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mercoledì 1 giugno 2011

PICCOLA GUERRA PERFETTA DI ELVIRA DONES


"Impari, subito dopo aver letto queste pagine, che non esiste una guerra rac­con­tata davvero se non ascolti ciò che rac­con­tano le donne che l´hanno vis­suta" Roberto Saviano.

Piccola guerra perfetta è l'ultimo romanzo di Elvira Dones che racchiude le esperienze vissute e le violenze subite da alcune donne di etnia albanese durante i bombardamenti della Nato del 1999. Dones nel libro riesce a rendere terribile, commovente e umana l'epica della sopravvivenza di tre donne assediate in una casa di Pristina. Storie crude e vere, piccole schegge di vetro che si conficcano in gola e lasciano senza fiato, al punto da coinvolgere sin da subito il lettore ed a trasmettergli l'agitazione dei protagonisti asserragliati in una città in preda all'odio etnico. L'autrice, non a caso donna -colei che custodisce nel proprio ventre materno le espressioni più profonde delle emozioni umane e che sa rappresentarle come nessun altro- riesce a cogliere ed a descrivere con dovizia di particolari le lunghe e grigie giornate dei protagonisti. Sembra quasi di ripercorrere insieme a Rea Kelmendi il rischioso tragitto che era costretta a fare per comprare il pane o le patate già invecchiate. Di rivivere le ansie del suo amato uomo, Art Berisha, che come giornalista del Koha Ditore sapeva di essere un bersaglio per i militari serbi. Oppure il panico di Nita Gashi, intenta ad attraversare la città bombardata per toccare una cornetta telefonica nera, di plastica pesante e mettersi in contatto con il resto dei familiari dall'altra parte del mondo. Un gran bel libro che racconta il dramma di chi la guerra l'ha vista con i propri occhi. Non riuscivo a capire il motivo per il quale l'autrice, che era stata in Kosovo subito dopo i bombardamenti ed aveva raccolto queste testimonianze, avesse aspettato tutto questo tempo. Elvira Dones, ha avuto la gentilezza e la cortesia di rispondermi così: "Ho voluto che ogni tassello andasse nel suo posto. Temi come questi, credo, hanno bisogno di lucidità e rigore. Ed è ciò che ho voluto raggiungere prima di scrivere". E' un libro che aggiunge un altro tassello alla ricostruzione del complicato processo della verità, quella verità che è la prima vittima di ogni guerra. Un libro scritto in memoria del ricordo, come Elvira Dones ci ricorda nell'ultima frase del libro:"Un editore una volta mi suggerì di lasciare perdere, un libro in più su una guerra non lo avrebbe pubblicato nessuno. Appunto pensai. E' per questo che lo scriverò. Perché alle guerre seguono altre guerre, e alla fine si dimenticano. Ma questa era la nostra guerra. E' questa che a modo mio ho voluto raccontare".

 IL SITO DI ELVIRA DONES

giovedì 17 febbraio 2011

ZELIKO

E' una canzone scritta contro tutte le guerre, ma in particolare quella vista nel bel mezzo della nostra  Europa. Zeliko è la storia di un ragazzo costretto a vivere nascosto in qualche rifugio con la paura di non farcela, di non farcela ad uscire da un conflitto etnico assurdo. Zeliko è un inno alla libertà. (Pino Stumpo)



Stasera ho deciso voglio uscire dal rifugio
voglio vivere per una volta la mia libertà
là fuori non c'è nessuno si sentono solo gli spari
provo a passeggiare come se fosse una sera normale
il mio sguardo va verso il cielo c'è la luna piena
chissà cosa pensa chi la vede dalla parte della frontiera.
Provo a muovere qualche passo giro dietro l'angolo
Mi nascondo dietro un muro prima che mi veda qualcuno
All'improvviso un urlo che spezza quel silenzio
E' un urlo di una donna che per la prima volta diventa mamma
E chissà dov'è il suo uomo
e come sarebbe contento di essere qui in questo momento
mi hanno detto che è giù al fronte a combattere la guerra
non si sa se ancora viva o è stato ucciso questa sera
allora proseguo nella mia passeggiata mi dirigo verso la piazza
dove un tempo la gente faceva festa
nella mia gola si accende una strana sete
non è una sete d'acqua ma di pace per la mia gente
e allora mi chino per bere alla fontana
all'improvviso alle spalle qualcuno mi spara
il mio corpo cade a terra in una pozza di sangue
chissà se qualcuno domani mi piange 
A voi del pubblico pagante voglio dirvi una sola cosa
alzatevi in piedi state in silenzio non applaudite questo cantante
perché questo silenzio giunga alle orecchie
di quei prepotenti che pensano che con la guerra si risolve tutto
il mio respiro diventa sempre più affaticato
tra poco sarò morto e sarò anche dimenticato
ma una ultima cosa voglio gridarla al mondo
viva la vita, viva l'amore, viva la libertà.

domenica 27 settembre 2009

CIO' CHE ERAVAMO

Diario di una donna serba del Kosovo Methoija

Il libro che questa settimana mi è capitato tra le mani è quello di Radmila Todic-Vulicevic, un diario che narra le esperienze personali dell'autrice vissute in Kosovo prima, durante e dopo i bombardamenti della Nato. Frammenti di eventi quotidiani racchiusi tra il 3 Aprile 1998 e il 4 ottobre 2002. Riflessioni di facile lettura che catturano il lettore. Stessa fluidità che si nota leggendo Serbia Hardcore, ma che a differenza di questo, non si intravede nessuna critica a quel regime violento che Milosevic aveva creato e del quale, appunto, Velickovic era un fermo oppositore. L'autrice nella prima parte del libro racconta un Kosovo surreale. Racconta un Kosovo -un anno prima dei bombardamenti Nato- in preda alle attività criminali dell'UCK che spargevano terrore. Racconta di famiglie serbe che già nel 1998 scappavano dal Kosovo (non erano gli albanesi che, in file chilomentriche, fuggivano?). Racconta alcune volte di uccisioni di uomini e bambini serbi, molte altre non specifica chi sono questi morti, lasciando intuire che si tratta ancora di serbi. Una sola volta (1 marzo 1999) afferma che "un albanese è morto e altri due sono rimasti feriti". Il 12 settembre 1998 nel suo racconto l'autrice parla della scoperta di una fossa comune di uomini serbi. Per Radmila Todic-Vulicevic l'anno 1998-99 è l'anno del terrore albanese che crea panico e avrebbe potuto mietere vittime quasi ogni giorno se non ci fosse stato l'eroico esercito serbo a difendere la popolazione civile. In un passaggio di questa prima parte, riferendosi all'UCK, dice "Dio perchè stanno scaricando tutto questo odio e rabbia su di noi?"; e ancora "attacchi all'armata e alla polizia non si fermano". In questa prima parte, non solo non accenna ad alcun fatto atroce commesso dai serbi, ma accentua la forza e lo spessore che l'UCK non poteva avere. Per coloro che non sono mai andati in Kosovo ricordo, invece, che sparsi un po' ovunque ci sono numerosi monumenti che ricordano guerriglieri dell'UCK morti, ma soprattutto intere famiglie albanesi sterminate nel 1998. L'autrice non riesce a distinguere, cosa comune tra i grandi fans del regime e del nazionalismo serbo, le enormi responsabilità di Milosevic e dei suoi luogotenenti nell'aver avviato questa sporca guerra le cui conseguenze oggi, a differenza di ieri, si riversano sui cittadini serbi del Kosovo. La seconda parte del libro è molto interessante. Dico sinceramente. E' la prospettiva di una donna serba, che vive il quotidiano fatto di paure e di ansie, di incertezze e speranze. Analisi di una mamma che durante il periodo dei bombardamenti cerca di rassicurare i figli e che per loro trova la forza di andare avanti giorno dopo giorno, bomba dopo bomba, raccontati da una prospettiva veramente interessante e nuova.
La prima parte, deludente e poco veritiera, è resa ancor più allucinante dalla prefazione di Sanda Raskovic Ivic, Ambasciatrice di Serbia in Italia, con un testo che si commenta da solo.


"Il diario inizia un anno prima dei bombardamenti, nei tempi in cui l'UCK si scatena e in cui ogni giorno lascia il territorio almeno una famiglia serba, che non riesce a sopportare il terrore esercitato dai separatisti albanesi, che non riesce a sopportare l’incertezza e l’ansia del domani. Sono i tempi del sospetto verso la sincerità e l’autenticità sia dei politici locali, sia dei rappresentanti della comunità internazionale, che, come i visitatori dello zoo, si alternavano e si costruivano una loro idea, sempre condita dagli interessi delle grandi potenze. Sono descritte le distruzioni dei ponti, degli ospedali, delle ferrovie, dei treni con i passeggeri a bordo, delle colonne dei rifugiati. “Come faccio a mettere in una borsa l’anima di casa mia?” L’odio è diventato l’energia politica dei “democratici” del “nuovo Kosovo”, tutti ex combattenti dell’UCK, molti dei quali coinvolti in attività criminali. Il Kosovo e Metohija è stato “pulito etnicamente”: dal giugno del 1999, 250.000 serbi, rom e altri non albanesi se ne sono andati, sono state sequestrate 1.300 persone e uccise altre 1.000, distrutte 156 chiese, comessi atti vandalici contro 67 cimiteri. In Kosovo sono rientrati solamente 1.200 serbi".

Ciò che eravamo
collana: Frontiere del presente
editore: La città del sole
ISBN: 8882924483
euro 12

lunedì 23 marzo 2009

10 ANNI DAI BOMBARDAMENTI NATO SULLA SERBIA


Sono passati 10 anni esatti dall'inizio dei bombardamenti Nato sulla Serbia. Per la cronaca era il 23 marzo del 1999 quando, dopo circa un anno di acuta crisi in Kosovo, di operazioni militari spregiudicate da parte dell'esercito serbo e delle forze paramilitari, Javier Solana autorizzò quella che alla storia è passata come "Allied Force". Il 24 marzo iniziarono i bombardamenti.
Nei mesi precedenti lo scoppio della guerra, subito dopo che i pochi osservatori dell'Osce lasciarono il Kosovo, le forze militari serbe impressero una forte offensiva contro i capisaldi dell'Uck. Furono giorni di brutali barbarie, dove furono scacciate dalle loro case migliaia di persone, villaggi interi e quartieri cittadini furono dati alle fiamme, si fece ampio ricorso alla strategia di assassini indiscriminati, stupri e saccheggi per terrorizzare la popolazione e costringerla alla fuga.
Con la decisione presa dalla Nato, creata per scopi difensivi, ci si imbarcava, per la prima volta nella storia, in un nuovo percorso. L'Alleanza Atlantica si impegnava in un'azione offensiva, attaccando uno Stato sovrano e violando in tal modo non solo la Charta dell'Onu, ma anche la propria costituzione. Nel dare il via ai bombardamenti, la Nato era convinta che la Serbia sarebbe capitolata entro due o tre giorni. Il 10 giugno, dopo che i bombardamenti durarono ben 79 giorni, si raggiunse un accordo che prevedeva il ritiro delle truppe serbe dal Kosovo, firmato a Kumanovo – in Macedonia – dai vertici della Nato e dell'esercito di Belgrado. Il Consiglio di Sicurezza approvò, con la sola astensione della Cina, la Risoluzione 1244. Fu allora che si aprì un nuovo capitolo per la Serbia e i destini del Kosovo.Capitolo tutt'ora in corso.
La pulizia etnica (compiuta dai serbi) giustifica la violazione del diritto internazionale in Serbia, e quindi l'intervento Nato in Kosovo? La recente sentenza del Tribunale dell'Aia che ha condannato sei personaggi di spicco della politica e dell'esercito di allora, mostra chiaramente come l’intervento fosse in un certo senso legittimo. L'accertamento del fatto che sono state commesse delle grandi atrocità in Kosovo, secondo il mio punto di vista, implica che ogni sacrosanta "ragione di Stato", ogni violazione del diritto internazionale, è nulla rispetto alle migliaia di morti commesse e centinaia di migliaia di allontanamenti forzati.

Cosa ne pensate? Mi piacerebbe sapere la vostra opinione.

articolo pubblicato sul sito di Peacelink

KOSOVO: LA VOCE DEL CONIGLIO