Visualizzazione post con etichetta gruppi etnici. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta gruppi etnici. Mostra tutti i post

lunedì 27 giugno 2011

LIFE AFTER

LIFE AFTER è la storia di un gruppo di anziani, di diverse etnie, che vivono insieme sotto lo stesso tetto di un centro geriatrico del Kosovo e condividono un problema comune: sono stati dimenticati dal mondo. Come risultato, hanno deciso di concentrarsi sul fare conoscenze e amicizie. LIFE AFTER racconta una storia che vale la pena guardare, fosse solo perché mostra come le persone che hanno perso tutto durante o dopo la guerra, abbiano ancora la forza di dare consigli su come vivere insieme.



sabato 24 luglio 2010

KOSOVO: MOSAICO DI COLORI E VOLTI

Il 22 luglio la Corte Internazionale di Giustizia ha espresso il parere sulla spinosa questione della legalità dell'indipendenza del Kosovo. I giudici  hanno deciso che la dichiarazione d'indipendenza del Kosovo non è illegale e, schierandosi a larga a maggioranza (10 a 4), hanno preferito attenersi ad una valutazione strettamente tecnica, lasciando che fosse l'Assemblea generale delle Nazioni Unite a dare risposte politiche. Come era prevedibile, il parere ha creato malessere da una parte e nuove aspettative dall'altra. L'intenso lavoro diplomatico della Serbia (che per l'accettazione del parere è riuscita a superare la soglia minima di 96 voti più uno dei 192 stati membri che compongono l'Assemblea delle Nazioni Unite) ha spinto molti paesi a non riconoscere il Kosovo, almeno fino a quando la CIG non si fosse espressa. Oggi, si parla di circa 35 paesi pronti a riconoscere l'indipendenza. Il parere aprirà inevitabilmente un nuovo capitolo nelle relazioni tra Belgrado e Pristina, ma soprattutto in Europa tra chi ha riconosciuto l'indipendenza del Kosovo e quanti (5 stati UE) non l'hanno fatto, nonostante le  pressioni della Comunità Europea. Un altro capitolo è stato chiuso. Un altro è pronto ad essere aperto. In mezzo, come sempre, c'è la gente comune, senza distinzione etnica alcuna, che da decenni non riesce a trovare pace.

(A tutti loro va questo mio contributo perchè i loro gesti, la loro tenacia e i loro sguardi, mi hanno reso ancora più irrequieto)

 

martedì 29 giugno 2010

LA SCIOCCA IDEA DELLA DIVISIONE TERRITORIALE DEL KOSOVO

Sembrava essere soltanto una provocazione, invece, pare stia prendendo sempre più corpo l'idea di uno scambio di territori tra il Kosovo e la Serbia per risolvere l'affannosa questione venutasi a creare dopo la guerra tra i due paesi. L'idea, forse nata proprio a Belgrado, è iniziata a circolare all'interno di ambienti politici serbi ed ha trovato il sostegno di qualche autorevole istituzione internazionale. Lo scambio dei territori, quasi si trattasse dell'equa ripartizione di un numero pari di cioccolatini, riguarda la divisione del nord del Kosovo, zona a maggioranza serba, che dovrebbe passare alla Serbia, in cambio dei territori serbi di Presevo, abitati prevalentemente da albanesi, che dovrebbero essere ceduti al Kosovo. Di tutte le idee pensate  e/o attuate dal 1999 in poi (inclusa la netta divisione in due della città di Mitrovica per evitare problemi di ordine pubblico ed assicurare, così, tranquillità alle forze militari internazionali) questa mi pare la più sciocca che potesse essere partorita. Se pensare simili cose è lecito, lavorare per attuare quello che sembra essere uno stolto disegno è a dir poco diabolico. Come se la storia del post-colonialismo e dei rettangoli etnici di matrice occidentale non ci avessero insegnato nulla, oggi, dopo le guerre di odio etnico scoppiate nei Balcani e le successive divisioni, si vuole proporre una ripartizione territoriale per superare lo scoglio che attanaglia il Kosovo e la sua ex madrepatria. Certi di non poter rivedere indietro la ex provincia serba, consapevoli dell'indipendenza del Kosovo (17 febbraio 2008), Belgrado sta facendo di tutto, con l'orgoglio che sempre lo contraddistingue, pur di salvarsi la faccia e poter dire ai suoi cittadini che la partita con il Kosovo non è ancora persa. Ma questa può essere definita una mossa -non dico giusta o corretta per Belgado-  vincente? Temo che quest'ennesimo abbaglio tattico-diplomatico della Serbia possa essere controproducente per se stessa e per le istituzioni internazionali che lavorano lì, convinto, inoltre, che una "baggianata" del genere potrebbe avere immediate ripercussioni nei Balcani qualora venisse messa in atto. Cosa succederà se la ripartizione dei territori tra Serbia e Kosovo sarà presto attuata? Ci si è chiesto cosa potrebbe succedere in Bosnia, Albania, Macedonia o la stessa Serbia del nord con la Vojvodina? Se l'intento è quello di destabilizzare i Balcani, indebolendo irrimediabilmente l'Europa, non esiste migliore autostrada della divisione del Kosovo. Ricordiamoci però che è da lì che sono iniziate le prime scintille di odio. E' da lì che si sono concluse le atroci guerre nei Balcani. E' sempre dal Kosovo che  tutto potrebbe nuovamente ripartire.

lunedì 16 novembre 2009

DIARIO DI VIAGGIO: LA MAGIA DI PRIZREN


All'inizio da un posto lontano, poi da un altro un po' più vicino -o per lo meno così ho pensato mentre emergevo dal sonno più profondo delle cinque del mattino- la voce intonata ed armoniosa del Muezzin mi sveglia. Il silenzio della notte viene interrotto, insieme al mio sonno, dalla voce che esce dagli altoparlanti posizionati in cima ai minareti delle moschee, voce che invita i fedeli alla prima delle cinque preghiere che segnano la giornata del buon musulmano. Non mi risulta che le moschee in Kosovo a quell'ora del mattino siano piene di persone. Ma come consuetudine millenaria, dagli alti minareti delle moschee della vecchia Costantinopoli o da quelle nuove e di piccola dimensione che si possono trovare in un classico villaggio rurale del Kosovo, alle cinque in punto il canto richiama i fedeli e non solo. Tutto ciò è quello che mi è capitato la prima notte che sono arrivato nella magica Prizren, città del Kosovo, crogiolo di culture e tradizioni assai differenti, luogo che fino allo scoppio dei tragici eventi del 2004 ospitava anche una significativa presenza di cittadini serbi, per lo più arroccati nella parte alta della città. Bisogna costatare che da allora il quartiere serbo è stato distrutto, i suoi abitanti costretti a riparare altrove e una Chiesa ortodossa fortemente danneggiata. Oggi, sono veramente pochi i serbi che vivono a Prizren; otto di loro sono monaci che come Stanko vivono all'interno del Monastero degli Arcangeli situato alle porte della città. Come per l'odierna Sarajevo anche a Prizren la convivenza delle principali religioni monoteiste è un ricordo del passato anche se sopravvivono a poca distanza l'una dall'altra una moschea, una chiesa cattolica e una ortodossa. Tuttavia, Prizren, vicina all'Albania solo geograficamente e con una significativa minoranza turca, rimane dal punto di vista culturale, religioso, paesagistico e gastronomico una città davvero interessante. Il suo centro storico, l'unico in tutto il Kosovo che ha legami con il passato, è bel ordinato, pieno di caffetterie che si affacciano sulla piazzetta e costruzioni di inzio '900.



Nei vicoletti laterali si possono vedere ancora piccole botteghe di artigiani che lavorano pellame e ferro. Numerosi sono anche i sarti che dietro le loro macchine da cucire sorseggiano tazze di caffè turco o del tè. Le belle giornate di fine ottobre hanno spinto i suoi abitanti a riversarsi in piazza. Ovunque giovani e famiglie, uomini di mezza età che affollano i cafè all'aperto. Più riparati dallo sguardo dei passanti, in quartieri semi centrali, vivono i carismatici dervish, anziani dallo sguardo profondo e penetrante, gentili e riservati allo stesso tempo

Già i Dervish!! ordini religiosi islamici, differenti tra loro, originari dalla lontana Persia, diventati sempre più influenti durante l'Impero Ottomano, come l'ordine dei Bektashi che dopo il 1826 per sfuggire alla ferocia del sultano turco si spostò nei territori dell'Albania. Presenti anche in Kosovo (Prizren, Gjakova, Rahovec) all'interno dei loro centri di culto (teqe) svolgono rituali molto suggestivi.

terza fermata: nella teqe con i dervish

P.S. un ringraziamento speciale a Cristina e Daniele di IPSIA che hanno reso i miei "7 days" ancora più interessanti..

lunedì 31 agosto 2009

KOSOVO, INCERTEZZE E SOGNI: IL VIDEO

Anche se con ritardo, sono riuscito a caricare il video realizzato in occasione della mostra itinerante sul Kosovo, realizzato insieme al fotografo Ignacio Coccia, con il contributo di Stefano Artisunch che ha prestato la sua voce e il supporto della casa editrice Paoletti D'Isidori Capponi di Ascoli Piceno.

Incertezze e sogni, paiono essere agli autori due sostantivi che maggiormente racchiudono il sentire comune delle due principali etnie che compongono il Kosovo, da decenni in conflitto tra loro. Tra il bianco della neve e il nero delle ombre viene colta e quindi proposta al pubblico la luce dei volti e dei paesaggi desolati tra Pec e Pristina, Mitrovica e Gorazdevac. Viene messa a fuoco una quotidianità fatta di lavoro, casa, spiritualità, rispetto e culto delle tradizioni ancora sentite. E’ forse la quotidianità vissuta fino in fondo a fare da antidoto, pur se fugacemente, alle malinconie, alle paure e ai sogni che scaturiscono dall’incertezza per il futuro di questo nuovo stato. Ma potrebbe essere invece proprio la speranza l'antidoto più efficace. La luce della speranza e della rinascita proprio come quella che si percepisce nell'aria ogni volta che un inverno finisce.







mercoledì 15 aprile 2009

SRI LANKA: CARTOLINE KOSOVARE

Lo Sri Lanka e' da piu' di trenta anni alle prese con grandi problemi interni. Lo scontro tra forze governative e i gruppi armati dei tamil [il piu' radicale dei quali e' l'LTTE, conosciuto come le Tigri Tamil], per certi versi affine a quello kosovaro tra serbi e albanesi, ha raggiunto, oggi, livelli impressionanti di violenza. Puntualmente ogni giorno, lontano dalla cronaca di giornalisti occidentali e dall'impotenza degli operatori di Organizzazioni Internazionali inermi di fronte al clima di violenza e all'odore di morte che sta impregnando il nord est del paese, arrivano messaggi, maggiormente di propaganda governativa, di uccisioni e arresti tra i guerriglieri tamil. Il governo, mai come prima, e' convinto che la questione con il gruppo terrorista dei tamil sta per terminare. Forse e' anche vero, ma quello che sta succedendo all'insaputa di tutti e' una vera e' propria pulizia etnica. Persone della minoranza tamil, in fuga dai luoghi del conflitto, si sono riversate a migliaia in alcune cittadine un po' piu' a sud dove sono stati allestiti alcuni campi per sfollati, controllati solo ed unicamente dal governo ed inavvicinabili alle organizzazioni del calibro della Croce Rossa Internazionale o Unicef. Questa e' una storia molto piu' seria di quella che volevo presentarvi. Il conflitto interno tra diverse etnie non e' l'unica cosa che accomuna lo Sri Lanka (maggioranza cingalese di religione buddista e minoranza tamil di fede induista che pretende l'indipendenza) ed il Kosovo (minoranza serba e maggioranza albanese). Anche qui, come in Kosovo, dalla capitale Colombo alla coloniale citta' di Galle, i corvi sono una caratteristica che non passa certo inosservata. A decine dimorano sugli alberi e i fili elettrici.



Sono identici in tutto e per tutto a quelli che, soprattutto nei mesi invernali, numerosi affollano il Kosovo



.....con qualche eccezione ovviamente!!


... il bagno rinfrescante! considerato il caldo che fa!


Ma non e' che queste sinistre creature portano, come si dice, un po' di iella?

Sri Lanka: la voce del coniglio

mercoledì 19 novembre 2008

KOSOVO: VOCI DELL'ULTIMO INVERNO



Il testo di seguito riportato è il contenuto di una videogallery ideata e realizzata da me e l'amico fotografo Ignacio Maria Coccia e che presto verrà pubblicata. Il titolo del reportage prende spunto dall'ultimo viaggio di Ignacio in Kosovo, l'inverno del 2007-2008. Ignacio ha messo a fuoco una quotidianità fatta di lavoro, casa, spiritualità, rispetto e culto delle tradizioni ancora sentite. E' forse la quotidianità vissuta fino in fondo a fare da antidoto, pur se fugacemente, alle malinconie e alle paure che scaturiscono dall'incertezza. Ma potrebbe essere invece proprio la speranza l'antidoto più efficace. La luce della speranza e della rinascita proprio come quella che si percepisce nell'aria ogni volta che un inverno finisce. Ho abbracciato in toto la filosofia e il messaggio di Ignacio che è riuscito a esprimere pienamente l'essenza più intima e vera di quella pluralità di anime che vivono oggi il Kosovo.


























Sono passati nove anni dalla fine dei bombardamenti NATO che hanno chiuso l’ultimo capitolo delle guerre jugoslave. L’inverno è nel pieno delle sue forze e lo strato bianco di gelo ricopre Pristina, la capitale del Kosovo. Il freddo pungente di fine anno sembra contrastare con il caldo clima politico di questo periodo. L’agenda politica internazionale e locale è cadenzata, infatti, da una serie di appuntamenti cruciali per il destino del Kosovo. Il 17 novembre si sono tenute le elezioni politiche ed il nuovo governo si è appena instaurato. Anche la decisione finale sullo status è argomento di questi giorni. La proclamazione dell’indipendenza era stata fissata inizialmente per il 10 dicembre. I memoriali di storia ci ricorderanno invece un’altra data: 17 febbraio 2008. Freddo e fervore politico segnano la vita del popolo kosovaro, nella sua interezza e varietà. Qui tradizione, rispetto, forti legami familiari e senso di appartenenza sono ben visibili. Serbi e albanesi, le due principali etnie del Kosovo, quasi in maniera forzata cercano di esprimere in toni religiosi oltre che culturali e linguistici, differenze che sembrano inavvicinabili. La loro quotidianità e la loro spiritualità hanno calendari differenti. Quello che molti potrebbero considerare una ricchezza, la spinta propulsiva di uno Stato, qui in Kosovo è ancora oggi segno di divisione. Il Kosovo è un piccolo stato da poco indipendente, riconosciuto da un quarto dei paesi del mondo. L’ex provincia autonoma della Serbia è un territorio grande all’incirca quanto la regione Umbria. Anche se le ultime statistiche risalgono al periodo jugoslavo, le stime parlano oggi di una popolazione poco superiore ai due milioni di abitanti, dei quali poco più del 90% è di origine albanese, il 7% circa sono serbi, mentre la restante parte comprende turchi, bosniaci, RAE (rom, ashkali, egiziani) e gorani. Tra loro anche croati. Nonostante l’ingente flusso di denaro arrivato in Kosovo durante tutti questi anni tramite i canali umanitari di intervento e ricostruzione post-bellica, problemi economici e sociali permangono numerosi. Le scarse vie di comunicazione, gli inefficienti servizi pubblici ed i continui black-out elettrici, attanagliano il Kosovo. La centrale termoelettrica di Obliq, che funziona a lignite, produce più inquinamento che energia. La corrente elettrica salta continuamente. Da Pristina, la capitale, cuore della classe politica nazionale e sede delle rappresentanze internazionali, alla periferia, sia esso il villaggio albanese o la militarizzata enclave serba, la corrente può mancare anche 10 ore al giorno ad intervalli mai regolari, e per questo non programmabili. Con tali premesse lo sviluppo economico è ancora lontano, e di riflesso, anche la riconciliazione sociale sembra subirne i contraccolpi. Il Kosovo, lo stato più giovane del mondo, conta anche la popolazione più giovane d’Europa: secondo stime dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro, i giovani sotto i trent’anni di età rappresentano il 62% della popolazione. Quella che è la forza trainante di ogni società – i suoi giovani appunto- potrebbe presto rivelarsi, per quel che riguarda il Kosovo, un grosso problema di ordine sociale da gestire nel prossimo domani qualora i tassi di disoccupazione continuassero ad attestarsi sulle cifre indicate dall’ILO (47%). Nonostante la forte presenza di strutture di monitoraggio internazionali, il Kosovo non è riuscito ad intraprendere quello sviluppo socio-economico possibile (grazie soprattutto agli ingenti fondi del dopoguerra), mentre appare vinto da perverse spinte centrifughe. Oggi, quello che balza agli occhi è un incontrollato boom edilizio che coinvolge pochi, fatto di innumerevoli piscine, campi da calcio, più di duemila rifornimenti di benzina e complessi alberghieri senza alcuna prospettiva di sostenibilità. Con un salario medio mensile di 180 euro ed un costo della vita simile all’Italia tutto questo appare surreale e sembra avvalorare la tesi del riciclaggio di denaro sporco e del sostegno della classe politica kosovara a questo malsano processo di sviluppo. Il riconoscimento dell’indipendenza del Kosovo da parte di numerosi governi è giunto anche perché questo nuovo stato è riuscito a raggiungere nel tempo standards legislativi avanzati e ben definiti in diversi ambiti, dalla tutela del patrimonio artistico e religioso, alla tutela delle minoranze ed il rispetto dei diritti umani. Ma numerose leggi hanno avuto scarsa applicabilità in casi concreti. E’ avvenuto così che l’indipendenza non ha risolto problemi economici e sociali ben radicati in questo piccolo territorio, non da ultimo lo storico contrasto etnico tra serbi e albanesi. La minoranza serba è oggi quella che paga più a caro prezzo sulla propria pelle gli ultimi anni di storia politica del Kosovo. Dal dopoguerra in poi il numero dei serbi kosovari è diminuito sensibilmente. Forte è stato il desiderio di continuare a vivere nel luogo in cui sono nati. La mancanza di alternative poi, anche per motivi prettamente economici (non potendosi comprare un’altra casa in un posto più sicuro) ha spinto la gente a resistere giornalmente contro il muro di gomma fatto di mancanza di dialogo e non integrazione. Le cicatrici lasciate dalla guerra sono ancora aperte. Le limitazioni di movimento e i problemi di ordine sociale sono il caro prezzo che i serbi kosovari pagano quotidianamente. Siano essi abitanti di Mitrovica, la più grande realtà serba del Kosovo, o delle enclaves presenti a macchia di leopardo nel Kosovo centro-meridionale, come Velika Hoca o Goradzevac, la differenza è poca. Oggi la popolazione di etnia serba si trova ad un bivio di vitale importanza e le testimonianze di molti serbi lo confermano. Dovranno presto scegliere tra la continuità con il passato, segnata dalle richieste di Belgrado di sostenere una politica di chiusura e rigidità nei confronti delle “illegittime” istituzioni kosovare, oppure l’integrazione, il dialogo, per una piena partecipazione, anche dei cittadini serbi, alla vita politica e sociale di un paese che è anche il loro.



L'intero lavoro fotografico è consultabile sul sito del fotografo
www.ignaciococcia.com


mercoledì 25 giugno 2008

IL PIOMBO DI MITROVICA (seconda parte)

Le ultime da Osterode Camp

Osterode camp, costruito nel 2005 in quella che prima della guerra era una base militare serba e successivamente una postazione francese, ospita oggi più di 400 persone in container tra stradine asfaltate, ex-capannoni militari dismessi e riutilizzati dai rom e, un piccolo parco giochi, il tutto circondato da filo spinato. Certo Osterode -oggi monitorato dalla Norwegian Church Aid, agenzia che coordina i donors e le attività del campo- appare, al primo impatto, una struttura ben più comoda e pulita rispetto ai capannoni sporchi ammassati sulle rotaie ferroviarie del campo di Cesmin Lug, distante appena poche decine di metri. Tuttavia, il rappresentante Rom del campo, il Sig.Habib Haidini, senza tanti giri di parole ci tiene a precisare che cambia poco avere un container mettallico di limitate dimensioni e piccole strutture di divertimento rispetto alle baracche di lamiera contorte del campo vicino. “Non è una casa, e quelli a Cesmin Lug non vengono da noi perchè sono della nostra stessa opinione: stiamo tutti aspettando una casa, una casa vera”. Habib incontra quotidianamente i rappresentanti di enti istituzionali locali e non per far pressioni e cercare di velocizzare i tempi affinchè tutti i Rom dei due campi possano essere finalmente trasferiti in una struttura permanente –il campo di Osterode doveva rimanere funzionante appena un anno- una casa nel quartiere Roma Mahala che si sta ricostruendo. Oggi nella vasta area della residenza storica dei Rom di Mitrovica, nonostante l’attualità della “minoranza Rom” nell’agenda politica delle istituzioni e organizzazioni internazionali, sono stati però costruiti appena un centinaio di case e quattro blocchi plurifamiliari che ospitano non più di 250 persone. Molte delle case ancora non sono state assegnate, probabilmente per via dei complessi criteri che richiedono lunghe procedure burocratiche, e per altri motivi. Un dato certo è che, alla metà del 2008, non è stato fatto abastanza per i Rom di Mitrovica. Eppure è passato poco più di un anno da quando, nel marzo del 2007, gli alti rappresentanti delle istituzioni internazionali, degli uffici diplomatici e lo stesso Primo Ministro del Kosovo in una grande giornata commemorativa hanno tenuto un’imponente cerimonia di inaugurazione del quartiere Roma Mahala a Mitrovica. Grandi parole allora erano state spese da tutti, le più gettonate delle quali erano “multiculturalità” e “integrazione”. Stando alle testimonianze più recenti, come quella di Sokol Kursumlija, da anni impegnato nel campo Osterode con progetti educativo-ricreativi attraverso l’associazione locale multietnica di cui è Presidente, non c’è da stare sereni e tranquilli: anche per Osterode si parla di gravi casi di contaminazione da piombo che colpiscono soprattutto i suoi più giovani inquilini. Tuttavia Sokol ci tiene a precisare, rimanendo fermo sul fatto che effettivamente i Rom a Mitrovica vivono da tempo in condizioni a dir poco precarie, che l’argomento contaminazione da piombo non può essere circoscritto al solo discorso che verte sulla minoranza Rom, vittima a suo parere di intrighi politici, ma deve essere generalizzato in quanto riguarda l’intera area di Mitrovica. Nel caso specifico di Zitkovac, piccolo villaggio a Nord di Mitrovica, Sokol sostiene, ad esempio, di trovare “assurdo che per la sola opportunità politica soltanto per i Rom che vivevano dall’ altra parte del binario si è parlato di contaminazione mentre per i Serbi che vivono a tutt’oggi lì, a due passi da dove si trovavano i Rom, c’è ancora assoluto silenzio e nessuna preoccupazione”. Forse per via delle scarse condizioni igieniche e del contatto con la terra tipico dei bambini, i piccoli Rom sembrano tuttavia particolarmente esposti all’avvelenamento da piombo. Nel campo Osterode di recente sono stati fatti dei test sui bambini dallo staff del WHO. I risultati però sono stati negati ad Habib e gli altri Rom, che pure li richiedevano insistentemente. Stando a Sokol, per questioni di privacy i dati del WHO non potevano diffondersi, neppure ai rappresentanti UNICEF che lavoravano nel campo. “Io volevo sapere almeno il numero o la percentuale di persone contaminate di Osterode, potevo non saperne i nomi; quando quell’organizzazione mi ha negato i dati, mi sono rivolto alle strutture mediche di Mitrovica Nord dove hanno effettuato i test sui bambini. Il risultato è stato chiaro: contaminazione da piombo per la maggioranza di loro”, ricorda Habib. Un argomento così delicato da un punto di vista etico, morale, sociale e politico non dovrebbe comunque essere lasciato solo alla spicciola cronaca cittadina che spesso, incapace di sortire i necessari effetti, finisce col creare invece soltanto involontaria disinformazione. La comunità internazionale e enti di spessore come l’Organizzazione Mondiale della Sanità, piuttosto che coprire la realtà con il silenzio, potrebbero seguire l’esempio positivo di altre organizzazioni che in Kosovo dedicano tempo, spazio e tanti soldi per pubblicazioni sistematiche di bollettini sui diversi argomenti. È tempo che un dossier ufficiale, onnicomprensivo e chiaro, esca allo scoperto per far luce su tutti questi anni bui. Fino a quando su queste tematiche aleggeranno solo e soltanto strumentalizzazioni di ogni genere, il problema dei Rom e della salute pubblica dei cittadini di Mitrovica resterà solo appanaggio dell’agenda politica che potrà continuare ad usarle a propria discrezione.

di Federica Riccardi e Raffaele Coniglio


articolo pubblicato sul sito di peacereporter.net, carta.org e osservatoriobalcani.org

mercoledì 18 giugno 2008

IL PIOMBO DI MITROVICA

Anche qui a Mitrovica il problema esiste e sebbene dalla fine della guerra in Kosovo del 1999 l'intera frattura tra Albanesi-Rom-Serbi non si sia ricucita, a farne principalmente le spese ancora oggi sono loro, i Rom. (Prima parte)

Tra i tanti primati che una volta caratterizzavano Mitrovica vanno annoverati il fiorente indotto minerario che faceva della città e dintorni una delle più importanti aree del Kosovo e dell’ex Jugoslavia (per estrazione di minerali, loro lavorazione-trasformazione e successiva produzione di batterie), e il più grande quartiere Rom del Kosovo, il Roma Mahala. Questi due aspetti sembrano non avere interconnessioni fra loro mentre invece hanno stretti legami e tragiche conseguenze.
Gli impianti di Trepca, il polo minerario nella ricca regione di Mitrovica, hanno contribuito notevolmente all
o sviluppo economico e sociale di questa zona per tutti gli anni '70 e '80. Erano più di 20.000 le persone impiegate, di cui la metà provenienti dalla sola area di Mitrovica, con salari indimenticabili e tanti benefits per le famiglie. Sebbene la città fosse prospera e occupata con il lavoro delle miniere, la gente rimaneva comunque insoddisfatta per via della mancanza di investimenti successivi agli introiti delle miniere. Un detto di quei tempi recitava "Trepca punon Beogradi ndėrrton" (a Trepca si lavora e a Belgrado si costruisce), sintetizzando questo aspetto.
8.000 o forse poco di più erano i membri della comunità Rom che vivevano
nel quartiere Roma Mahala di Mitrovica, una striscia di terra a sud del fiume Ibar che sembra interporsi tra i serbi e gli albanesi. I Rom anche allora come oggi non erano ben inseriti nelle strutture sociali della città, non godevano di una buona reputazione, e si sono trovati, durante gli anni dello scontro etnico in Kosovo, tra due fuochi, quello serbo e quello albanese.
Oggi la fotografia di Mitrovica è un’altra. L’intero indotto di Trepca è ridotto all’osso, nell'impianto lavorano meno di un migliaio di operai e, vi si estraggono soltanto i minerali. Gli impianti di lavorazione e trasformazione del piombo, rame, zinco sono dismessi e riversano in uno stato fatiscente. Insieme al polo turistico di Bresovica, gli impianti di Trepca sono stati un grande fallimento per la KTA , l’agenzia incaricata per le privatizzazioni in Kosovo. Quello che è rimasto dei fiorenti e produttivi impianti minerari, oltre alle obsolete strutture, è l’inquinamento del suolo. Mitrovica oggi ricopre il triste primato di città più inquinata del Kosovo e dell’ex Jugoslavia.
A farne le spese sono tutti i suoi cittadini, i Rom più degli altri. Ed oltre al problema dell’inquinamento, che li vede vittime di intrighi politici, i Rom sono anche cittadini privi delle loro case. Facilmente manipolati dai serbi e indiscriminatamente percepiti come traditori e nemici dagli albanesi, si sono visti annientare da questi ultimi tutto il loro quartiere storico. Inermi, dal lato nord del fiume che oggi divide etnicamente la città in due, hanno assistito alla distruzione delle loro case. Quelli che avevano deciso di affrontare di petto la situazione persero la vita. In tanti sono scappati in Europa, in Montenegro, in Serbia.
I pochi Rom rimasti a Mitrovica sono stati costretti a vivere, in mancanza di alternativ
e, in posti malsani e inquinati. I campi di Zitkovac, Cesmin Lug e Kablare, tutti nella parte nord di Mitrovica, furono costruiti nel novembre del 1999 per ospitare circa 500 persone di etnia Rom scappate dal loro grande quartiere. Da allora e per tutti questi anni il problema dei Rom è diventato sempre più grande.
Dovevano restare in questi posti per 45 giorni, solo Zitkovac è stato chiuso, ma soltanto nel 2006 ed i suoi abitanti sono stati dislocati negli altri campi. Nei tre campi di Zitkovac, Cesmin Lug e Kablare molti bambini mostravano infatti i classici sintomi da inquinamento da piombo: perdita di memoria, mancanza di coordinamento, vomito e convulsioni. Il Prof. Nait Vrenezi dell’Università di Pristina già in un suo studio del 1997, condotto congiuntamente con numerosi esperti internazionali, affermava che l’esposizione continua ad ambienti con alta concentrazione di piombo crea nei bambini danni motori e di percezione permanenti.
Dal 1999 al 2006, 27 persone sono morte a Zitkovac, molte delle quali con ogni probabilità a causa di avvelenamento da metallo pesante, anche se autopsie non sono mai state effettuate. Nel 2000 furono effettuati diversi test e analisi sugli abitanti dei campi dall’allora consulente russo dell’ONU, Dott
. Andrei Andreyev, che confermavano fuori da ogni dubbio l’alto livello di concentrazione di piombo nel loro sangue. Andreyev allora inoltrò un report dettagliato contenente dati e cifre all’Organizzazione Mondiale della Sanità e l’UNMIK, chiedendo loro di provvedere ad una immediata evacuazione dei campi. Il suo report, però, che oggi non è disponibile al pubblico, non ha avuto nessun riscontro pratico, se non che molti funzionari internazionali della polizia di Unmik, che giornalmente facevano jogging accanto al campo di Cesmin Lug, dovettero fare immediati accertamenti medici, e si scoprì che il tasso di piombo nel sangue era così alto da richiedere il loro rimpatrio. Nel 2004 test capillari su 75 persone dei tre campi, principalmente bambini e donne incinte, mostravano che 44 di loro avevano livelli di piombo nel sangue più alti di quanto il macchinario potesse misurare (65 mg/dl), laddove 10 mg è considerato il punto in cui vi è un serio rischio di danni al cervello o al sistema nervoso.

di Federica Riccardi e Raffaele Coniglio

leggi la seconda parte

articolo pubblicato su peacereporter.net, carta.org e osservatoriobalcani.org

Per approfondimenti:
http://www.jstor.org/pss/3433876,
http://www.paulpolansky.nstemp.com/about.html


domenica 25 maggio 2008

UN ASPETTO POSITIVO DELLO STATO MULTIETNICO

L'Assemblea del Kosovo approva la Legge sul Calendario delle Festività Ufficiali

PRISTINA. Dopo tre lunghi giorni di pressione da parte del Governo e dei rappresentanti dell'International Civilian Office (nuova struttura di stampo prettamente europeo per il supporto alle istituzioni kosovare) il Parlamento della Repubblica del Kosovo (è così che bisogna chiamarla e anche l'Italia l'ha riconosciuta come tale) ha approvato la legge sulle ricorrenze ufficiali. Nella lista figurano tre date fortemente volute dai parlamentari di etnia albanese, alle quali vanno aggiunti altri cinque importanti giorni per le minoranze. Il potere legislativo ha stabilito che il 28 Novembre o festa della bandiera (il 28 del 1912 è stato il giorno dell'indipendenza albanese dall'Impero Ottomano) sarà ora ricordato come la giornata degli Albanesi; il 12 Giugno, conosciuto come giorno della Liberazione del Kosovo, sarà festeggiato da oggi in poi come il giorno della Pace, mentre il 6 Marzo o giorno dei Martiri, passerà alla storia come la giornata della Memoria e del Rispetto per i Veterani di Guerra.
Il testo della legge riporta anche, e giustamente, trattandosi il Kosovo di uno Stato multientnico, le ricorrenze per tutte le altre minoranze che vivono qui e che sono altrettanto rappresentate nella nuova bandiera che poco piace ai suoi cittadini. Il lungo elenco riporta il 15 Febbraio come la giornata degli Ashkali, l'8 Aprile la giornata dei Rom, il 23 Aprile il giorno dei Turchi, il 6 maggio quella dei Gorani e infine il 28 Settembre il giorno dei Bosniaci. La Pasqua e il Natale Ortodosso rientano ovviamente nella lista.
Se accanto a queste ricorrenze aggiungiamo tutte le altre che il popolo del Kosovo è abituato a festeggiare (lasciando da parte il mese di Ramadan, quello del digiuno che disabilita tutti) dobbiamo inserire la festa di inizio e di chiusura del Ramadan che durano rispettivamente tre giorni ciascuno, il 25 Dicembre non si tocca, idem per l'1 Gennaio, ovviamente il 1 Maggio, poi la festa dell'Europa che è un "must" e da queste parti ci tengono in molti a festeggiarla, il 15 Agosto, e sicuramente qualche altra festività di minor conto che adesso sfugge. C'è di buono una cosa e cioè che finalmente in maniera ufficiale e con legge dello Stato si è fatto ordine al calendario delle festività, perchè sino ad ora chiunque poteva, anche il giorno prima, avvisarti dispiaciuto di non poter partecipare ad un evento o recarsi a lavoro perchè il giorno dopo si sarebbe festeggiata la Pasqua ortodossa o dell’altro. Il nuovo calendario kosovaro presto verrà stampato tutto in rosso e almeno sulla carta il riconoscimento delle minoranze sarà garantito. Con il beneplacito delle Istituzioni tutti potranno festeggiare e festeggiarsi. Certo questo è un inizio a rilento per la neonata Repubblica del Kosovo che ha tanto da lavorare e poco da festeggiare.

articolo pubblicato sul sito di peacereporter.net e peacelink.it

sabato 5 aprile 2008

I GORANI: UN ALTRO GRUPPO ETNICO DEL KOSOVO

DRAGASH -KOSOVO. Nella parte meridionale del Kosovo, in quella striscia di terra montuosa che sono i monti della Gora (“montagna” in lingua serba) tra Albania e Macedonia, nella regione che si estende a sud di Prizren e comprende tutta la municipalità di Dragash vive, riparata dallo sguardo di molti, una piccola comunità etnica, i gorani. L’ennesima conferma di quanto variegata e colorata sia questa terra balcanica. I gorani sono un gruppo etnico di ceppo slavo meridionale e di religione musulmana (abbracciarono l'Islam in seguito alle invasioni ottomane nei Balcani). Originari della Bulgaria ed arrivati in questa regione montuosa di Gora nel XIII secolo, questo popolo parla un particolare dialetto regionale che consiste di parole macedoni, bulgare, serbe e turche, il Našinski (letteralmente “la nostra lingua”), un dialetto bulgaro. Questa loro unicità sembra rafforzata dall’abbigliamento delle donne, quando, sopratutto nei giorni di festa, sotto un leggero mantello nero indossano vestiti e calze dai toni sgargianti con tante collane ornamentali. Basta questa sintetica cornice geografico-antropologica per capire la particolarità e l’unicità di questo gruppo etnico che vive il suo isolamento socio-politico e geografico come presupposto base della sua sopravvivenza. In questo mosaico etnico l'identità nazionale dei gorani risulta ancora oggi problematica. Tale problema è percepito sia dai gorani stessi che dai popoli vicini. Molti serbi considerano i gorani come dei serbi convertiti all'Islam, altri li considerano degli albanesi di lingua slava. Vista la loro particolare cultura (lingua slava e fede islamica) alcuni gorani considerano se stessi bosniaci.Non esistono dati precisi sul numero di gorani che vivono in Kosovo oggi, perché dal 1991 non è più stato svolto alcun censimento in Kosovo. Secondo recenti stime dell’OSCE nella municipalità di Dragash abitano 22.800 albanesi (il 57,22% della popolazione) e 17.975 gorani (il 43,30%), molti dei quali si trovano all’estero come lavoratori o rifugiati, pronti, tuttavia, a ritornare per le vacanze estive, per essere protagonisti o semplicemente assistere ai tanti matrimoni tra gorani. I matrimoni misti sono infatti pochissimi e forse questo può spiegare la visibile presenza di persone, giovani ed aziani, dai tratti somatici propri di una persona con sindrome di Down. Quelli rimasti qui, invece, vivono prevalentemente di pastorizia, agricoltura e delle risorse che offre il bosco. Sono conosciuti anche come abili pasticceri e produttori di baklava e khalva (dolci di tradizione turca). Raggiungere Dragash e quindi Kruscevo e Restelica, i due villaggi gorani più grandi ed “etnicamente puri”, non è un impresa facile. Sebbene Prizren dista solo 36 km, l’unica strada “percorribile” non è delle più agibili, nonostante gli ultimi lavori di rifacimento del manto stadale. Luogo impervio fino a pochi mesi fa, completamente isolato ed abbandonato a se stesso nei mesi invernali, lì anche i ripetitori della telefonia mobile possono fare poco. Questo fiero gruppo di montanari vive in condizioni economiche molto difficili, non a caso la sua municipalità è considerata da molte agenzie internazionali come una delle più arretrate del Kosovo (Human Development Report UNDP 2004, WB 2005). Non è difficile convincersi di questo una volta arrivati a Restelica. Le stradine di terra battuta stentano a sorreggere le case arroccate ai suoi bordi, accatastate l’una sull’altra vicine come a proteggersi dal freddo pungente e dagli squardi indiscreti. Il centro di Restelica è una confusione di piccoli e ripidi vicoli che anche la macchina fatica a percorrere, di case-garages e uomini, per lo più anziani, intenti a combattere oziosamente il tempo. Le poche donne che si vedono, anch’esse in età matura, sono fuori dal paese, intente con i loro attrezzi a lavorare duramente nei campi. É abbastanza insolita la presenza di tutti questi anziani in Kosovo, visto che questo stato offre ovunque giovani presenze. Questo dato anagrafico, riscontrabile anche a Kruscevo, evidenzia un elemento significativo, ossia che in questo posto impervio e dimenticato da tutti, i più giovani sono scappati a cercar fortuna altrove, in Turchia, in Serbia o in Italia. Forte è infatti la diaspora gorana. L’Italia, in questo caso ricopre un primato positivo. Sono infatti all’incirca 1.400 i gorani, molti con le famiglie al seguito, che lavorano stabilmente in Italia, quasi tutti concentrati in poche città come Siena e dintorni e Treviso. Lo spirito solidale e la rete dei legami familiari ha portato il primo nucleo di gorani ad accogliere via via fratelli, cugini e conoscenti. Questi dati trovano conferma nella testimonianza di Agija Abidini, proprietario dell’unico caffè e punto di aggregazione di Kruscevo. Con un sorriso fiero e pulito si è presentato per servirmi al tavolo dicendomi: “Asi stanav”, ossia “buongiorno” in lingua gorana. Vedendomi sconcertato e perplesso, mi ha ripetuto, sempre col sorriso sulle labbra: “Dobar dan”, “Mire dita”, che è il buongiorno sia in serbo che in albanese. Gli ho dato il buongiorno in italiano e di lì è partita la nostra conversazione nella lingua di Dante. “Qui tutti conoscono l’italiano, io sono stato a Siena per sei mesi, ma poi sono ritornato” mi diceva. “Qui tutti sono partiti”, continuava stringendo le spalle, come a voler far presente il suo pentimento di esser tornato. Tra un servizio e l’altro ai tavoli del suo bar, ci parlavamo, io facevo domande sulla sua lingua, incuriosito dall’accento ed i termini che usava con i suoi amici-clienti, lui per chiedermi consigli sui visti per andare in Italia ancora così difficili da ottenere per lui e i suoi conoscenti. Oggi i gorani hanno una percezione assai pessimistica del proprio futuro e di sicuro, come sosteneva Sadat, 34 anni di Restelica, “l’indipendenza non è una cosa di cui andar fieri, non aiuta di certo a risolvere i nostri problemi”. Snobbati dal governo kosovaro, trascurati dalla Serbia, si trovano oggi, a distanza di 10 anni dallo scoppio della guerra etnica tra serbi e albanesi, in mezzo a dinamiche politiche e sociali delicate che hanno come comun denominatore l’appartenenza etnica. Sia i rom che i gorani, infatti, sono accusati da ampi strati della popolazione albanese di essere stati, prima e durante gli anni della guerra, alleati dei serbi, motivo per il quale sono finiti con l’essere facile bersaglio delle rivendicazioni albanesi. A detta di Sadat, muratore per 8 mesi in un paese vicino Siena, “il clima che si respira a Dragash è ben diverso da quello che l’occhio di un internazionale può catturare. Apparentemente tutto sembra tranquillo tra albanesi e gorani. Ma noi sappiamo bene che i Balcani non sono democratici. Ci aspettiamo delle ritorsioni da parte albanese. Aspettano che gli internazionali vadano via per cacciarci da qui”, diceva sicuro. Sebbene possa sembrare eccessiva tale argomentazione, un dato va rilevato. Le fratture lungo le linee etniche rimangono e sono molto più complesse rispetto a quello che la comunità internazionale ci ha sino ad ora semplicisticamente presentato, un problema, cioè, che va oltre la divisione tra serbi kosovari ed albanesi kosovari. Per quanto ci riguarda, quel punto di forza per l’Italia, sopra riportato, non è stato sfruttato pienamente. Dragash rimane l’ennesimo luogo nostalgico dell’Italia, la sua gente, il suo cibo, di quell’Italia che non ha fatto, però, ancora nulla per accrescere il suo ruolo qui, come altri paesi europei fanno invece da anni con un notevole ritorno a livello di immagine e non solo. Forte della sua popolarità e delle difficoltà economiche che caratterizzano la municipalità di Dragash, l’Italia avrebbe certo potuto svolgere negli anni un ruolo di guida e offrire anche ai gorani la stessa sensibilità mostrata ai serbi e gli albanesi del Kosovo.
articolo pubblicato sul sito di peacereporter.net e di peacelink.it

KOSOVO: LA VOCE DEL CONIGLIO