Visualizzazione post con etichetta cooperazione. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta cooperazione. Mostra tutti i post

sabato 26 marzo 2011

IL DIALOGO TRA BELGRADO E PRISTINA

"Belgrado aspira soltanto ad entrare in Europa per mettere poi il bastone tra le ruote al Kosovo, proprio come sta facendo in piccolo la Grecia con la Macedonia". E se avesse ragione Albin Kurti?




Lunedì ventotto marzo le delegazioni di Belgrado e di Pristina si incontreranno per la seconda volta a Bruxelles. A settembre l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha invitato le due parti, su proposta dell'Unione Europea, ad avviare un dialogo volto a migliorare la stabilità regionale, ad avvicinare ancora di più il processo di integrazione europea di entrambi i paesi e a risolvere in maniera pragmatica questioni concrete che hanno un impatto diretto sulla vita dei cittadini (registri catastali, diritti di proprietà, timbri alle dogane, attraversamento dello spazio aereo, partecipazione del Kosovo ad iniziative regionali, ecc.). Il primo round si è tenuto l’otto di marzo in un clima molto disteso e costruttivo. Questa è senz'altro una buona notizia, anche perché è il primo faccia a faccia di grande rilevanza politica. Il primo dopo l'indipendenza del Kosovo. Per Pristina però l'avvio del dialogo coincide con una fase politica agitata. Rapporto Marty,  arresti  di ex membri dell'Uck vicini a Thaçi ed altre grane, pesano sull'autonomia di un governo già debole e quindi più manovrabile. L'avvio del dialogo è avvenuto ad appena due settimane dal turbolento lavorio per la composizione del nuovo governo. A differenza di quello serbo, che da quando è in carica ha avuto modo di pianificare le sue idee -tra l'altro già risapute- e di condividerle con le varie componenti politiche, il team governativo di Pristina è partito alla volta di Bruxelles senza che se ne conoscesse la linea politica che avrebbe adottato. Naturalmente questo ha generato malcontento tra le varie forze politiche e di riflesso tra i cittadini kosovari. L''opposizione ha chiesto al governo di presentare in parlamento la propria linea strategica, di discuterla ed elaborarla insieme. Il debole governo Thaçi, temendo probabili frizioni per le diverse posizioni tra alcuni gruppi parlamentari, restii al dialogo con la Serbia, ha cercato la via più breve. In tutta fretta ha inviato al parlamento una bozza di programma e ne ha chiesto l'approvazione. In extremis, prima della partenza del team per Bruxelles, l'assemblea elettiva è riuscita a ratificare il documento con la risicata magioranza di 63 deputati. Il governo ha costituzionalmente il diritto di discutere su argomenti tecnici che riguardano il miglioramento della qualità della vita dei cittadini, anche senza chiederne preventivamente il parere al parlamento. Tuttavia è altrettanto vero che, qualora vengano raggiunti, l'assemblea sarà l'organo preposto alla ratifica degli accordi con una maggioranza di due terzi dei suoi membri. Sarebbe stato preferibile per questo governo trovare forza e "legittimazione" in parlamento , anche perché presto bisognerà fare i conti con i numeri che non ci sono. Se è vero che si tratta, come dicono tutti, di argomenti pratici che andranno a beneficio dei cittadini, è altresì vero che questo dialogo rappresenta per la Serbia l'ultimo stadio prima di entrare nell'Unione Europea. Oramai la strada per Belgrado è tutta in discesa. E' proprio questo a far preoccupare molti kosovari. Una condotta così blanda da parte del governo di Pristina e la mancanza di precise strategie potranno solo essere funzionali alla Serbia. "Belgrado aspira soltanto ad entrare in Europa per mettere poi il bastone tra le ruote al Kosovo, proprio come sta facendo in piccolo la Grecia con la Macedonia". E se avesse ragione Albin Kurti? 

giovedì 12 novembre 2009

10 ANNI FA L'INCIDENTE AEREO DEL PAM DIRETTO IN KOSOVO. 24 PERSONE A BORDO. TRA LORO ANCHE LAURA SCOTTI

"Non so cos'abbia questo paese. La gente mi ha catturato, i bambini mi hanno stregato. E non lasciano i miei pensieri..chissà. Però, che bello. Ho trovato la mia strada. E' stata la scelta giusta, oggi posso dirlo. Mai mi sono sentita immersa nel mondo come da quando lavoro in Kosovo. Posso toccare la vita, la osservo da vicino, partecipo del destino di qualcuno, dei bambini" Pensiero di Laura Scotti da I 189 giorni di Laura.

Sono passati dieci anni da quel venerdì 12 novembre quando l'Atr42, partito dall'aeroporto Ciampino di Roma e diretto in Kosovo, intorno alle 11.15, scomparve dai radar. Dopo una giornata di attese e ricerche i rottami dell'aereo vennero ritrovati sulle alture nei pressi di Mitrovica. In quell'incidente aereo persero la vita 24 persone di cui 12 italiani. Tra loro c'era anche Laura Scotti.
La prima giornata della Conferenza Internazionale sul Kosovo in programma a Roma dal 4 al 6 novembre è stata l'occasione per incontrare e ascoltare Francesca Mineo, autrice de "I 189 giorni di Laura", un libro che si legge tutto di un fiato, velocemente, proprio come è stata l'esperienza della protagonista, Laura Scotti. Un'esperienza, la sua, che ha lasciato impressi nella mente dei bimbi di allora ricordi che oggi vengono raccontati dai diretti protagonisti e raccolti in questo splendido libro. Francesca Mineo, pur descrivendo il Kosovo ai tempi di Laura, una terra martoriata dalla guerra da poco conclusasi, non si addentra nella farraginosità della politica, ma descrive eventi ancora più alti, perchè parla di quelle che sono le vere vittime delle guerre, i civili e i loro bambini e lo fa ricostruendo e ripercorrendo le giornate di Laura in Kosovo. Il libro, che racconta la passione, il lavoro senza orari, la determinazione, la simbiosi con i locali, le difficoltà del posto, le paure di Laura, mette in luce il carattere forte di una donna che rinuncia alle comodità di Milano per servire chi soffre, ma è allo stesso tempo un inno alla figura del cooperante in generale. Dietro la figura di Laura ci sono migliaia di giovani che vi si possono riconoscere, che hanno fatto e continuano a fare queste esperienze significative un po' ovunque nei paesi in via di sviluppo.


giovedì 5 novembre 2009

UNA FINESTRA SULLA CONFERENZA INTERNAZIONALE "PER UNO SVILUPPO IN PARNERSHIP ITALIA-KOSOVO"

Si è conclusa ieri la prima delle tre giornate organizzate da 7 ONG italiane impegnate da anni sul territorio kosovaro, iniziativa promossa con il contributo del MAE - Direzione Generale per la Cooperazione allo Sviluppo e il sostegno dell'Unità Tecnica Locale di Serbia, Montenegro e Kosovo. In Italia, paese in cui i Balcani ed in particolare il Kosovo sono notiziabili solo quando scorre il sangue o nell'aria c'è l'odore di polvere da sparo, un'iniziativa come quella in corso ricopre, senza dubbio, una posizione di grande valenza culturale per lo spessore dei relatori coinvolti e gli argomenti oggetto di analisi. Si tratta di una conferenza che, per quanto riguarda il "caso Kosovo", non ha precedenti e aprirà sicuramente percorsi nuovi nel modo di intendere la cooperazione allo sviluppo. Tra i partecipanti alle tavole rotonde previste all'interno della Conferenza ci sono i quadri istituzionali e personalità significative di entrambi i paesi, esperti e operatori delle ONG coinvolte nel progetto, i referenti più attivi che nel corso degli anni hanno lavorato dall'Italia e dal Kosovo sulle tematiche della cooperazione e dello sviluppo. Il risultato di questo interessante progetto di Educazione allo Sviluppo è stato la pubblicazione di un volume in cui sono raccolti i risultati dello studio-ricerca Paese, con tanto di riferimenti normativi, dati statistici, indicatori di analisi e di valutazione in cinque settori (minori, educazione, dialogo interetnico, agricoltura e microcredito) in cui si è maggiormente concentrata l'attività della Cooperazione Italiana in Kosovo. Il libro raccoglie oltre alle ricerche anche le esperienze delle Ong italiane attraverso i diversi progetti implementati sul campo e le buone pratiche da loro applicate; una mappatura aggiornata sul Paese, una finestra importante per chi vuole conoscere il Kosovo di oggi.

Per informazioni:
ONG Prodocs,
via Etruria 14 - 00183 Roma
+39 06 77072773
prodocs@prodocs.org , www.prodocs.org


lunedì 2 novembre 2009

PER UNO SVILUPPO IN PARTNERSHIP ITALIA - KOSOVO

4 - 6 NOVEMBRE 2009
Sala delle Bandiere
Ufficio del Parlamento Europeo in Italia
via IV Novembre, 149/A, Roma
L’Organizzazione Non Governativa PRO.DO.C.S., insieme alle Ong italiane Ai.Bi., CeLIM MI, C.E.S.E.S., INTERSOS, IPSIA e RTM, presentano la Conferenza Internazionale “PER UNO SVILUPPO IN PARTNERSHIP ITALIA/KOSOVO” che si terrà a Roma, presso l’Ufficio del Parlamento Europeo in Italia, dal 4 al 6 novembre. La Conferenza è il frutto del progetto di Educazione allo Sviluppo, “FORMAZIONE IN SCAMBIO ITALIA/KOSOVO PER UNO SVILUPPO IN PARTNERSHIP”, cofinanziato dal Ministero degli Affari Esteri italiano, in fase di realizzazione tra Ong e istituzioni kosovare e italiane, associazionismo e reti locali con il fine di unire peer education e ricerca per il rispetto dei diritti umani, del dialogo interculturale, della pace e del processo di democratizzazione. Alla Conferenza internazionale multilingue (italiano, albanese e serbo, inglese) partecipano autorità istituzionali italiane e kosovare. Le 7 Ong realizzatrici dell’iniziativa vogliono contribuire ad un processo di analisi della situazione del Paese Kosovo nei Balcani, proclamatosi unilateralmente indipendente dallo stato della Serbia nel 2008, e ad un confronto sull’evoluzione del rapporto tra Europa e Paesi dell’area balcanica, che sta ponendo sfide concrete alle politiche di buon vicinato dell’Unione Europea e alla questione dello “spazio europeo”. Quale ruolo può svolgere l’Italia nel favorire una “cittadinanza comune europea”? La riflessione parte dal contributo dato dall’Italia ai processi di sviluppo attraverso i programmi di cooperazione internazionale e decentrata, e alla lotta alla povertà in Kosovo nella decade 1999 - 2009, nonché sulla ricaduta di queste politiche nel territorio italiano.

sabato 19 settembre 2009

IL COSTO DEI MILITARI ITALIANI IN KOSOVO


I soldati dispiegati in Kosovo, secondo i dati della Kfor, sono circa 14 mila. Di questi, 1.935 sono italiani. Sono indispensabili tutti questi soldati nel Kosovo di oggi? Ci possiamo permettere i costi di queste spese militari? Sono domande legittime che dovremmo porre ai nostri politici.

La tragica morte che ha raggiunto i sei parà nel recente attentato in Afghanistan (vero teatro di guerra) ci dovrebbe spingere a riflettere sulla sorte dei militari italiani che prestano servizio in Kosovo (che non è, oggi, un teatro di guerra). Dai giornali alle trasmissioni televisive, si è letto e visto di tutto e il contrario di tutto in questi ultimi giorni. Sinceramente credo che il ritiro, per quanto riguarda l'Afghanistan, sia segno di immaturità nei confronti dei nostri alleati, per gli impegni presi con le Istituzioni Internazionali (impegni condivisibili o meno), e fonte di pericolo verso chi si trova costretto a restare nell’inferno afghano, siano essi militari Nato o popolazione civile. Sicuramente sarebbe stato meglio non avventurarsi in questa guerra. Anzi, sarebbe molto meglio non combattere nessuna guerra, ma mi rendo perfettamente conto che questo non è il migliore dei mondi possibili e che trovandoci nel pieno di una vera guerra, che miete numerose vittime, sia doveroso avviare un'approfondita analisi, lasciando fuori le strumentalizzazioni politiche. Tuttavia, in questo discorso si potrebbe forse anche includere la questione "Kosovo". Pur condividendo l'intervento Nato del 1999 in Kosovo, mi trovo oggi, a dieci anni di distanza, a domandarmi se non sia il caso, di fronte ad una situazione sociale e politica grosso modo normalizzata, di dimezzare il numero dei militari presenti lì. Si parla di crisi economica mondiale, di licenziamenti, di disoccupazione, di soldi che non ci sono, di riduzione del personale civile internazionale dispiegato in Kosovo (la cui utilità per la società e le istituzioni locali è senza dubbio preferibile a quella dei soldati, specie in contesti non pericolosi), di tagli per gli aiuti umanitari, si parla di tutto, ma dei circa 14.000 soldati della Nato (di cui 1.935 italiani, secondo i dati della Nato-Kfor aggiornata al 3 giugno 2009) nessuno ci dice nulla. I soldati dispiegati in Kosovo che continuano a restare, negli anni, inalterati nel numero hanno un costo. Sono indispensabili tutti questi soldati in Kosovo di oggi? Ci possiamo veramente permettere i costi di queste spese militari? Qual è il fine della loro presenza in questo piccolo paese uscito dalla guerra 10 anni fa? Sono domande legittime che dovremmo porre ai nostri politici, anche se temo che, semmai rispondessero, lo farebbero con il silenzio o le solite strumentalizzazioni. E' sotto gli occhi di tutti l'onestà e l'impegno che i nostri militari hanno prestato in Kosovo, uno dei primi contingenti ad arrivare sul posto e a difendere la popolazione serba ed i luoghi di culto ortodossi, a lavorare tra e per la società civile con uno spirito che molti ci invidiavano e ci invidiano ancora. Non è in discussione il servizio prestato dai soldati italiani, quanto il fatto che, di fronte ad uno scenario completamente migliorato rispetto a dieci anni orsono, e ad una crisi che in Italia non si ricorda dagli anni '40, sarebbero più che sufficienti la metà delle forze Nato oggi dispiegate. Va ricordato, anche se i nostri parlamentari per compiacere le potenti lobby militari non ne parlano mai, che i circa 2.000 soldati italiani e tutto l'armamento bellico al loro seguito, hanno dei costi ingenti,  di gran lunga maggiori rispetto alle mansioni che devono espletare. Una cosa è lo scenario di guerra afghano, altra cosa i milioni di euro che si continuano a spendere per le operazioni militari, in tempo di pace, in Kosovo. Tra queste voci rientrano gli alti salari che i soldati percepiscono (circa 4.500 euro al mese), le spese per i continui voli aerei dei militari da e per l'Italia, le spese di mantenimento delle strutture e dei veicoli in loco e da ultimo i milioni di euro per costruire un intero campo base, Villaggio Italia, chiamato appropriatamente villaggio perchè all’interno delle sue strutture permanenti ci sono indubbiamente più spazi di relax che altro. Se avete in mente le classiche caserme di provincia o la polvere e i containers dell’Afghanistan, siete fuori strada. Dovete prendere come punto di riferimento grandi chalet di legno e cemento, di quelli che si trovano nei nostri paesaggi alpini, ed immaginarli sistemati a mò di villaggio, con tanto di pizzerie, bar, sala intrattenimento, mensa-ma-che-mensa,ecc., per avvicinarsi alla realtà. Non è un’esagerazione se dico che la base militare è full optional, dotata di comodi divanetti, tavoli da biliardo, signorine del posto che servono bevande, rigorosamente made in Italy, e sigarette italiane senza monopolio, a prezzi da vero e proprio spaccio. Prosciutto, grana e bocconcini di mozzarelle non mancano mai. Si mangia solamente cibo italiano, per problemi legati all’uranio impoverito, dicono. Ah!! Però! L’uranio impoverito. Non si poteva pensare un posto più caldo e confortevole di quello che il buon gusto italiano ha creato nella base italiana di Peja/Pec. D’altra parte non potevamo certo correre il rischio che i nostri soldati si annoiassero durante i sei lunghi mesi di missione (passati quasi sempre in caserma, come fossero alla Cecchignola di Roma, ma con salari e costi immensamente più alti). Questo scenario si presenta simile al Quartiere Generale della Kfor a Pristina. La stradina dove si trovano tutti i locali per la ricreazione (pub olandesi, pizzerie e birrerie e negozi, meglio conosciuti come PX, che vendono tutto a prezzi stracciati) sembra ricordare, quanto al paesaggio, un tipico posto turistico di montagna. Più che a Malè sembra di trovarsi a Camigliatello. Va riconosciuto però che quelli non sono direttamente soldi di noi italiani, ma della Nato (il cui contribuente è anche l’Italia, però!). Non se la passano per niente male neanche i nostri 415 carabinieri dell’M.S.U a Pristina (fonte: Arma dei Carabinieri). Raccomando a tutti quelli che si trovano a passare in Kosovo di farsi ospitare per una cenetta nel loro ristorante, assaggiare un'ottima pizza cotta al forno a legna o riscoprire il profumo di Sorrento sorseggiando un buon limoncello. Non credo si possa presto avviare un serio dibattito politico in Parlamento per discutere dell’impegno dell’Italia nei teatri di guerra, di exit strategies in Afghanistan, di costo delle operazioni militari all’estero e della rivalutazione dell’impegno umanitario e di cooperazione. Spero, però, che gli italiani possano al più presto aprire gli occhi per vedere gli eccessi e veri sprechi delle operazioni militari all’estero che una ricca, e strapagata, classe politica ci tiene nascosti.

articolo pubblicato sul sito di Peacelink e Report On Line


martedì 27 gennaio 2009

LA VISITA DI JEREMIC IN ITALIA


Il Ministro degli Affari Esteri Franco Frattini ha incontrato nei giorni addientro l’omologo serbo Vuk Jeremic, a conclusione del Convegno celebrativo del 130° anniversario dello stabilimento delle relazioni diplomatiche tra i due Paesi, organizzato dall’Ambasciata serba a Roma e dal Centro Studi Strategici per l’Unione per il Mediterraneo, che ha evidenziato la specialità delle relazioni tra Italia e Serbia nei settori politico, economico e culturale.
Oggetto dell’incontro tra i due Ministri è stato il consolidamento della cooperazione bilaterale, il sostegno italiano al processo di integrazione euro-atlantica della Serbia e il dialogo sulle dinamiche regionali. A proposito del "caso Kosovo", il ministro serbo ha ribadito la contrarietà della Serbia alle decisioni che molte cancellerie europee, Italia inclusa, hanno preso circa l'indipendenza del Kosovo, ma, parole di Jeremic, "bisogna guardare avanti". Si spera che con il supporto del fratello italiano la Serbia possa trovare la leva giusta per fare il salto in Europa. E' stato questo il succo dell'intervista televisiva apparsa sulla tv italiana. Se a queste parole che segnano una onesta svolta politica seguissero fatti concreti, si registrerebbero, certamente, significativi progressi non solo per la Serbia, ma per buona parte dei Balcani.

venerdì 9 gennaio 2009

TUTTI A CASA

DA LETTERA22. Il dl varato dal governo e ormai pubblicato sulla Gazzetta ufficiale taglia oltre 100 milioni di euro alle attività civili. Penalizza gli Esteri e privilegia la Difesa. Toglie fondi a Ong e associazioni e favorisce la cooperazione dei militari. Dopo i tagli della Finanziaria che retocedono ancora l'Italia nel campo della lotta alla povertà, un giro di boa circondato da un grande silenzio. E da un altrettanto imbarazzato disagio...

KOSOVO: LA VOCE DEL CONIGLIO