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giovedì 22 ottobre 2009

RAPPORTO 2009 DI REPORTER SENZA FRONTIERE SUL KOSOVO


Reporter senza frontiere, il 20 di questo mese, ha pubblicato l'ultimo rapporto sul livello della libertà di informazione in 175 paesi di tutto il mondo. Nella classifica del 2009 il Kosovo si è classificato al 75° posto, diciassette posizioni più in basso rispetto all'anno scorso, quando raggiunse la 58° posizione. Quest'anno il rapporto ha analizzato l'arco di tempo che andava dal 1 settembre 2008 al 31 agosto 2009. Per quanto riguarda il Kosovo, come si evince dal rapporto, sono stati rilevati tre casi di violazioni e minacce contro i giornalisti e la libertà dell'informazione in generale. Il primo riguarda la minaccia di morte rivolta alla giornalista investigativa del BIRN, Jeta Xharra; il secondo, l'esclusione della TV privata Rrokum dalla rete nazionale a causa di pressioni politiche. L'ultimo caso, anche in senso cronologico, si riferisce all'attacco compiuto da alcuni hachers sul sito internet di un giornale locale, il Daily Express.
In relazione ai vicini paesi balcanici, il Kosovo viene superato dalla Bulgaria (68°), dalla Serbia (65°), Bosnia Herzegovina (39°), Macedonia (34°), Ungheria (26°). Si lascia alle spalle paesi come Montenegro (77°), Croazia (78°) e Albania (88°).

L'analisi completa sul Kosovo è consultabile sul sito di Reporters Sans Frontières

sabato 17 ottobre 2009

NONO ANNIVERSARIO DELLA MORTE DI ANTONIO RUSSO


Nove anni fa, il 16 Ottobre del 2000, veniva ucciso Antonio Russo, perchè aveva messo il naso nelle questioni più sporche di una delle guerre più sporche che si possano immaginare, quella cecena. Era un reporter abbastanza spericolato, abituato forse a lasciare in pensiero tutti e a non prendersi pensiero dei rischi che correva. Aveva frequentato e raccontato un altro verminaio nazionalista e genocidario, quello di Milosevic, ma ne era scampato. Dopo l’espulsione di tutti i giornalisti dal Kosovo, era rimasto nascosto nelle cantine di Pristina, unico cronista internazionale, a raccontare per Radio Radicale l’assedio e la fuga della maggioranza albanese, con corrispondenze talmente vere da apparire inverosimili. Mai un recapito telefonico d’albergo. Ha sempre scelto di mescolarsi. “Sono a casa di amici, mi ospitano finché possono”. A volte al buio, come accadde a Prishtina. Si era nascosto in una casa privata: i serbi sapevano di lui, ma non riuscivano a trovarlo. Tra un rastrellamento e l’altro, riuscì a scappare mescolandosi a una colonna di profughi kossovari, saltò su un treno e arrivò in Macedonia. Ma per lui, quella non poteva restare soltanto un’esperienza professionale: non ha mai voluto vendere il materiale che aveva raccolto e consegnato al Tribunale ad hoc sulla ex-Jugoslavia, per documentare la pulizia etnica dei generali di Milosevic.Tornato in Italia, era stato assalito e picchiato alla stazione di Mestre da alcuni, diciamo, pacifisti, che gli rimproveravano di stare dalla parte degli aggressori americani, anche se gli americani (e gli italiani) stavano dalla parte degli aggrediti. Le circostanze della morte non sono mai state chiarite, ma numerosi inidizi conducono al governo di Vladimir Putin a Mosca: Antonio Russo aveva infatti cominciato a trasmettere in Italia notizie scottanti circa la guerra, e aveva parlato alla madre, solo due giorni prima della morte, di una videocassetta scioccante contenente torture e violenze dei reparti speciali russi ai danni della popolazione cecena. Secondo i suoi amici, Russo aveva raccolto prove dell'utilizzo di armi non convenzionali contro bambini ceceni. Erano le 14 e 10 del 16 ottobre del 2000 quando dalla Farnesina giungeva la notizia del ritrovamento del corpo privo di vita di Antonio nelle vicinanze di Tiblisi, capitale della Georgia. La porta della sua abitazione è stata trovata aperta. Russo era in procinto di rientrare in Italia per portare nuove testimonianze e documenti sull’atrocità della guerra in Cecenia. «Antonio era lì perché non era tipo da scrivania. Dopo due o tre mesi di vita cittadina, scalpitava per andare altrove. Era sempre di passaggio. In Ruanda e Burundi durante i massacri hutu e tutsi; in Algeria, quando uomini, donne e bambine venivano sgozzati; a Sarajevo, quando i cecchini freddavano i civili al mercato. Antonio Russo non apparteneva all’ordine dei giornalisti: era un free-lance. Molto free. Il suo linguaggio scarno e crudo lo teneva lontano da ogni compiacimento: non c’era alchimia, non c’era narcisismo. Orgoglio sì, e tanto».

Si veda anche Passaggio a Sud Est

KOSOVO: LA VOCE DEL CONIGLIO