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lunedì 4 aprile 2011

KOSOVO - HUMAN DEVELOPMENT REPORT 2010



E' da poco uscito l'ultimo report da parte dell'UNDP-Kosovo. Quest'anno si parla di inclusione sociale. In termini semplici, per esclusione sociale si intende la pratica di negare ad alcuni gruppi il diritto di contribuire economicamente, politicamente e socialmente alla crescita della loro società, limitando in tal modo il potenziale della società stessa. L'esclusione può avvenire deliberatamente, attraverso la discriminazione istituzionale, o involontariamente, attraverso pratiche culturali che di fatto limitano i diritti e le libertà individuali. Qualunque sia la causa, l'effetto è sempre lo stesso: autolimitazione e un iniquo processo di sviluppo. L'ampiezza dell'emarginazione all'interno della società kosovara è forse il dato più rilevante della relazione. Lungi dall'essere un fenomeno di minoranza, l'esclusione -economica, dai servizi sociali e di impegno civile- è una condizione vissuta da una vasta gamma di persone in varie dimensioni della vita quotidiana. Quella dell'esclusione è una sfida cruciale per lo sviluppo del Kosovo e di ogni paese. Il rapporto identifica nel dettaglio i gruppi sociali che più di altri risentono dell'esclusione sociale e ne sono vittime. Queste fette di popolazione rischiano di diventare invisibili se non si cambia rotta e non si inverte la scala delle priorità politiche. Nella lunga lista degli esclusi vanno annoverati: i disoccupati di lunga durata, i bambini svantaggiati, i giovani, le donne delle aree rurali, i Rom, Ashkali ed Egiziani (RAE) e tutte le persone con bisogni speciali. Davanti a se il Kosovo ha una serie di sfide sociali ed economiche da affrontare e queste riguardano:


• Stagnazione economica: il PIL pro capite del Kosovo è attualmente il più basso d'Europa. Anche se il Fondo Monetario Internazionale (FMI) ha previsto che crescerà del 3% per i prossimi sei anni (passando dai 1.766 ai 2.360 euro) il Kosovo ha ancora molto da recuperare in termini di equa distribuzione dei ricavi all'interno della sua società;

• Povertà diffusa: circa il 45% (poco più di due kosovari su cinque) vivono sotto la soglia della povertà e uno su cinque non è in grado di soddisfare i propri bisogni di base. La povertà è più elevata tra coloro che vivono in grandi famiglie - che spesso hanno molti membri disoccupati e livelli di istruzione relativamente più bassi. Coloro che vivono in povertà sono anche geograficamente concentrati nelle zone rurali e in alcune regioni del Kosovo, come Prizren e Gjilan/Gnjilane; 

• Elevati livelli di disoccupazione: si stima che il 45% della forza lavoro è disoccupata, con tassi di disoccupazione per i giovani che superano il 73% e la disoccupazione femminile all'81%. Il mercato del lavoro ogni anno si gonfia in media di 30.000 giovani in cerca di lavoro, ma con poche opportunità a loro disposizione;

Scarsa qualità della vita: sulla salute e gli standard educativi i cittadini kosovari sono in forte ritardo rispetto ai loro vicini europei. Gli indicatori sanitari in Kosovo sono tra i peggiori dell'Europa. Il tasso di mortalità infantile è di18-49 per 1.000 e sotto i cinque anni la mortalità infantile è di 35-40 per 1.000 nati vivi, rappresentando così il dato più alto in Europa. Anche l'istruzione è molto variabile e selettiva - in particolare per i bambini con qualsiasi forma di disabilità fisica o di apprendimento e l'educazione prescolare è praticamente inesistente al di fuori di Pristina; 

• Discriminazione: le minoranze etniche del Kosovo sono quelle che subiscono l'impatto peggiore delle sfide socio-economico del Kosovo. In particolare, le condizioni dei RAE del Kosovo sono abbastanza vicini a quelli che si trovano nei paesi meno sviluppati. Il livello di disoccupazione per la comunità RAE, dove il 75% dei giovani maschi di 15-24 anni sono disoccupati, per esempio, è molto superiore alla media del Kosovo. 

Il fatto davvero strano è che dal 2000 in poi la comunità internazionale ha investito più risorse pro-capite in Kosovo che in qualsiasi altra arena di post conflitto. L'Unione europea, principale donatore del Kosovo, ha annunciato che per i prossimi tre anni destinerà per il Kosovo molti più fondi che in qualsiasi altro posto del mondo.
Già ​​la sola l'Unione europea ha erogato quasi un miliardo di euro per il Kosovo tra il 2000 e il 2006 attraverso il programma CARDS (assistenza comunitaria alla ricostruzione, lo sviluppo e la stabilizzazione) e dal 2007 altri 426 milioni di euro attraverso lo strumento di assistenza  di preadesione (IPA). Poi giù di lì tutti gli altri milioni di euro del governo americano, delle organizzazioni internazionali e dei vari paesi europei. Una marea di fondi che negli anni sono serviti alla ricostruzione del paese e al rafforzamento delle istituzioni democratiche per armonizzarle con quelle europee. Gli scarsi risultati, però, sono sotto gli occhi di tutti. Il processo di adesione all'UE non è una passeggiata, è un iter estremamente complesso che richiede un rimodellamento vasto dei quadri normativi, il rispetto di standards molto elevati di governance e di cooperazione regionale. Nonostante la massiccia presenza di istituzioni internazionali e di ingenti fondi, la strada verso l'Europa è ancora molto lunga.

L'intero documento in lingua inglese 

martedì 8 settembre 2009

HONEYMOONS

"Sembra che gli artisti si capiscano meglio dei politici. Non esiste l'odio atavico tra i nostri paesi, l'hanno inventato gli ultra-nazionalisti di entrambe le parti, e questo ci ha impedito di frequentarci, di conoscerci e di scambiare esperienze." Goran Paskaljevic

Titolo dolce, Honeymoons, dedicato alla luna di miele, ma durissimo nel suo svolgimento: è l'ultimo film di Goran Paskaljevic, applaudito al Cinema di Venezia all'interno delle Giornate degli Autori. Paskaljevic grazie alla sua forza artistica, al rispetto che gode in tutta l'area balcanica oltre che internazionale, è riuscito a realizzare per la prima volta nella storia una coproduzione serbo albanese. Con la sceneggiatura scritta a quattro mani dallo stesso regista insieme con Genc Permeti, Honeymoons è la dimostrazione di come il cinema può raggiungere risultati impossibili alla politica, superare confini invalicabili. Il film non è altro che la storia sul paradosso di frontiere che sembrano spalancate e sono invece trappole micidiali, che siano quella ungherese o il porto di Bari. La vicenda si svolge ai giorni nostri tra Albania, Serbia, Italia e Ungheria e segue le storie di due giovani coppie che decidono di lasciare i loro rispettivi paesi per inseguire una vita migliore in Europa. La coppia albanese vuole lasciare il paese sui monti con il suo rigido codice che non è solo una tradizione, ma legge e riesce a imbarcarsi. Giunti in Italia, per dare forma ai loro rispettivi sogni, trovano tanti ostacoli. L'arrivo al porto di Bari è infatti di imprevista durezza. Lo stesso destino attende la coppia serba che entra nell’Unione Europea attraverso il confine ungherese. Per una serie di casi sfortunati, non riescono, almeno per il momento, a coronare i loro sogni. La parola pericolosa che compare sui passaporti è Kosovo. Le strade delle due coppie si intrecceranno, ma solo per un breve momento... In Kosovo sono stati uccisi due soldati italiani dell'ONU e chiunque provenga dall'area è considerato un sospetto anche se con i documenti in regola.





www.honeymoons-movie.com


mercoledì 1 ottobre 2008

SONO ROSE E FIORIRANNO (terza ed ultima parte)

CBM quanto a personale, organizzazione e progetti sembra essere l'associazione locale meglio strutturata di Mitrovica.

A concludere questa giornata tutta al femminile incontro lo staff di CBM (Community Building Mitrovica). Ad accogliermi nel loro ufficio, prima dell’arrivo di uno dei managers, Flora (Florije) Sylaj, trovo Lindsay, una stagista venuta dall’Olanda, quasi a marcare l’aspetto internazionale di questa Ong locale radicata evidentemente non soltanto su tutto il territorio kosovaro. CBM è stata fondata nel 2001 e come allora anche oggi conta personale multietnico del nord e sud di Mitrovica e collabora con numerosi attori nei Balcani, tanto che la sua direttrice gestisce anche un network di 30 Ong balcaniche che ha sede in Macedonia. Quanto a personale, organizzazione e progetti sembra essere l’associazione meglio strutturata di Mitrovica. Ha tanti punti di forza CBM,evidenti non soltanto per le sue iniziative che si concentrano nella promozione del dialogo tra serbi e albanesi, la tutela delle monoranze e la protezione e il rafforzamento delle donne, ma anche nella motivazione dei suoi membri che considerano CBM forte e unica nel suo genere e si dichiarano fermamente convinti dell'importanza del lavoro che svolgono. "Gestiamo il Centro Multietnico di Donne nella parte nord di Mitrovica, a Kodra Minatore/mikronaselje, monitorato da una volontaria di CBM", spiega Flora, "Lì si organizzano incontri, viaggi, corsi di formazione su vari temi come la violenza domestica o la tessitura di tappeti (8per le ragazze rom), scambi con organizzazioni simili nei Balcani". "Proprio qui, in un'area nevralgica nella contrapposizione tra serbi ed albanesi, grazie a questo centro multietnico di donne, la situazione è nettamente migliorata", commenta. Si occupano poi di advocacy e di diritti delle donne e di progetti generatori di reddito. Cercano in particolare di aiutare donne, ma in molti casi anche uomini, a sviluppare abilità che possono essere vendute sul mercato, con corsi, ad esempio, per chi lavora nelle costruzioni, corsi tecnici rivolti ai più poveri e di cucito per le donne rom. “La lista delle nostre attività è molto lunga”, precisa sorridendo la collaboratrice di CBM, “ci sono anche diverse attività che riguardano i giovani, in particolare per la promozione del dialogo interetnico, come l’organizzazione di visite in Olanda e Macedonia, l’ultimo un summer camp di una settimana a Ohrid (Macedonia) a cui hanno partecipato studenti di musica di tutto il Kosovo, serbi e kosovari”. A questo progetto che si è svolto appunto nell’agosto 2008, CBM ha lavorato con l’organizzazione Musicisti senza frontiere (Musicians without borders) che ha offerto loro l’assistenza tecnica necessaria. Inoltre gli istruttori del corso, albanesi e serbi, sono stati formati insieme in Olanda. “Adesso vogliamo costruire una pop-rock school a Mitrovica”, afferma Flora. “Nonostante la nostra dimensione non tanto grande, cerchiamo comunque di mettere da parte delle risorse da investire nel fundraising e nei media, e nella pubblicazione mensile del nostro M-magazine, quando riusciamo anche nella versione in inglese” conclude la manager. Community Building Mitrovica, insieme a Mundesia e la Women Business Association, sono tre realtà vive di Mitrovica, soggetti con i quali, nel bene e nel male, le faziose istituzioni locali e la classe politica di Pristina e di Belgrado dovranno sempre più misurarsi per uscire dal pantano Kosovo e ritornare così a vedere e rappresentare la colorita composizione etnica di sempre.

leggi la prima e la seconda parte

links: Mundesia, CBM

lunedì 22 settembre 2008

SONO ROSE E FIORIRANNO (seconda parte)


Raggiungendo il quartiere Bosnian Mahalla dove ha sede il Community Business Youth Centre

La signora Hasime, albanese kosovara, ha molta dimestichezza con il Pajero che guida, donato anch’esso dai finlandesi. Ricorda affettuosamente il giorno in cui le è stata consegnata, “So bene che potrei, a questo punto, dopo l’usura degli adesivi attaccati sulle due portiere della macchina, toglierli” ammette, “Di per sé non è un gesto scorretto, certo, ma come si fa?” “Voglio esserli riconoscente”, aggiunge riferendosi ai finlandesi, “Anche con questo piccolo gesto”. L’inglese continua ad essere la principale lingua di comunicazione anche quando mi accompagna con la sua macchina, il Pajero appunto, al Bosnian Mahalla, un quartiere cuscinetto sito proprio tra la parte sud e quella nord di Mitrovica, dove incontriamo la sua collega e amica Olivera, direttrice della Women Business Association. Ci vivono tutte le etnie del Kosovo in questo solo quartiere, che anche per questo è piuttosto militarizzato. I soldati della Kfor continuano a svolgervi attività di controllo e peacekeeping. Noi parcheggiamo e in maniera del tutto naturale vedo Hasime attraversare la strada di questo posto di confine, (a pochi metri dalla zona serba), e salutare con affetto Olivera Milosevic nel Community Business Youth Centre che gestiscono insieme. Può sembrare un gesto di assoluta normalità quello del bacio tra due persone che si conoscono da tempo. Ma non lo è certo per chi vive da queste parti ed appartiene a due etnie“contrapposte” da decenni di tensioni e conflitti. Una volta terminate le presentazioni iniziali, con Hasime e Olivera parliamo in tutta tranquillità di politica e integrazione. Olivera espone chiaramente le sue idee, dimostrando subito di essere anche lei energica e determinata, mi spiega come mai lei sia così conosciuta e ben inserita nella città nonché alla guida di quest’attiva associazione creata nel 2004. “Sin da allora”, spiega la direttrice della WBA, “ci siamo occupate di lotta contro la violenza domestica sulle donne, campagne per il rispetto ambientale, organizzare incontri tra micro imprese di Mitrovica -sia Nord che Sud- che operano nello stesso ambito, supportare piccoli agricoltori, albanesi, serbi o di altre etnie, nelle loro attività, organizzare tornei di calcetto multietnici tra i più giovani”. Apprendo poi che la WBA organizza anche corsi di cucina (dolci), a cui partecipano soprattutto donne rom, poi ci sono anche corsi di informatica, inglese, artigianato, corsi sull’analisi del sangue, la misurazione del colesterolo. Nella lunga lista di attività, prosegue Olivera evidentemente orgogliosa, si sono occupate anche di una campagna contro il traffico di esseri umani. “Oggi con il WBA, che partecipa ad un progetto di sviluppo locale di UNDP siamo qui”, ci dice muovendo gli occhi ad indicare la bella ancorché semplice struttura del centro giovanile.
“Da un anno e mezzo gestiamo il Community Business Youth Centre nel Bosnian Mahalla”, ripete Hasime che traduce il discorso di Olivera dal serbo all’inglese, un centro voluto da ciascun leader di ogni gruppo etnico di Mitrovica e “fortemente desiderato da Unmik che ha chiesto proprio a noi di gestirlo” conclude. Nel centro c’è internet, 15 persone impiegate, tra cui albanesi, serbi, turchi e bosniaci. Il CBYC è un luogo di incontro e aggregazione per donne e uomini, soprattutto giovani. Soddisfatte Hasime e Olivera elencano le tante sfide vinte contro il muro di gomma che è Mitrovica ed, in particolare, alcune sue istituzioni locali, rivivendo le avventure e paure dei giorni della pulizia del fiume Ibar, confine improvvisato tra il nord e il sud della città e due mondi divisi. Anche Olivera descrive con fierezza quella fase come un momento di rottura di un muro di pregiudizi, ricordando che in quel progetto del 2006 lei ed Hasime erano riuscite ad impiegare quasi 200 persone di diverse etnie che guadagnavano grazie a loro 120 euro al mese (un salario medio mensile in Kosovo va dai 150 ai 180 euro al mese). Quest’ultimo aspetto viene ulteriormente sviluppato in un dialogo tra le due donne ed Olivera, in maniera diretta, afferma come quello economico sia un aspetto non trascurabile nel processo di pacificazione del Kosovo. “La gente più che sedersi intorno ad un tavolo tecnico appositamente convocato per parlare di pace o di analisi pacifica del conflitto, o di multiculturalismo, ha bisogno di mangiare e di mandare a scuola i propri figli”, sentenzia gelida. Hasime muove energicamente la testa mostrando la sua piena condivisione di tale analisi.

leggi la prima parte

seguirà terza ed ultima parte con CBM (Community Building Mitrovica)

lunedì 15 settembre 2008

SONO ROSE E FIORIRANNO


Nella variegata città divisa di Mitrovica vivono serbi, albanesi, gorani, bosniaci e rom. Fattore critico di questo colorato aspetto sono però fratture e divisioni interetniche che rimangono molto pronunciate a tal punto che, come spesso avviene, proprio nella città dove la presenza di diverse comunità è più forte e visibile, più marcati sono i contrasti. È risaputo infatti che la città, non soltanto per la netta divisione tra serbi e albanesi, è la più problematica del Kosovo. Attore determinante nella ricomposizione del complesso puzzle dovrebbe essere la società civile della città sul fiume Ibar, i più giovani in primis, con l’essenziale supporto di donne talentuose e determinate,con l’accondiscendenza tacita della politica tout court. Il ruolo delle donne, qui come in numerosi altri contesti simili, è sempre stato di vitale importanza per la ricomposizione sociale. Sono in tanti ad aver da tempo capito questa forza, Unmik e molte altre organizzazioni internazionali, agenzie governative e Ong, ed ora anche la maggioranza dei suoi cittadini. Mitrovica, così come tutto il Kosovo, pullula ancora oggi di associazioni no profit e non, nate nella maggior parte dei casi subito dopo la guerra, alcune con un buon intento, altre più semplicemente per intercettare l’importante flusso di denaro del periodo post bellico. Nella città divisa proprio per la delicatezza del contesto sono attive, e in molti casi ben strutturate, varie organizzazioni multietniche, alcune nate per la sola iniziativa di donne.
Durante la calda estate kosovara ho incontrato e dialogato con le responsabili di alcune delle più significative realtà associative di Mitrovica, Mundesia, Women Business Association e Community Building Mitrovica.

Da Mundesia
La giovane ed energica Hasime Tahiri è la direttrice di Mundesia, che in albanese vuol dire “Possibilità”. “L’Ong è nata più di sei anni fa”, mi dice con il suo fluente inglese, “per iniziativa del governo finlandese”. L’idea iniziale che ha portato alla nascita dell’associazione è stata data da una risoluta donna finlandese, Kaisa Penttinen, del Finnish Refugee Council. Hasime era inizialmente il Local Coordinator di questa creatura appena nata, ed a lavorato tanto prima di diventarne la diretta responsabile, seguendo insieme alle sue colleghe numerosissimi trainings e tanta formazione mirata, in Kosovo come in Finlandia. Attualmente intorno a Mundesia ruotano 140 membri – tutte donne dai 17 ai quasi 80 anni– che pagano una piccola quota associativa di 2,50 euro l’anno. “È una cifra simbolica”, tiene a precisare la signora Hasime, spiegando anche come sia impossibile agire diversamente, “Quello che le donne pagano è logicamente una cifra inconsistente per il nostro budget, ma ci teniamo a che paghino tale quota per responsabilizzarle sempre di più”. “Noi viviamo del prodotto che realizziamo, e non certo per via di questa quota” sottolinea. Mundesia inizialmente si proponeva soprattutto di promuovere e rafforzare le opere artigianali delle donne di Mitrovica, come vestiti e tappeti, ed oggi con le sue attività sostiene campagne volte a sensibilizzare e istruire le donne, si impegna nella raccolta fondi per i suoi diversi progetti, senza dimenticare la vendita di manufatti la cui qualità è migliorata negli anni grazie a numerosi corsi. Nella loro struttura, un palazzo di 3 piani ben tenuto che il governo finlandese ha donato loro nei primi anni, le operatrici organizzano inoltre momenti di lettura, escursioni, fiere a Pristina, Peja e nei paesi confinanti. Insieme queste donne sempre indaffarate lavorano, parlano, discutono di tutto, macinano progetti e inseguono sogni. Molti di questi sono così andati in porto:
- nel 2005 hanno portato avanti un progetto in collaborazione con una organizzazione serba di Novi Sad. Il progetto aveva il fine di analizzare come fossero rappresentate e presentate le donne in politica sui quotidiani nazionali.
- hanno implementato un progetto con la Swiss Development Cooperation il cui fine era quello di supportare a livello educativo e formativo le donne rom del quartiere Roma Mahalla di Mitrovica
- hanno organizzato una fiera espositiva al Bosnian Mahalla, un quartiere multietnico della città
- da due anni lavorano con la Women Business Association, un’associazione serba di Mitrovica Nord, insieme alla quale, con il supporto di Unmik gestiscono il Community Business Youth Centre nel Bosnian Mahalla.
Nel 2006 Mundesia ha inoltre lavorato ad un importante progetto volto a ripulire ambe le sponde del fiume Ibar. Era il luglio del 2006, e quello è stato il loro primo progetto in collaborazione con la Women Business Association della signora Olivera, mi spiega Hasime. 170 persone, membri di tutte le comunità etniche di Mitrovica, vi hanno lavorato per più di 5 mesi. “Le minacce e i rischi erano altissimi nella fase iniziale e per tutta la durata del progetto, anche per questo eravamo molto attente a scegliere le persone che dovevano lavorarci, cercando di scartare a priori quelle che potevano creare dei problemi” sottolinea la direttrice di Mundesia. Non sono mancati i batticuori, ricorda ancora, ripercorrendo col sorriso la fase finale in cui il successo del progetto era ormai evidente, tanto che sono riuscite a portare a casa il secondo premio di UNDP Global.

leggi la seconda parte

martedì 10 giugno 2008

INDIAN FOOD & COMPANY

Questa proprio non ci voleva. Il mio ristorante preferito “Indian Food” è stato improvvisamente chiuso. Proprio questa mattina mentre passavo da lì, incuriosito per i lavori che stavano facendo, ho pensato di chiedere se i cingalesi stessero ristrutturando. Pronta è stata la risposta negativa del muratore che ci lavorava che mi ha informato del nuovo caffè – tipicamente kosovaro- che prenderà il posto del vecchio ristorante.“L’Indiano” così lo etichettavo, era un piccolo ristorante di proprietà di cingalesi, persone semplici, apparentemente timide e riservate, giunte in Kosovo da anni, venuti da così lontano e spinti, non so bene da che cosa, ad aprire un ristorante etnico qui a Pristina. Certo quella della ristorazione è un’attività tra le più proficue in Kosovo dove si possono trovare ristoranti tipici albanesi, serbi, ristoranti italiani, cinesi, c’è anche il messicano, il giapponese e persino un nepalese. Sicuramente è anche per questo che a Pristina si mangia molto bene. Io però ero molto affezionato a questo posto piccolo dalla cucina buona e speziata, economico e silenzioso, in pieno centro. In effetti da quando sono stati ultimati i lavori di riqualificazione dell’area pedonale nel cuore di Pristina, tra il Grand Hotel e il Palazzo di Governo, inaspettatamente gli amici cingalesi con il loro ristorantino si sono ritrovati di colpo nel posto più interessante che potessero mai trovare. Appunto per questo, da diversi mesi notavo la presenza di personale kosovaro dietro la cucina. Questo è molto insolito. Si possono trovare cuochi kosovari in ristoranti italiani e internazionali in genere, ma la presenza degli stessi in quelli indiani o cinesi è veramente rarissima se non inesistente. Fatto sta che da quella volta ho prestato attenzione a queste presenze. L’ultima volta, appena un mese fa, seduto ad un tavolo ho visto il simpatico proprietario del locale discutere sottovoce con una persona di orgine albanese kosovara. Intuivo dove sarebbero arrivati. La longa manus albanese si sarebbe presto addentrata fin dentro gli affari del ristorante. Così è stato. L’ultima volta che goloso di assaggiare il loro piatto forte,chicken kuruma, con tutte le salsine piccanti e speziate, ho notato le insegne staccate e la porta chiusa, mi è caduto il mondo addosso. L’Indian Food era stato chiuso. In un primo momento speravo in una ristrutturazione o ingrandimento del locale, ma quando ho saputo quanto stava accadendo non ho potuto far altro che pensarci sopra e ho tratto la conclusione che qui in Kosovo, e maggiormente nella sua commerciale capitale, tutto, ma proprio tutto, è soggetto a continuo cambiamento. Seduto davanti a un caffè cercavo di riflettere su questo. Di colpo, quasi istintivamente ho alzato la testa e preso visione del posto in cui mi trovavo. I locali del pub-ristorante "92", di fronte al quartier generale di Unmik, pochi mesi prima di quest’ultima apparizione ospitavano un’attrezzata e rifinita caffetteria e prima ancora una struttura credo di Unmik o forse privata, non saprei, che vendeva cartine e mappe geografiche del Kosovo, in tutte le forme e dimensioni. La stessa distrubuiva anche i mensili informativi di Unmik e Osce. Tutti questi cambiamenti sono avvenuti in meno di due anni. Da oggi farò a meno del ristorante indiano. Mi sono già rassegnato, ma faccio veramente fatica a capire cosa c’è dietro questa maledetta voglia di cambiamento, a maggior ragione quando gli affari delle attività commerciali vanno –o sembrano andare?- a gonfie vele.
P.S. nulla di personale per carità, ma il nome che hanno dato alla caffetteria, "New Born" (oggi 11 giugno, passando da lì ho visto la nuova insegna) mi ha irritato e non poco.

domenica 1 giugno 2008

UNA BOCCATA D'OSSIGENO PER TUTTI


Questa settimana mi è capitato di percorrere, per questioni squisitamente private, la tratta Pristina-Bar e ritorno in autobus. "Cosa vuoi che sia" si potrebbe obiettare, "oltretutto sono poche centinaia di chilometri", si potrebbe supporre. Eppure così non è! Sebbene le due città distino all'incirca 250 km l'una dall'altra, le ore da "sgranocchiare" in autobus sono ben dieci (10) a tratta. Non è la prima volta che affronto viaggi del genere, direzione Montenegro o altre mete ( ricordo le 10 ore per Tirana, le 12 per Sarajevo, le 18 per Istanbul, ahhh si!! le altrettante 18 per Pula per prendere poi la Ryanair in vista di Dublino). Non mi sono mai spiegato fino in fondo il perchè mi piacciono viaggi così stressanti, lunghi e scomodi, ma di sicuro l'ebbrezza che si prova nel viaggiare per così tante ore su un mezzo circoscritto e limitato come può essere l'autobus è tanta. Incontrare persone di ogni tipo e con diverse esigenze, sostare in posti che mai avresti pensato esistessero e avessero quei nomi, il vedere dal finestrino le luci fioche delle case sperdute, poi la strada e via su per le montagne. Trovo tutto questo affascinante. Personalmente intendo il viaggio (o vacanza) come nuova conoscenza, scoperta e avventura. Credo sia questa la vera essenza del perchè mi piace affrontare questo tipo di viaggi. Il viaggio in autobus mi da tutto questo e oltre. Chiusa parentesi! A capo.
Consumare le ultime energie sull'autobus per poi passare un'interessante fine settimana lontano dal polveroso Kosovo è stato un motivo in più per avventurarmi nuovamente alla volta della splendida Kotor e Budva. Per me è stata una boccata d'ossigeno, un viaggio rigenerante quasi. Ma non per tutti è sempre così. In quest'ultimo viaggio in terra montenegrina ho notato delle piccole stranezze. Innanzitutto i collegamenti sono più che raddoppiati, in secondo luogo il prezzo del biglietto è fortemente diminuito. Con soli 20 euro si paga l'andata e il ritorno.
Alle 18.30 una marea di gente aspettava, insieme al sottoscritto, di poter presto salire e prendere posto sui tre autobus della compagnia Barileva. Tutti rigorosamente kosovari e tutti orgogliosamente uomini i miei compagni di viaggio. La mia curiosità su tutto ciò era talmente tanta che alla prima occasione utile ho chiesto a Zoran, il signore seduto dietro di me, il perchè di tutta questa gente diretta ad Ulcinj, in un periodo di bassa stagione. Nemmeno in piena estate gli autobus partono da Pristina così numerosi per raggiungere quella che è la loro Rimini, pensavo tra me e me. "LAVORO" è stata la sua risposta.
Zoran fa il manovale da tre mesi a Ulcinj per una impresa locale, divide una casa con altri suoi compagni e approssimativamente una volta al mese fa ritorno dai suoi cari per ristorarsi e portare una piccola manciata di soldi. Come lui, da Ferizaj, Drenas e altri villaggi del Kosovo, sono in tanti e nelle stesse condizioni. Giovani e padri di famiglia leggermente ricurvi e cotti dal sole. Considerando la fisicità del duro lavoro che svolgono, è facilmente intuibile anche il loro basso livello di istruzione. E' difficile comunicare con tutti loro (per via del mio albanese e del loro inglese), ma con una gestualità che non mi manca ho fatto capire al simpatico Besim che il posto accanto al mio era libero.
Alle 19.10 si parte. Dopo un veloce check-in da parte del secondo autista la TV si accende e la musica tradizionale kosovara inizia a spaccare le casse. E' terribile questo suono, a tratti nauseante, ma c'è ben poco da lagnarsi, nessuno darebbe retta a eventuali lamentele visto che questo genere musicale attecchisce molto qui, anche tra i giovani. Non ci voglio pensare. Il viaggio è lungo ed è appena cominciato. Parto comunque con un sorriso che mi riempie gli occhi.
Questo viaggio alla fine è una boccata d'ossigeno anche per i miei compagni di viaggio.

Alcuni dei video musicali che trasmettono per intrattenere il passeggero







anche quest'ultimo è abbastanza rilassante! vero?

KOSOVO: LA VOCE DEL CONIGLIO