sue opere, è frutto di un'operazione collettiva imperniata intorno a oggetti che fungono da catalizzatori di energie e di esperienze. Protagonista è il ricamo, che è perseveranza nell’esecuzione, una tecnica che non riguarda solo una generica identità femminile, ma che soprattutto assume un valore antropologico nella collaborazione con gruppi di anziane signore nei ricami collettivi. L'opera di un vulcano ricamato da donne di diverse etinie è un'immagine potente e suggestiva. Al tempo stesso il paziente e certosino lavoro delle donne riporta ad una visione delicata e intima.
Siamo all’indomani del conflitto balcanico. Il disegno stilizzato di un vulcano spento, situato nei pressi di Edimburgo, l'Arthur's Seat appunto, viene tracciato su tessuto e suddiviso in dodici parti. I frammenti vengono distribuiti a sei ricamatrici che vivono in Serbia e a sei che vivono in Kosovo (Valbona Koca, Savica Stevanović, Vasilija Kuljanin, Zivka Jaksić, Snezana Bozović, Leze Krasniqi, Fatmira Shehu, Luljeta Maloku, Milena Bojanić, Mili Miloti, Ajshe Bajrami, Sena Marković). Claudia Losi chiede loro di restituire le pezze ricamate e successivamente ricompone l’unità dell’immagine, geografia simbolica di una possibile coabitazione tra etnie diverse.

Guarda il sito di CLAUDIA LOSI
mercoledì 8 settembre 2010
KOSOVO – FALSCHE HEIMAT
Il termine "casa" descrive una relazione tra popoli indigeni e lo spazio. La casa è il posto dove si è cresciuti e in cui ci si dovrebbe sentire al sicuro, quantomeno protetti. Ogni tanto non è così e, le notizie degli allontanamenti di questi giorni ce lo ricordano. Hannes Jung, giovane fotografo tedesco, in un interessante reportage ha documentato le sorti della famiglia Berisha che nel 1992 lasciò l'ex-Jugoslavia col suo clima irrespirabile per cercare riparo altrove, in Germania. Quì sono rimasti per 17 anni e cinque dei loro sei figli sono nati proprio nella loro nuova terra di accoglienza. Nel 2008 la famiglia venne costretta dalle autorità tedesche a rientrare nella loro patria (?), in quel Kosovo estraneo a cinque dei sei giovani Berisha. Nessuno è in attesa di loro, nè parenti, nè amici. Non vanno a scuola. Fatta eccezione per la madre, nessuno parla correttamente albanese.
Guarda il sito di HANNES JUNG
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giovedì 4 febbraio 2010
DIPLOMAZIA DEL CAMPO
La situazione a Mitrovica, rispetto al resto delle cittadine abitate dai serbi a sud del fiume Ibar, è ben diversa e più complicata, anche perchè Belgrado mantiene delle proprie strutture di governo parallele; motivo per il quale non si è potuto votare nelle recenti elezioni locali. Qui serve una "diplomazia del campo", suggerisce l'ambasciatore italiano a Pristina, Michael Giffoni, in veste di political facilitator e di promotore del dialogo con le comunità nel nord del paese balcanico: una diplomazia, cioè, che "smitizzi" la definizione dello status, abbandoni l'ideologia e si concentri sulle necessità concrete della popolazione. "A Gracanica, per esempio, sotolinea l'ambasciatore, la comunità serba ha capito che non solo è meglio partecipare alla vita politica, ma anche indirizzarla. Per questo qui ha votato più del 30% dei serbi''
martedì 22 dicembre 2009
LA SERBIA SULLA STRADA DELL'EUROPA
Lo scorso fine settimana - 19 dicembre - la Serbia, insieme alla Macedonia e al Montenegro, ha ricevuto un gradito e atteso regalo dall’Europa: l’inserimento nella “lista bianca” di Schengen, ossia il diritto per i suoi cittadini di entrare liberamente in tutti i 27 stati dell’Unione Europea senza bisogno di un visto d'ingresso. Per la prima volta nei quasi vent’anni che hanno fatto seguito al crollo della Jugoslavia e alle molte tragedie delle sue guerre intestine, i cittadini di questi tre paesi dei Balcani possono sentirsi meno diversi dai loro vicini di casa, semplicemente perchè possono visitarli quando lo ritengono opportuno senza chiedere il permesso. Si tratta d’altronde di un aspetto particolarmente significativo, poiché simbolo di progresso ed al tempo stesso di ritorno ad un passato glorioso: i cittadini jugoslavi potevano infatti viaggiare liberamente in Europa. Non è ancora il diritto di trasferirsi a vivere e lavorare nei paesi della Ue, perchè la permanenza non può superare i 90 giorni ed è limitata a motivi turistici, di affari o comunque privati, ma è un chiaro passo in quella direzione. Per l'Unione Europea si tratta di una tappa molto importante nel processo di avvicinamento dei Balcani occidentali, anche se per il momento restano fuori la Bosnia Erzegovina e l'Albania, che non hanno fornito garanzie necessarie per iniziare il percorso verso l'abolizione dei visti. Il nuovo regime senza visti si applica a tutti coloro che possiedono un passaporto biometrico. Per tutti gli altri, anche per i serbi residenti in Kosovo con passaporto serbo, ci sarà ancora bisogno del visto. Su questo punto bisognerebbe soffermarsi. Questa importante tappa verso l'integrazione europea da parte della Serbia era, è, e sarà, contrassegnata da un aspetto un po' meno roseo e cioè dal fatto che la Serbia potrà guardare avanti in direzione dell'Europa solo rinunciando alla sua ex provincia del Kosovo. Come dimostra questo accordo i serbi di Serbia e quelli del Kosovo sono considerati come due entità diverse e distinte, e con diversi approcci e differenti orologi entreranno a far parte dell'Europa. L'accordo si deve vederlo anche sotto quest'ottica. Per ora, comunque, festeggiamo insieme ai tanti giovani della Serbia questo importante momento, se non altro perchè sin da ora potranno viaggiare liberi e rendersi conto che dopotutto questa Europa, che per tanti anni è stata malvista, è molto più vicina di quanto si pensi. Saranno loro, nel futuro prossimo, a condurre le sorti della Serbia. Ai giovani serbi spetterà questa ardua sfida. Ora lasciamoli respirare aria nuova, fresca ed europea. Buon viaggio!
sabato 5 dicembre 2009
L'AMORE E GLI STRACCI DEL TEMPO
- UN LIBRO SOTTO L'ALBERO -

Un uomo e una donna divisi dalla guerra. Lui è serbo e lei kosovara, e la guerra è proprio quella del Kosovo, nei Balcani squarciati dai nazionalismi. Lui la cerca per anni tra i profughi dispersi per l'Europa, perché gliel'ha promesso. Lei lo aspetta, seduta in un angolo di mondo, perché aspettarlo è l'unica cosa che sa fare. Ma a volte la sorte trasforma le persone in "lettere mandate al momento sbagliato".
Una storia vibrante e sincera, di amicizie che durano una vita, di perdite e di speranza, di figli della guerra e dei loro tanti genitori. Un romanzo che tocca corde profonde, temi viscerali, con coraggio e delicatezza. Che non teme di fare i conti con un passato che "quando ti trova, ti guarda con i tuoi stessi occhi". Nella carta geografica degli anni Novanta i Balcani sono in rapido e incontrollabile mutamento, e con loro i sentimenti delle persone che li popolano sotto la spinta di opposti nazionalismi: ma non l'amicizia tra Milos (serbo) e Besor (albanese), né l'amore tra i loro due figli, Ajkuna e Zlatan. La prima volta che Zlatan vede Ajkuna è rapito dal dondolio delle sue trecce che "si allungano quasi a toccare terra". Non sa ancora che quella bambina diventerà così centrale nella sua vita. Crescono insieme a Pristina, nella stessa casa, anche se lui è serbo e lei kosovara di etnia albanese. I loro padri condividono la passione per la medicina e per le poesie di Charles Simic. Le loro madri, Slavica e Donika, litigano su come fare le conserve di peperoni e sui particolari di certe ballate, patrimonio comune dei popoli dei Balcani. Ma il Kosovo, in cui per secoli questi popoli hanno convissuto, alla fine degli anni Novanta sanguina. Ed è l'ennesima ferita al cuore dell'Europa balcanica. Tra i botti di Capodanno e gli spari della guerriglia, Ajkuna e Zlatan si promettono amore eterno "come solo due ragazzi possono promettersi". La storia però li separa: militare di leva lui, profuga lei. Ajkuna si ritrova in Svizzera, dove partorisce Sarah. Zlatan finisce in Italia, dove incontra Ines. Una ragazza minuta, con i capelli lisci che le cadono sulle spalle. Proprio come Ajkuna. In un montaggio alternato, il romanzo segue le vite dei due protagonisti, il loro rincorrersi e sfiorarsi, e forse perdersi. Lungo il cammino, in una babele arruffata di lingue, Zlatan e Ajkuna incroceranno una piccola folla di personaggi intensi, veri, col loro bagaglio di storie al seguito.
Anilda Ibrahimi ci racconta, con la sua leggerezza, con la sua scrittura cruda e poetica, una vicenda struggente, di sentimenti forti, senza essere sentimentale. Ci porta nel Kosovo per farci scoprire un mondo diverso e la sua repentina distruzione. Rintracciando però quel filo che continua a legare vecchio e nuovo, passato e futuro, in un flusso ininterrotto di vita. Al di là dell’ambientazione e delle tragedie vissute dai personaggi del libro, L’amore e gli stracci del tempo è una storia universale che parla a tutti di tutti. Una storia di come a un certo punto della nostra vita dobbiamo per forza fare i conti con quello che siamo diventati, anche se non ci piace poi tanto, anche se avevamo sognato cose diverse. E’ una storia di madri e anche una storia di padri.
Titolo: L'amore e gli stracci del tempo
Genere: Libri Narrativa Italiana
Autore: Anilda Ibrahimi
Editore: Einaudi
Anno: 2009
Collana: I coralli
Informazioni: pg. 280; 18,50 €
Codice EAN: 9788806199722
martedì 20 ottobre 2009
INCONTRO CON ALBERT PRENKAJ, AMBASCIATORE DEL KOSOVO IN ITALIA
Albert Prenkaj è un ex professore universitario con un passato nell'Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE). Il 17 febbraio del 2008, Pristina ha proclamato la sua indipendenza da Belgrado, e, poco tempo dopo, il Professor Prenkaj è divenuto l'incaricato d'affari del Kosovo in Italia. Con la concessione di gradimento da parte del Presidente della Repubblica Italiana, ha iniziato a svolgere ufficialmente le attività di Ambasciatore presso il nostro paese. Nella totale indifferenza dei media e dei giornali italiani, pronti però ad occuparsi di Kosovo quando c’è da parlarne male, il neo ambasciatore lavora da oltre un anno a Roma per instaurare, in una delle dieci capitali europee ritenute più influenti dal punto di vista politico a livello mondiale, una nuova ambasciata. Da poco rientrato dal Kosovo dove si è recato per ricevere l'investitura ufficiale da parte del suo Presidente della Repubblica, Prenkaj mi ha raccontato la sua esperienza italiana. Dopo circa un anno di intenso lavoro, sono soddisfatti di aver finalmente creato una vera e propria ambasciata. Si sono occupati di logistica e di problemi amministrativi, individuando innanzitutto una sede consona al suo ruolo. Sono riusciti anche ad avviare informali contatti con la diplomazia italiana e quella vaticana. L’ambasciatore, con la sua eleganza e la pacatezza dei gesti, mostra di essere
consapevole delle caratteristiche del paese in cui lavora, di quell’Italia che “ha stretti rapporti economici con la Serbia e che ha solidi rapporti politici con Belgrado” . Ci tiene comunque a precisare che la sua “mission non è quella di creare conflitti, scardinare alcunchè, ma di sostenere la pace”; ed afferma subito dopo che “ l’aver avviato questa missione in Italia è un piccolo risultato per il sottoscritto, ma un obiettivo significativo per il Kosovo”. Secondo l’Ambasciatore kosovaro, l'Italia è un grande Paese, e come tutti i grandi paesi ha un apparato statale complesso, dove amministrazione, burocrazia, relazioni politiche ed economiche sono il complesso frutto di decenni di politiche e rapporti con i paesi vicini: "noi, come Repubblica del Kosovo, vogliamo inserirci e potenziare i nostri rapporti con l’Italia, ma senza forzare nulla". Ben consapevole delle difficoltà nell'avviare relazioni diplomatiche con un paese, si dice certo che “ è una questione di tempo”. L'ex professore universitario ricorda che le relazioni tra i due paesi risalgono al periodo dell'Impero Romano ed erano frequenti nel medioevo. I ricordi lo portano poi a tempi a noi più vicini, ed in particolare al padre, che ha imparato il nostro idioma frequentando i militari italiani nel 1943. Altri tempi. Uomo di cultura, riflessivo ed analitico, evidentemente abituato a lavorare con metodologia e criterio per organizzazioni internazionali del calibro dell’OSCE, Prenkaj afferma di essersi subito misurato con problemi che apparentemente possono sembrare di poco conto, ma che, se risolti, "dimostrano tutta la loro praticità per i kosovari che risiedono in Italia". Nella piacevole conversazione, con il suo perfetto inglese, l'ambasciatore ricorda i primi tempi trascorsi qui in Italia quando, con stupore, si accorse di quanto fosse difficile far recapitare una semplice lettera in Kosovo. "Grazie al supporto della Farnesina siamo riusciti a superare questo ostacolo: ora anche il Kosovo ha il suo codice postale e non deve fare più riferimento ai lasciti del vecchio periodo Jugoslavo", afferma con una punta di orgoglio. Subito dopo si sofferma su un altro cavillo burocratico da poco superato: l'accordo ottenuto con la B.N.L., relativo al codice bancario.
L'instancabile ambasciatore dice di ritenere l'Italia un grande paese "che ha contribuito significativamente alla ricostruzione del Kosovo; un paese a noi vicino; anche noi ci sentiamo parte della regione mediterranea, e vogliamo cooperare con voi" sostiene. Le autorità del Kosovo, in virtù di questa vicinanza storica e geografica hanno ritenuto l'Italia uno dei paesi da cui partire per avviare positive relazioni diplomatiche. Alla base di questo ragionamento, va considerato anche il fatto che in Italia risiedono oltre 60 mila kosovari, secondo i dati forniti dallo stesso ambasciatore. Si tratta certo di un numero rilevante di persone, la stragrande maggioranza delle quali di etnia albanese, concentrate principalmente nelle regioni del nord Italia. Sono inclusi i gorani, concentrati nei dintorni di Siena, ed i rom, molti dei quali vivono a Firenze. "Al momento non è possibile avere la cifra esatta della presenza kosovara in Italia perchè ancora adesso ci sono kosovari che hanno soltanto il passaporto serbo" ci tiene a sottolineare Prenkaj; "in quest'anno di attività, non sono mancati comunque gli incontri con la comunità dei gorani e con quella dei rom di Firenze, alle quali abbiamo cercato di fornire supporto e assistenza", aggiunge. Ricorda inoltre di essersi stupito, durante uno dei suoi viaggi in Italia, quando alcuni cittadini serbi residenti in Veneto gli si erano avvicinati chiedendo le modalità per ottenere il passaporto serbo. Senza preoccuparsi e con tranquillità aveva fornito loro le delucidazioni necessarie, comunicando ovviamente in lingua serba, idioma che utilizza nella maggior parte dei casi anche con i rom e i gorani.
Dopo la fase iniziale, da poco superata, di insediamento dell'ambasciata, le attività future dell'Amb. Prenkaj si concentreranno sulle relazioni istituzionali e di lobbying, ed in quello che lui definisce "diplomazia pubblica", ossia attività di sensibilizzazione tra la gente e sul territorio, presenziando anche attività culturali. "Lavoreremo in stretto contatto con le autorità politiche italiane e proveremo ad avviare importanti contatti con quelle vaticane", sostiene. La Santa Sede è infatti vicina al Kosovo ed ha fornito un prezioso supporto durante gli eventi drammatici della guerra, quando, attraverso il fitto lavoro diplomatico condotto sul campo dalla Comunità di Sant'Egidio, è riuscita a mettere in salvo sul territorio italiano lo stesso Presidente Rugova. La Chiesa, ricorda l'Ambasciatore, ha dopotutto antiche radici in Kosovo: è la terra in cui, ad Ulpiana, nelle vicinanze di Pristina, furono martirizzati i santi cristiani Floro e Lauro, e ha un contatto diretto con il Kosovo attraverso la Diocesi di Prizren. Per tutti questi motivi, ed anche per il fatto che il Kosovo è, di fatto, un paese secolare, dove accanto all'islam dominante (modello turco) convivono una varietà di culti e di religioni, come i dervish, i cattolici e gli ortodossi, Prenkaj non sembra essere tanto preoccupato dal tema religioso. A portarlo alla riflessione sono piuttosto le considerazioni espresse da alcuni paesi che considerano ancora questo Stato un "precedente storico" pericoloso per l'Europa. Il Kosovo, essendo un paese nato da poco, non ha dalla sua parte la consistenza politica, diplomatica e un apparato organizzativo proprio dei suoi vicini, ma si può certo essere fiduciosi che sia solo una "questione di tempo", per usare le stesse parole dell'ambasciatore. Possiamo attenderci che dopo il pronunciamento da parte della Corte Internazionale di Giustizia sull'indipendenza del Kosovo - il cui verdetto ha soltanto valore consultivo - altri Stati si esprimeranno positivamente sul riconoscimento di questo nuovo Stato nel cuore dell'Europa.
articolo pubblicato sul sito di Report on line
L'instancabile ambasciatore dice di ritenere l'Italia un grande paese "che ha contribuito significativamente alla ricostruzione del Kosovo; un paese a noi vicino; anche noi ci sentiamo parte della regione mediterranea, e vogliamo cooperare con voi" sostiene. Le autorità del Kosovo, in virtù di questa vicinanza storica e geografica hanno ritenuto l'Italia uno dei paesi da cui partire per avviare positive relazioni diplomatiche. Alla base di questo ragionamento, va considerato anche il fatto che in Italia risiedono oltre 60 mila kosovari, secondo i dati forniti dallo stesso ambasciatore. Si tratta certo di un numero rilevante di persone, la stragrande maggioranza delle quali di etnia albanese, concentrate principalmente nelle regioni del nord Italia. Sono inclusi i gorani, concentrati nei dintorni di Siena, ed i rom, molti dei quali vivono a Firenze. "Al momento non è possibile avere la cifra esatta della presenza kosovara in Italia perchè ancora adesso ci sono kosovari che hanno soltanto il passaporto serbo" ci tiene a sottolineare Prenkaj; "in quest'anno di attività, non sono mancati comunque gli incontri con la comunità dei gorani e con quella dei rom di Firenze, alle quali abbiamo cercato di fornire supporto e assistenza", aggiunge. Ricorda inoltre di essersi stupito, durante uno dei suoi viaggi in Italia, quando alcuni cittadini serbi residenti in Veneto gli si erano avvicinati chiedendo le modalità per ottenere il passaporto serbo. Senza preoccuparsi e con tranquillità aveva fornito loro le delucidazioni necessarie, comunicando ovviamente in lingua serba, idioma che utilizza nella maggior parte dei casi anche con i rom e i gorani.
Dopo la fase iniziale, da poco superata, di insediamento dell'ambasciata, le attività future dell'Amb. Prenkaj si concentreranno sulle relazioni istituzionali e di lobbying, ed in quello che lui definisce "diplomazia pubblica", ossia attività di sensibilizzazione tra la gente e sul territorio, presenziando anche attività culturali. "Lavoreremo in stretto contatto con le autorità politiche italiane e proveremo ad avviare importanti contatti con quelle vaticane", sostiene. La Santa Sede è infatti vicina al Kosovo ed ha fornito un prezioso supporto durante gli eventi drammatici della guerra, quando, attraverso il fitto lavoro diplomatico condotto sul campo dalla Comunità di Sant'Egidio, è riuscita a mettere in salvo sul territorio italiano lo stesso Presidente Rugova. La Chiesa, ricorda l'Ambasciatore, ha dopotutto antiche radici in Kosovo: è la terra in cui, ad Ulpiana, nelle vicinanze di Pristina, furono martirizzati i santi cristiani Floro e Lauro, e ha un contatto diretto con il Kosovo attraverso la Diocesi di Prizren. Per tutti questi motivi, ed anche per il fatto che il Kosovo è, di fatto, un paese secolare, dove accanto all'islam dominante (modello turco) convivono una varietà di culti e di religioni, come i dervish, i cattolici e gli ortodossi, Prenkaj non sembra essere tanto preoccupato dal tema religioso. A portarlo alla riflessione sono piuttosto le considerazioni espresse da alcuni paesi che considerano ancora questo Stato un "precedente storico" pericoloso per l'Europa. Il Kosovo, essendo un paese nato da poco, non ha dalla sua parte la consistenza politica, diplomatica e un apparato organizzativo proprio dei suoi vicini, ma si può certo essere fiduciosi che sia solo una "questione di tempo", per usare le stesse parole dell'ambasciatore. Possiamo attenderci che dopo il pronunciamento da parte della Corte Internazionale di Giustizia sull'indipendenza del Kosovo - il cui verdetto ha soltanto valore consultivo - altri Stati si esprimeranno positivamente sul riconoscimento di questo nuovo Stato nel cuore dell'Europa.
articolo pubblicato sul sito di Report on line
giovedì 15 ottobre 2009
IL KOSOVO E LA PROSPETTIVA EUROPEA
Ieri, 14 ottobre, la Commissione Europea ha pubblicato il rapporto "Commission's 2009 Enlargement Strategy" sui progressi compiuti nei Balcani occidentali . Una parte di questa relazione è dedicata ai rapporti e le relazioni tra l'UE e il Kosovo. Il Commissario UE per l'Allargamento, Olli Rehn, ha dichiarato che "la decisione di oggi segna una nuova tappa. Proponiamo una serie di misure concrete per contribuire a migliorare la vita di tutti i cittadini del Kosovo. Queste misure dimostrano che l'avvicinamento del Kosovo all'Unione Europea non è una cosa astratta, ma riguarda, invece, reali e tangibili benefici per tutti". Nella conferenza tenuta ieri a Pristina, la Commissione ha esposto i risultati raggiunti e i settori chiave da affrontare nei prossimi anni, individuandone le modalità con cui l'UE potrà intervenire. Nel documento la Commissione propone di cominciare a lavorare verso la liberalizzazione dei visti per i cittadini del Kosovo e di avviare relazioni commerciali con il Kosovo. Vuole verificare le modalità per far partecipare il Kosovo ad alcuni programmi comunitari e coinvolgerlo in iniziative concrete sull'occupazione, le imprese e l'istruzione. La Commissione propone inoltre all'UE di affinare il dialogo politico con il Kosovo e ampliare la portata dell'assistenza finanziaria della Comunità Europea (la cooperazione transfrontaliera). Tali misure saranno attuate progressivamente e dipenderanno, in buona parte, dai progressi compiuti dal Kosovo. Nella sua "strategia annuale per l'allargamento dell'UE", la Commissione afferma che in Kosovo "la stabilità è stata mantenuta, ma resta fragile. La missione dell'Unione europea, EULEX, è stata dispiegata su tutto il territorio del Kosovo ed è pienamente operativa. Tuttavia il Kosovo ha davanti a se grandi sfide da raggiungere, compresa la garanzia dello Stato di diritto, la lotta contro la corruzione e la criminalità organizzata, il rafforzamento della capacità amministrativa, la protezione dei serbi e le altre minoranze". Nella relazione, vengono altresì analizzati i progressi del Kosovo sino ad ora raggiunti che riguardano concretamente il rafforzamento del quadro giuridico. Tuttavia, "la capacità della pubblica amministrazione e dell'assemblea hanno ancora bisogno di essere rafforzate. Sono necessari sforzi continui per intensificare la lotta contro la corruzione e la criminalità organizzata. Garantire la partecipazione dei serbi del Kosovo nella vita pubblica, comprese le elezioni locali, rimane una sfida importante". Ulteriori sforzi sono necessari per costruire la fiducia e favorire il dialogo. Il Kosovo ha fatto ben pochi progressi verso la creazione di una efficiente economia di mercato. Riforme sostanziali e importanti investimenti sono necessari per consentire all'economia del Kosovo di far fronte alle pressioni concorrenziali e alle forze di mercato dell'Unione. "L'economia del Kosovo ha segnato una crescita del 5,5% (dal 4,4% nel 2007), in gran parte basata sul consumo e gli investimenti pubblici. Tuttavia, il deficit commerciale continua ad aumentare. Il rispetto delle leggi è debole, la diffusa corruzione e l'incertezza sul diritti di proprietà continuano ad essere gli ostacoli principali per lo sviluppo economico e il tasso di disoccupazione resta molto alto. Il quadro normativo è stato ulteriormente potenziato nei settori delle dogane, del fisco, dell'istruzione e della polizia. L'applicazione delle norme europee si trova in una fase iniziale per quanto riguarda ambiente, energia, concorrenza, proprietà intellettuale, libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali". La Commissione europea si aspetta che da questo rapporto le autorità kosovare possano presto utilizzare le indicazioni contenute per progettare e implementare un insieme coerente di riforme per avvicinare il Kosovo all'Europa.
L'intero documento è consultabile in lingua inglese sul sito della Commissione Europea (pagg. 61-67 quelle relative al Kosovo)
articolo pubblicato sul sito di Report On Line
L'intero documento è consultabile in lingua inglese sul sito della Commissione Europea (pagg. 61-67 quelle relative al Kosovo)
articolo pubblicato sul sito di Report On Line
lunedì 21 settembre 2009
L'AUTUNNO CALDO DEL KOSOVO
Nei dieci mesi trascorsi dal dispiegamento ufficiale della missione europea, i rapporti tra Eulex (la Missione della EU) e le autorità kosovare sono stati segnati da un clima di sostanziale collaborazione, anche se non sono mancate le tensioni ancor prima del suo dispiegamento sul terreno: mi riferisco all’esplosione avvenuta a Pristina presso la sede dell’I.C.O. (International Civilian Office). Era la notte del 14 novembre dell’anno scorso quando tre tedeschi vennero colti sul luogo dell’attentato ed accusati di essere gli artefici. A far crescere la tensione nei mesi a noi più vicini è stata l'intenzione di Eulex, annunciata ad inizio agosto, di firmare un accordo con Belgrado per facilitare la collaborazione tra i rispettivi organi di polizia. Per Eulex l’accordo è di vitale importanza, un’ottima strategia per risolvere i problemi legati al crimine organizzato, il traffico di armi, droga e quant’altro in una zona molto calda. Una decisione condivisibile sul piano tecnico (è ora che le frontiere a Nord con la Serbia, veri e propri colabrodi, diventino degne di questo nome), ma fallimentare sul piano politico-diplomatico (l’accordo è stato raggiunto tenendo fuori il governo di Pristina). Le reazioni delle autorità politiche kosovare non si sono fatte aspettare. Il Presidente e il Primo Ministro del Kosovo hanno dichiarato più volte come non possa esserci nessun accordo senza il loro consenso e partecipazione nelle trattative e come le istituzioni kosovare non permetteranno a Belgrado di esercitare la sua influenza in Kosovo attraverso accordi e altri meccanismi. Pristina è arrivata a porre una condizione difficilmente accettabile per Belgrado, e cioè la firma all'accordo in cambio del riconoscimento. Pristina considera l’accordo lesivo della propria sovranità, sia perché le autorità kosovare sono state escluse dalle trattative, sia perché a livello politico l’accordo presupporrebbe lo scambio di informazioni con lo stato serbo, principale avversario dell’indipendenza del Kosovo. L’accordo in questione, che prevede lo scambio di informazioni e dati tra Serbia (polizia serba) ed Eulex, è un primo e decisivo passo in avanti della Serbia verso l’Europa. Certamente anche tra le istituzioni serbe non sono mancati i mal di pancia per la firma di questa collaborazione con Eulex. Per l’opposizione serba, infatti, raggiungere un accordo con Eulex significa anche accettare de facto il piano Ahtisaari e l’indipendenza del Kosovo in esso prevista (Kostunica è stato molto chiaro su questo). Questa evoluzione-involuzione dei rapporti tra Eulex, le autorità serbe e quelle kosovare, sta facendo da sfondo ad una situazione che in Kosovo si sta facendo pesante. Quello che si registrano in Kosovo, a Pristina, ma soprattutto nella calda cittadina di Mitrovica, sono le continue tensioni, molto spesso e per più di una volta, sfociate in veri e propri scontri con lancio di sassi e di ordigni, tra i due principali acerrimi nemici, ovvero tra serbi ed albanesi del posto. Questi scontri, avvenuti nel cuore dell’estate non si sono ancora arrestati. Il leitmotiv è l’autorizzazione da parte del governo di Pristina alla costruzione delle case degli albanesi che vivevano precedentemente nella zona a nord di Mitrovica. La diplomazia si era messa al lavoro per raggiungere un tiepido accordo di massima che prevedeva l’inizio della costruzione delle sole case nel quartiere di Kodra Minatore/Mikronaseljie parzialmente distrutte (ancora visibili) e per un numero limitato di esse. Parallelamente si doveva procedere con l’avvio dei lavori per la costruzioni di case serbe nella parte sud del Kosovo. Il fragile accordo ha retto poco. La vicinanza del nemico, le paure fomentate da questo o quel gruppo, gli incubi tra la popolazione generati dai nemici della pace duratura, hanno nuovamente riscaldato il clima a Mitrovica ed in Kosovo. In quella che dalla fine dei bombardamenti Nato è considerata la fortezza serba in Kosovo, in verità, le tensioni ci sono sempre state tutte le volte che si cercava di far dialogare le due parti in causa. Stessi incidenti si sono verificati a Suhadoll un altro quartiere a nord di Mitrovica, dove sono concentrate alcune famiglie albanesi. Il lancio di sassi è coinciso con l'avvio dei lavori per la costruzione della rete idrica nelle case degli albanesi. I lavori, bloccati per le continue tensioni e proteste dei vicini serbi, non sono ripresi neanche dietro le pressioni del sindaco di Mitrovica che ha cercato di coinvolgere Unmik e la Kfor. Se a Mitrovica il clima non è dei migliori, tensioni e malumori si registrano anche a Pristina. E’ sempre Eulex al centro dei problemi. Sono, per ora, sempre i ragazzi di Vetevendosje a creare scintille. Una presentazione fresca e assai colorita sul clima che si respira in Kosovo e sulla giornata che ha visto protagonisti gli attivisti del Movimento capeggiato da Albin Kurti, (che hanno preso di mira le autovetture di Eulex), è riportata su the nowhere man goes wild’s blog che vi invito a leggere. Il caldo delle tensioni a Mitrovica, peraltro ancora non risolte, le difficolta di Eulex ad operare sul terreno, i risentimenti tra la popolazione civile sempre più insofferente per le imposizioni che riceve dall'alto, le imminenti elezioni locali del 15 novembre e l'accesa battaglia per le presunte elezioni politiche nella primavera del 2010 (fortemente volute da Ramush Haradinaj) lasciano facilmente intuire che ci sarà un caldo autunno ad attenderci.
venerdì 18 settembre 2009
BABY BULLISMO AI DANNI DI UN RAGAZZINO KOSOVARO
Storie di ordinaria follia in un Italia sempre più in preda ad episodi razzisti
Un ragazzino kosovaro di tredici anni costretto a cambiare scuola perché preso in giro dai compagni di classe. Non ne poteva più di subire insulti razzisti, di ascoltare offese che lo ferivano, così ha chiesto ai genitori di cambiare scuola. Questo nuovo episodio di baby-bullismo a sfondo razziale che scuote Treviso, città simbolo del potere leghista in Veneto è apparso oggi su Repubblica.it
lunedì 31 agosto 2009
KOSOVO, INCERTEZZE E SOGNI: IL VIDEO
Anche se con ritardo, sono riuscito a caricare il video realizzato in occasione della mostra itinerante sul Kosovo, realizzato insieme al fotografo Ignacio Coccia, con il contributo di Stefano Artisunch che ha prestato la sua voce e il supporto della casa editrice Paoletti D'Isidori Capponi di Ascoli Piceno.
Incertezze e sogni, paiono essere agli autori due sostantivi che maggiormente racchiudono il sentire comune delle due principali etnie che compongono il Kosovo, da decenni in conflitto tra loro. Tra il bianco della neve e il nero delle ombre viene colta e quindi proposta al pubblico la luce dei volti e dei paesaggi desolati tra Pec e Pristina, Mitrovica e Gorazdevac. Viene messa a fuoco una quotidianità fatta di lavoro, casa, spiritualità, rispetto e culto delle tradizioni ancora sentite. E’ forse la quotidianità vissuta fino in fondo a fare da antidoto, pur se fugacemente, alle malinconie, alle paure e ai sogni che scaturiscono dall’incertezza per il futuro di questo nuovo stato. Ma potrebbe essere invece proprio la speranza l'antidoto più efficace. La luce della speranza e della rinascita proprio come quella che si percepisce nell'aria ogni volta che un inverno finisce.
martedì 28 luglio 2009
OTTOBRE 1912. NOI E GLI ALTRI, OVVERO GLI ALTRI E NOI

A proposito della recensione di ieri del libro L'ALTRO ACCANTO A NOI, ho riflettuto sui concetti di identità e di diversità, sul chi sono io e chi sei tu. Mentre pensavo e mi analizzavo mi sono ricordato di un testo inerente a queste tematiche che ho letto mesi prima. Spulciando tra i vecchi files ho così ritrovato il rapporto che mi lasciò letteralmente impietrito per i contenuti vecchi di quasi 100 anni, ma mai come oggi attuali.
"Non amano l'acqua, molti di loro puzzano perché tengono lo stesso vestito per molte settimane. Si costruiscono baracche di legno ed alluminio nelle periferie delle città dove vivono, vicini gli uni agli altri. Quando riescono ad avvicinarsi al centro affittano a caro prezzo appartamenti fatiscenti. Si presentano di solito in due e cercano una stanza con uso di cucina. Dopo pochi giorni diventano quattro, sei, dieci.Tra loro parlano lingue a noi incomprensibili, probabilmente antichi dialetti. Molti bambini vengono utilizzati per chiedere l'elemosina ma sovente davanti alle chiese donne vestite di scuro e uomini quasi sempre anziani invocano pietà, con toni lamentosi e petulanti. Fanno molti figli che faticano a mantenere e sono assai uniti tra di loro. Dicono che siano dediti al furto e, se ostacolati, violenti. Le nostre donne li evitano non solo perché poco attraenti e selvatici ma perché si è diffusa la voce di alcuni stupri consumati dopo agguati in strade periferiche quando le donne tornano dal lavoro. I nostri governanti hanno aperto troppo gli ingressi alle frontiere ma, soprattutto, non hanno saputo selezionare tra coloro che entrano nel nostro paese per lavorare e quelli che pensano di vivere di espedientio, addirittura, attività criminali". La relazione così prosegue: "Propongo che si privilegino i veneti e i lombardi, tardi di comprendonio e ignoranti ma disposti più di altri a lavorare. Si adattano ad abitazioni che gli americani rifiutano purchè le famiglie rimangano unite e non contestano il salario. Gli altri, quelli ai quali è riferita gran parte di questa prima relazione, provengono dal sud dell'Italia. Vi invito a controllare i documenti di provenienza e a rimpatriare i più. La nostra sicurezza deve essere la prima preoccupazione".
Il testo è tratto da una relazione dell'Ispettorato per l'Immigrazione del Congresso americano sugli immigrati italiani negli Stati Uniti,
Ottobre 1912
"Non amano l'acqua, molti di loro puzzano perché tengono lo stesso vestito per molte settimane. Si costruiscono baracche di legno ed alluminio nelle periferie delle città dove vivono, vicini gli uni agli altri. Quando riescono ad avvicinarsi al centro affittano a caro prezzo appartamenti fatiscenti. Si presentano di solito in due e cercano una stanza con uso di cucina. Dopo pochi giorni diventano quattro, sei, dieci.Tra loro parlano lingue a noi incomprensibili, probabilmente antichi dialetti. Molti bambini vengono utilizzati per chiedere l'elemosina ma sovente davanti alle chiese donne vestite di scuro e uomini quasi sempre anziani invocano pietà, con toni lamentosi e petulanti. Fanno molti figli che faticano a mantenere e sono assai uniti tra di loro. Dicono che siano dediti al furto e, se ostacolati, violenti. Le nostre donne li evitano non solo perché poco attraenti e selvatici ma perché si è diffusa la voce di alcuni stupri consumati dopo agguati in strade periferiche quando le donne tornano dal lavoro. I nostri governanti hanno aperto troppo gli ingressi alle frontiere ma, soprattutto, non hanno saputo selezionare tra coloro che entrano nel nostro paese per lavorare e quelli che pensano di vivere di espedientio, addirittura, attività criminali". La relazione così prosegue: "Propongo che si privilegino i veneti e i lombardi, tardi di comprendonio e ignoranti ma disposti più di altri a lavorare. Si adattano ad abitazioni che gli americani rifiutano purchè le famiglie rimangano unite e non contestano il salario. Gli altri, quelli ai quali è riferita gran parte di questa prima relazione, provengono dal sud dell'Italia. Vi invito a controllare i documenti di provenienza e a rimpatriare i più. La nostra sicurezza deve essere la prima preoccupazione".
Il testo è tratto da una relazione dell'Ispettorato per l'Immigrazione del Congresso americano sugli immigrati italiani negli Stati Uniti,
Ottobre 1912
martedì 17 febbraio 2009
ANNIVERSARIO DELL'INDIPENDENZA DEL KOSOVO: BASSANO FESTEGGIA
articolo pubblicato su il Reporter e Peacelink
mercoledì 19 novembre 2008
KOSOVO: VOCI DELL'ULTIMO INVERNO

Il testo di seguito riportato è il contenuto di una videogallery ideata e realizzata da me e l'amico fotografo Ignacio Maria Coccia e che presto verrà pubblicata. Il titolo del reportage prende spunto dall'ultimo viaggio di Ignacio in Kosovo, l'inverno del 2007-2008. Ignacio ha messo a fuoco una quotidianità fatta di lavoro, casa, spiritualità, rispetto e culto delle tradizioni ancora sentite. E' forse la quotidianità vissuta fino in fondo a fare da antidoto, pur se fugacemente, alle malinconie e alle paure che scaturiscono dall'incertezza. Ma potrebbe essere invece proprio la speranza l'antidoto più efficace. La luce della speranza e della rinascita proprio come quella che si percepisce nell'aria ogni volta che un inverno finisce. Ho abbracciato in toto la filosofia e il messaggio di Ignacio che è riuscito a esprimere pienamente l'essenza più intima e vera di quella pluralità di anime che vivono oggi il Kosovo.






Sono passati nove anni dalla fine dei bombardamenti NATO che hanno chiuso l
’ultimo capitolo delle guerre jugoslave. L’inverno è nel pieno delle sue forze e lo strato bianco di gelo ricopre Pristina, la capitale del Kosovo. Il freddo pungente di fine anno sembra contrastare con il caldo clima politico di questo periodo. L’agenda politica internazionale e locale è cadenzata, infatti, da una serie di appuntamenti cruciali per il destino del Kosovo. Il 17 novembre si sono tenute le elezioni politiche ed il nuovo governo si è appena instaurato. Anche la decisione finale sullo status è argomento di questi giorni. La proclamazione dell’indipendenza era stata fissata inizialmente per il 10 dicembre. I memoriali di storia ci ricorderanno invece un’altra data: 17 febbraio 2008.
Freddo e fervore politico segnano la vita del popolo kosovaro, nella sua interezza e varietà. Qui tradizione, rispetto, forti legami familiari e senso di appartenenza sono ben visibili. Serbi e albanesi, le due principali etnie del Kosovo, quasi in maniera forzata cercano di esprimere in toni religiosi oltre che culturali e linguistici, differenze che sembrano inavvicinabili. La loro quotidianità e la loro spiritualità hanno calendari differenti. Quello che molti potrebbero considerare una ricchezza, la spinta propulsiva di uno Stato, qui in Kosovo è ancora oggi segno di divisione. Il Kosovo è un piccolo stato da poco indipendente, riconosciuto da un quarto dei paesi del mondo.
L’ex provincia autonoma della Serbia è un territorio grande all’incirca quanto la regione Umbria. Anche se le ultime statistiche risalgono al periodo jugoslavo, le stime parlano oggi di una popolazione poco superiore ai due milioni di abitanti, dei quali poco più del 90% è di origine albanese, il 7% circa sono serbi, mentre la restante parte comprende turchi, bosniaci, RAE (rom, ashkali, egiziani) e gorani. Tra loro anche croati. Nonostante l’ingente flusso di denaro arrivato in Kosovo durante tutti questi anni tramite i canali umanitari di intervento e ricostruzione post-bellica, problemi economici e sociali permangono numerosi. Le scarse vie di comunicazione, gli inefficienti servizi pubblici ed i continui black-out elettrici, attanagliano il Kosovo. La centrale termoelettrica di Obliq, che funziona a lignite, produce più inquinamento che energia. La corrente elettrica salta
continuamente. Da Pristina, la capitale, cuore della classe politica nazionale e sede delle rappresentanze internazionali, alla periferia, sia esso il villaggio albanese o la militarizzata enclave serba, la corrente può mancare anche 10 ore al giorno ad intervalli mai regolari, e per questo non programmabili. Con tali premesse lo sviluppo economico è ancora lontano, e di riflesso, anche la riconciliazione sociale sembra subirne i contraccolpi. Il Kosovo, lo stato più giovane del mondo, conta anche la popolazione più giovane d’Europa: secondo stime dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro, i giovani sotto i
trent’anni di età rappresentano il 62% della popolazione. Quella che è la forza trainante di ogni società – i suoi giovani appunto- potrebbe presto rivelarsi, per quel che riguarda il Kosovo, un grosso problema di ordine sociale da gestire nel prossimo domani qualora i tassi di disoccupazione continuassero ad attestarsi sulle cifre indicate dall’ILO (47%). Nonostante la forte presenza di strutture di monitoraggio internazionali, il Kosovo non è riuscito ad intraprendere quello sviluppo socio-economico possibile (grazie soprattutto agli ingenti fondi del dopoguerra), mentre appare vinto da perverse spinte centrifughe. Oggi, quello che balza agli
occhi è un incontrollato boom edilizio che coinvolge pochi, fatto di innumerevoli piscine, campi da calcio, più di duemila rifornimenti di benzina e complessi alberghieri senza alcuna prospettiva di sostenibilità. Con un salario medio mensile di 180 euro ed un costo della vita simile all’Italia tutto questo appare surreale e sembra avvalorare la tesi del riciclaggio di denaro sporco e del sostegno della classe politica kosovara a questo malsano processo
di sviluppo. Il riconoscimento dell’indipendenza del Kosovo da parte di numerosi governi è giunto anche perché questo nuovo stato è riuscito a raggiungere nel tempo standards legislativi avanzati e ben definiti in diversi ambiti, dalla tutela del patrimonio artistico e religioso, alla tutela delle minoranze ed il rispetto dei diritti umani. Ma numerose leggi hanno avuto scarsa applicabilità in casi concreti. E’ avvenuto così che l’indipendenza non ha risolto problemi economici e sociali ben radicati in questo
piccolo territorio, non da ultimo lo storico contrasto etnico tra serbi e albanesi. La minoranza serba è oggi quella che paga più a caro prezzo sulla propria pelle gli ultimi anni di storia politica del Kosovo. Dal dopoguerra in poi il numero dei serbi kosovari è diminuito sensibilmente. Forte è stato il desiderio di continuare a vivere nel luogo in cui sono nati. La mancanza di alternative poi, anche per motivi prettamente economici (non potendosi comprare un’altra casa in un posto più sicuro) ha spinto la gente a resistere giornalmente contro il muro di gomma fatto di mancanza di dialogo e non integrazione. Le cicatrici lasciate dalla guerra sono ancora aperte.
Le limitazioni di movimento e i problemi di ordine sociale sono il caro prezzo che i serbi kosovari pagano quotidianamente. Siano essi abitanti di Mitrovica, la più grande realtà serba del Kosovo, o delle enclaves presenti a macchia di leopardo nel Kosovo centro-meridionale, come Velika Hoca o Goradzevac, la differenza è poca. Oggi la popolazione di etnia serba si trova ad un bivio di vitale importanza e le testimonianze di molti serbi lo confermano. Dovranno presto scegliere tra la continuità con il passato, segnata dalle richieste di Belgrado di sostenere una politica di
chiusura e rigidità nei confronti delle “illegittime” istituzioni kosovare, oppure l’integrazione, il dialogo, per una piena partecipazione, anche dei cittadini serbi, alla vita politica e sociale di un paese che è anche il loro.
L'intero lavoro fotografico è consultabile sul sito del fotografo www.ignaciococcia.com










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