Il libro che questa settimana mi è capitato tra le mani è quello di Radmila Todic-Vulicevic, un diario che narra le esperienze personali dell'autrice vissute in Kosovo prima, durante e dopo i bombardamenti della Nato. Frammenti di eventi quotidiani racchiusi tra il 3 Aprile 1998 e il 4 ottobre 2002. Riflessioni di facile lettura che catturano il lettore. Stessa fluidità che si nota leggendo Serbia Hardcore, ma che a differenza di questo, non si intravede nessuna critica a quel regime violento che Milosevic aveva creato e del quale, appunto, Velickovic era un fermo oppositore. L'autrice nella prima parte del libro racconta un Kosovo surreale. Racconta un Kosovo -un anno prima dei bombardamenti Nato- in preda alle attività criminali dell'UCK che spargevano terrore. Racconta di famiglie serbe che già nel 1998 scappavano dal Kosovo (non erano gli albanesi che, in file chilomentriche, fuggivano?). Racconta alcune volte di uccisioni di uomini e bambini serbi, molte altre non specifica chi sono questi morti, lasciando intuire che si tratta ancora di serbi. Una sola volta (1 marzo 1999) afferma che "un albanese è morto e altri due sono rimasti feriti". Il 12 settembre 1998 nel suo racconto l'autrice parla della scoperta di una fossa comune di uomini serbi. Per Radmila Todic-Vulicevic l'anno 1998-99 è l'anno del terrore albanese che crea panico e avrebbe potuto mietere vittime quasi ogni giorno se non ci fosse stato l'eroico esercito serbo a difendere la popolazione civile. In un passaggio di questa prima parte, riferendosi all'UCK, dice "Dio perchè stanno scaricando tutto questo odio e rabbia su di noi?"; e ancora "attacchi all'armata e alla polizia non si fermano". In questa prima parte, non solo non accenna ad alcun fatto atroce commesso dai serbi, ma accentua la forza e lo spessore che l'UCK non poteva avere. Per coloro che non sono mai andati in Kosovo ricordo, invece, che sparsi un po' ovunque ci sono numerosi monumenti che ricordano guerriglieri dell'UCK morti, ma soprattutto intere famiglie albanesi sterminate nel 1998. L'autrice non riesce a distinguere, cosa comune tra i grandi fans del regime e del nazionalismo serbo, le enormi responsabilità di Milosevic e dei suoi luogotenenti nell'aver avviato questa sporca guerra le cui conseguenze oggi, a differenza di ieri, si riversano sui cittadini serbi del Kosovo. La seconda parte del libro è molto interessante. Dico sinceramente. E' la prospettiva di una donna serba, che vive il quotidiano fatto di paure e di ansie, di incertezze e speranze. Analisi di una mamma che durante il periodo dei bombardamenti cerca di rassicurare i figli e che per loro trova la forza di andare avanti giorno dopo giorno, bomba dopo bomba, raccontati da una prospettiva veramente interessante e nuova.
La prima parte, deludente e poco veritiera, è resa ancor più allucinante dalla prefazione di Sanda Raskovic Ivic, Ambasciatrice di Serbia in Italia, con un testo che si commenta da solo.
"Il diario inizia un anno prima dei bombardamenti, nei tempi in cui l'UCK si scatena e in cui ogni giorno lascia il territorio almeno una famiglia serba, che non riesce a sopportare il terrore esercitato dai separatisti albanesi, che non riesce a sopportare l’incertezza e l’ansia del domani. Sono i tempi del sospetto verso la sincerità e l’autenticità sia dei politici locali, sia dei rappresentanti della comunità internazionale, che, come i visitatori dello zoo, si alternavano e si costruivano una loro idea, sempre condita dagli interessi delle grandi potenze. Sono descritte le distruzioni dei ponti, degli ospedali, delle ferrovie, dei treni con i passeggeri a bordo, delle colonne dei rifugiati. “Come faccio a mettere in una borsa l’anima di casa mia?” L’odio è diventato l’energia politica dei “democratici” del “nuovo Kosovo”, tutti ex combattenti dell’UCK, molti dei quali coinvolti in attività criminali. Il Kosovo e Metohija è stato “pulito etnicamente”: dal giugno del 1999, 250.000 serbi, rom e altri non albanesi se ne sono andati, sono state sequestrate 1.300 persone e uccise altre 1.000, distrutte 156 chiese, comessi atti vandalici contro 67 cimiteri. In Kosovo sono rientrati solamente 1.200 serbi".
Ciò che eravamo
collana: Frontiere del presente
editore: La città del sole
ISBN: 8882924483
euro 12
La prima parte, deludente e poco veritiera, è resa ancor più allucinante dalla prefazione di Sanda Raskovic Ivic, Ambasciatrice di Serbia in Italia, con un testo che si commenta da solo.
"Il diario inizia un anno prima dei bombardamenti, nei tempi in cui l'UCK si scatena e in cui ogni giorno lascia il territorio almeno una famiglia serba, che non riesce a sopportare il terrore esercitato dai separatisti albanesi, che non riesce a sopportare l’incertezza e l’ansia del domani. Sono i tempi del sospetto verso la sincerità e l’autenticità sia dei politici locali, sia dei rappresentanti della comunità internazionale, che, come i visitatori dello zoo, si alternavano e si costruivano una loro idea, sempre condita dagli interessi delle grandi potenze. Sono descritte le distruzioni dei ponti, degli ospedali, delle ferrovie, dei treni con i passeggeri a bordo, delle colonne dei rifugiati. “Come faccio a mettere in una borsa l’anima di casa mia?” L’odio è diventato l’energia politica dei “democratici” del “nuovo Kosovo”, tutti ex combattenti dell’UCK, molti dei quali coinvolti in attività criminali. Il Kosovo e Metohija è stato “pulito etnicamente”: dal giugno del 1999, 250.000 serbi, rom e altri non albanesi se ne sono andati, sono state sequestrate 1.300 persone e uccise altre 1.000, distrutte 156 chiese, comessi atti vandalici contro 67 cimiteri. In Kosovo sono rientrati solamente 1.200 serbi".
Ciò che eravamo
collana: Frontiere del presente
editore: La città del sole
ISBN: 8882924483
euro 12