lunedì 22 settembre 2008

SONO ROSE E FIORIRANNO (seconda parte)


Raggiungendo il quartiere Bosnian Mahalla dove ha sede il Community Business Youth Centre

La signora Hasime, albanese kosovara, ha molta dimestichezza con il Pajero che guida, donato anch’esso dai finlandesi. Ricorda affettuosamente il giorno in cui le è stata consegnata, “So bene che potrei, a questo punto, dopo l’usura degli adesivi attaccati sulle due portiere della macchina, toglierli” ammette, “Di per sé non è un gesto scorretto, certo, ma come si fa?” “Voglio esserli riconoscente”, aggiunge riferendosi ai finlandesi, “Anche con questo piccolo gesto”. L’inglese continua ad essere la principale lingua di comunicazione anche quando mi accompagna con la sua macchina, il Pajero appunto, al Bosnian Mahalla, un quartiere cuscinetto sito proprio tra la parte sud e quella nord di Mitrovica, dove incontriamo la sua collega e amica Olivera, direttrice della Women Business Association. Ci vivono tutte le etnie del Kosovo in questo solo quartiere, che anche per questo è piuttosto militarizzato. I soldati della Kfor continuano a svolgervi attività di controllo e peacekeeping. Noi parcheggiamo e in maniera del tutto naturale vedo Hasime attraversare la strada di questo posto di confine, (a pochi metri dalla zona serba), e salutare con affetto Olivera Milosevic nel Community Business Youth Centre che gestiscono insieme. Può sembrare un gesto di assoluta normalità quello del bacio tra due persone che si conoscono da tempo. Ma non lo è certo per chi vive da queste parti ed appartiene a due etnie“contrapposte” da decenni di tensioni e conflitti. Una volta terminate le presentazioni iniziali, con Hasime e Olivera parliamo in tutta tranquillità di politica e integrazione. Olivera espone chiaramente le sue idee, dimostrando subito di essere anche lei energica e determinata, mi spiega come mai lei sia così conosciuta e ben inserita nella città nonché alla guida di quest’attiva associazione creata nel 2004. “Sin da allora”, spiega la direttrice della WBA, “ci siamo occupate di lotta contro la violenza domestica sulle donne, campagne per il rispetto ambientale, organizzare incontri tra micro imprese di Mitrovica -sia Nord che Sud- che operano nello stesso ambito, supportare piccoli agricoltori, albanesi, serbi o di altre etnie, nelle loro attività, organizzare tornei di calcetto multietnici tra i più giovani”. Apprendo poi che la WBA organizza anche corsi di cucina (dolci), a cui partecipano soprattutto donne rom, poi ci sono anche corsi di informatica, inglese, artigianato, corsi sull’analisi del sangue, la misurazione del colesterolo. Nella lunga lista di attività, prosegue Olivera evidentemente orgogliosa, si sono occupate anche di una campagna contro il traffico di esseri umani. “Oggi con il WBA, che partecipa ad un progetto di sviluppo locale di UNDP siamo qui”, ci dice muovendo gli occhi ad indicare la bella ancorché semplice struttura del centro giovanile.
“Da un anno e mezzo gestiamo il Community Business Youth Centre nel Bosnian Mahalla”, ripete Hasime che traduce il discorso di Olivera dal serbo all’inglese, un centro voluto da ciascun leader di ogni gruppo etnico di Mitrovica e “fortemente desiderato da Unmik che ha chiesto proprio a noi di gestirlo” conclude. Nel centro c’è internet, 15 persone impiegate, tra cui albanesi, serbi, turchi e bosniaci. Il CBYC è un luogo di incontro e aggregazione per donne e uomini, soprattutto giovani. Soddisfatte Hasime e Olivera elencano le tante sfide vinte contro il muro di gomma che è Mitrovica ed, in particolare, alcune sue istituzioni locali, rivivendo le avventure e paure dei giorni della pulizia del fiume Ibar, confine improvvisato tra il nord e il sud della città e due mondi divisi. Anche Olivera descrive con fierezza quella fase come un momento di rottura di un muro di pregiudizi, ricordando che in quel progetto del 2006 lei ed Hasime erano riuscite ad impiegare quasi 200 persone di diverse etnie che guadagnavano grazie a loro 120 euro al mese (un salario medio mensile in Kosovo va dai 150 ai 180 euro al mese). Quest’ultimo aspetto viene ulteriormente sviluppato in un dialogo tra le due donne ed Olivera, in maniera diretta, afferma come quello economico sia un aspetto non trascurabile nel processo di pacificazione del Kosovo. “La gente più che sedersi intorno ad un tavolo tecnico appositamente convocato per parlare di pace o di analisi pacifica del conflitto, o di multiculturalismo, ha bisogno di mangiare e di mandare a scuola i propri figli”, sentenzia gelida. Hasime muove energicamente la testa mostrando la sua piena condivisione di tale analisi.

leggi la prima parte

seguirà terza ed ultima parte con CBM (Community Building Mitrovica)

sabato 20 settembre 2008

LA GUERRA INFINITA DI IACONA E L'AVVOCATO DEL DIAVOLO


Ieri sera è andato in onda su Rai 3 un reportage sul Kosovo dal titolo “la guerra infinita”. Dal mio personale punto di vista è stato un pessimo servizio offerto ai telespettatori in quanto non completo, ma fazioso e irrispettoso nei confronti di tutti coloro che non sono riusciti a sfuggire alla violenza etnica perpetrata per tanti anni nei confronti dei kosovari di etnia albanese. Un'ingiustizia nei confronti dei telespettatori e della storia. Una premessa risulta però doverosa. Il blog sul quale scrivo cerca di parlare del Kosovo e di tutte le sue sfaccettature. Sono testimonianza i post scritti nel tempo. Ho parlato di rom e di serbi, ho criticato comportamenti immaturi di kosovari albanesi così come le misure politiche serbe che ho ritenuto sbagliate, ho parlato di integrazione e di criminali albanesi. Non voglio aggiungere altro su questo fronte. Non ho bisogno di giustificarmi comunque. In questo momento mi sento però di dover far luce su un'aspetto chiave della vicenda serbo-albanese che il servizio del giornalista Riccardo Iacona ha tenuto nascosto. Il reportage, poteva essere un ottima vetrina per raccontare l’ultimo capitolo delle guerre balcaniche con occhio serio, professionale ed equidistante, informando il pubblico sulle mostruosità commesse dai serbi, dagli albanesi e dai criminali che in guerra, in tutte, macinano profitti. È stata però raccontata con molta superficialità, scarsa conoscenza del territorio e mancanza di etica professionale una parte della storia, quella cioè del barbaro albanese passato per “criminale, terrorista, violento, corrotto ed un po’ contadinotto” che uccide senza scrupoli e per il solo odio etnico il serbo "buono, padre di famiglia, lavoratore, studente e di sani valori". Questo mi si è presentato davanti agli occhi. Non ho nulla da obiettare su tutta la seconda parte del servizio, sulla criminalità organizzata che c'è e governa il Kosovo, su Ramush & co, sull'UCK e i criminali che vi fanno parte, sulle morti misteriose di giornalisti e testimoni. E' stato messo in luce un aspetto interessante e che dovrebbe far riflettere tutti circa il destino del Kosovo, far riflettere sull'integralismo di alcune scuole yemenite prosperate negli ultimi anni e sul traffico di droga, armi e criminalità organizzata fin dentro la politica.
Altra cosa è la prima parte.

Questa è la premessa-presentazione che circolava un po' su tutti i siti di informazione:
Riccardo Iacona ricostruisce minuziosamente la terribile pulizia etnica di cui sono stati vittime i kosovari di etnia serba. Dal 1999, da quando la NATO ha vinto la guerra contro la Serbia e insieme alle Nazioni Unite ha preso il controllo del Kosovo, 250.000 serbi sono stati cacciati dal Kosovo solo per ragioni di odio etnico, solo perchè serbi. Le loro case sono state bruciate, le loro terre sono state devastate, le loro chiese sono state distrutte, anche le più antiche e preziose, quelle del 1300, i loro cimiteri sono stati profanati a colpi di pala e di piccone, interi quartieri sono stati messi a fuoco solo per impedire ai serbi che vivevano lì da centinaia di anni di poterci ritornare. Nonostante la presenza della Nato gruppi armati di kosovari di etnia albanese hanno messo in atto una delle più sistematiche e feroci pulizie etniche che l’Europa ha vissuto dopo la seconda guerra mondiale, distruggendo così l’idea stessa di un paese multietnico che pure era stata all’origine della campagna militare della NATO contro la Serbia. Ma c’e’ di più: in questi nove anni il Kosovo e’ diventato la porta principale di ingresso della droga nel nostro Paese e in tutta Europa; e, sempre nonostante la presenza della Nato e delle Nazioni Unite il Kosovo si e’ trasformato in una piccola Colombia, un Narcostato nel cuore dell’Europa. I numeri sono impressionanti: l’80 per cento di tutta la droga prodotta in Afghanistan per entrare in Europa passa dalle valli e dalle montagne del Kosovo “liberato”. Le enormi ricchezze accumulate con il traffico della droga hanno reso potenti all’estero e in patria i clan mafiosi kosovaro albanesi, capaci di inquinare in profondità i partiti che oggi guidano il Kosovo, gettando così un enorme punto interrogativo sulla natura democratica del nuovo Stato nato il 17 febbraio di quest’anno con un atto unilaterale. Ma le strade aperte della droga e delle armi che la Nato non e’ riuscita in questi nove anni di protettorato a chiudere, sono anche quelle da cui passa il terrorismo internazionale di matrice islamica".

La trovo raccapricciante. Iacona, nella prima parte, è partito per raccontarci l'atroce storia del conflitto kosovaro escludendo a priori una parte consistente dei fatti. Per i serbi la loro storia recente inizia a marzo del '99 (il 26 hanno inizio i bombardamenti della Nato), per gli albanesi, invece, qualche anno prima. Dispiace constatare che anche per molti "quotati" giornalisti italiani - Iacona per sfortuna non è il solo- i problemi del Kosovo iniziano subito dopo i bombardamenti.....Quasi non facesse parte della loro etica professionale raccontare (e ricordare ai tanti) le mostruosità degli anni '90 commesse in Kosovo. Perchè la storia recente inizia da lì!! Non si può iniziare a descrivere un evento incominciando la narrazione già da metà della storia, saltando tutta la prima parte, caro dottor Iacona!!! Questo è quello che ha fatto, facendo un torto a tutti noi spettatori, oltre che alla storia. Il macabro disegno criminale serbo (di questo si è trattato) perpetrato ai danni della popolazione di etnia albanese negli anni precedenti, andava raccontata con la stessa minuziosità con la quale è stata descritta la violenza albanese ai danni dei serbi (vedi puntata di ieri). Nessun cenno, nessuno. Come mai questo silenzio? Noi telespettatori paganti del servizio pubblico abbiamo mandato con i nostri soldi un professionista in giro per quasi un anno, dal Kosovo alla Macedonia, dalla Turchia all’Afghanistan, per raccontarci poi “fregnacce” come dicono ironicamente a Roma.
Un approccio giornalistico, già viziato fin dalla pubblicizzazione dell’evento e che è venuto fuori in pompa magna durante il servizio. Iacona ha mostrato tanta antipatia per i kosovari albanesi e tanta humana pietas per le povere vedove serbe. Ho notato, e mi è stata data conferma da vari amici che hanno visto il servizio, come la voce tradotta dal serbo in italiano aveva un tono commosso, ed assumeva aspetti quasi arroganti quando la stessa riportava la testimonianza dell'albanese. All’ottimo maquillage ben riuscito, Iacona ha anche pensato di riportare dati inesatti e falsi. È bene ricordare ai pochi che leggeranno questo post, anche se il danno ormai è stato fatto, che Gracanica non è una prigione a cielo aperto, dove vive l'estrema povertà serba, dove i serbi vivono sotto minaccia quotidiana, dove ci sono soltanto 4 negozietti serbi improvvisati, e che le pensioni da Belgrado (per i soli cittadini serbi) non sono da fame, che a Pristina non vivono 40 serbi e a Obliq solo 2 anziani e che sia una vergogna che una chiesa sia un obiettivo militare da difendere!........Lo chieda ai serbi che fine hanno fatto fare alle moschee, a quella che si trovava a Mitrovica a ridosso del ponte sull’Ibar nel lato nord????, lo faccia sapere ai telespettatori..... Mi auguro che presto ci possa essere una successiva puntata che possa descrivere per bene quanto successo prima.
Alla fine non ho prestato fede alla premessa di sopra e ho finito per fare l'avvocato del diavolo.

Tutte le foto sono di Halit Barani scattate in qualità di Direttore del Centro per i Diritti Umani e le Libertà - Ufficio di Mitrovica. Barani, con scrupolo e puntualità è riuscito a documentare le violenze commesse durante gli anni novanta in Kosovo.

mercoledì 17 settembre 2008

IN EVIDENZA

Neanche all'oriente piace più il Kosovo

Vorrei segnalarvi un articolo apparso questa mattina sul sito de il legno storto. L'argomento è molto interessante e merita riflessione. Si ricollega a quanto riportavo ieri a proposito del riconoscimento dell'indipendenza del Kosovo, anche se questa volta l'attenzione è rivolta verso i paesi musulmani (circa il 90% dei kosovari è di fede musulmana) che da giorni sono riuniti nell'annuale Conferenza Islamica.



martedì 16 settembre 2008

QUOTA 47

Lo stato di Samoa è il 47° paese ad aver riconosciuto il Kosovo. In un comunicato stampa il Ministro degli Esteri del Kosovo afferma che il governo di Samoa ha indirizzato una lettera al Presidente del Kosovo, Fatmir Sejdiu. L'oggetto della missiva è il riconoscimento dell'indipendenza. "Ci auguriamo che l'indipendenza del Kosovo possa ottenere riconoscimenti sempre più ampi al fine di poter chiudere il conflitto degli anni '90" è riportato nella nota. Tra i paesi che hanno riconosciuto il neonato stato, Afghanistan in testa, figura anche l'Italia che ha riconosciuto il Kosovo il 21 febbraio.

in verde i paesi che hanno riconosciuto formalmente l'indipendenza del Kosovo.




la lista completa dei 47 paesi è consultabile qui





lunedì 15 settembre 2008

SONO ROSE E FIORIRANNO


Nella variegata città divisa di Mitrovica vivono serbi, albanesi, gorani, bosniaci e rom. Fattore critico di questo colorato aspetto sono però fratture e divisioni interetniche che rimangono molto pronunciate a tal punto che, come spesso avviene, proprio nella città dove la presenza di diverse comunità è più forte e visibile, più marcati sono i contrasti. È risaputo infatti che la città, non soltanto per la netta divisione tra serbi e albanesi, è la più problematica del Kosovo. Attore determinante nella ricomposizione del complesso puzzle dovrebbe essere la società civile della città sul fiume Ibar, i più giovani in primis, con l’essenziale supporto di donne talentuose e determinate,con l’accondiscendenza tacita della politica tout court. Il ruolo delle donne, qui come in numerosi altri contesti simili, è sempre stato di vitale importanza per la ricomposizione sociale. Sono in tanti ad aver da tempo capito questa forza, Unmik e molte altre organizzazioni internazionali, agenzie governative e Ong, ed ora anche la maggioranza dei suoi cittadini. Mitrovica, così come tutto il Kosovo, pullula ancora oggi di associazioni no profit e non, nate nella maggior parte dei casi subito dopo la guerra, alcune con un buon intento, altre più semplicemente per intercettare l’importante flusso di denaro del periodo post bellico. Nella città divisa proprio per la delicatezza del contesto sono attive, e in molti casi ben strutturate, varie organizzazioni multietniche, alcune nate per la sola iniziativa di donne.
Durante la calda estate kosovara ho incontrato e dialogato con le responsabili di alcune delle più significative realtà associative di Mitrovica, Mundesia, Women Business Association e Community Building Mitrovica.

Da Mundesia
La giovane ed energica Hasime Tahiri è la direttrice di Mundesia, che in albanese vuol dire “Possibilità”. “L’Ong è nata più di sei anni fa”, mi dice con il suo fluente inglese, “per iniziativa del governo finlandese”. L’idea iniziale che ha portato alla nascita dell’associazione è stata data da una risoluta donna finlandese, Kaisa Penttinen, del Finnish Refugee Council. Hasime era inizialmente il Local Coordinator di questa creatura appena nata, ed a lavorato tanto prima di diventarne la diretta responsabile, seguendo insieme alle sue colleghe numerosissimi trainings e tanta formazione mirata, in Kosovo come in Finlandia. Attualmente intorno a Mundesia ruotano 140 membri – tutte donne dai 17 ai quasi 80 anni– che pagano una piccola quota associativa di 2,50 euro l’anno. “È una cifra simbolica”, tiene a precisare la signora Hasime, spiegando anche come sia impossibile agire diversamente, “Quello che le donne pagano è logicamente una cifra inconsistente per il nostro budget, ma ci teniamo a che paghino tale quota per responsabilizzarle sempre di più”. “Noi viviamo del prodotto che realizziamo, e non certo per via di questa quota” sottolinea. Mundesia inizialmente si proponeva soprattutto di promuovere e rafforzare le opere artigianali delle donne di Mitrovica, come vestiti e tappeti, ed oggi con le sue attività sostiene campagne volte a sensibilizzare e istruire le donne, si impegna nella raccolta fondi per i suoi diversi progetti, senza dimenticare la vendita di manufatti la cui qualità è migliorata negli anni grazie a numerosi corsi. Nella loro struttura, un palazzo di 3 piani ben tenuto che il governo finlandese ha donato loro nei primi anni, le operatrici organizzano inoltre momenti di lettura, escursioni, fiere a Pristina, Peja e nei paesi confinanti. Insieme queste donne sempre indaffarate lavorano, parlano, discutono di tutto, macinano progetti e inseguono sogni. Molti di questi sono così andati in porto:
- nel 2005 hanno portato avanti un progetto in collaborazione con una organizzazione serba di Novi Sad. Il progetto aveva il fine di analizzare come fossero rappresentate e presentate le donne in politica sui quotidiani nazionali.
- hanno implementato un progetto con la Swiss Development Cooperation il cui fine era quello di supportare a livello educativo e formativo le donne rom del quartiere Roma Mahalla di Mitrovica
- hanno organizzato una fiera espositiva al Bosnian Mahalla, un quartiere multietnico della città
- da due anni lavorano con la Women Business Association, un’associazione serba di Mitrovica Nord, insieme alla quale, con il supporto di Unmik gestiscono il Community Business Youth Centre nel Bosnian Mahalla.
Nel 2006 Mundesia ha inoltre lavorato ad un importante progetto volto a ripulire ambe le sponde del fiume Ibar. Era il luglio del 2006, e quello è stato il loro primo progetto in collaborazione con la Women Business Association della signora Olivera, mi spiega Hasime. 170 persone, membri di tutte le comunità etniche di Mitrovica, vi hanno lavorato per più di 5 mesi. “Le minacce e i rischi erano altissimi nella fase iniziale e per tutta la durata del progetto, anche per questo eravamo molto attente a scegliere le persone che dovevano lavorarci, cercando di scartare a priori quelle che potevano creare dei problemi” sottolinea la direttrice di Mundesia. Non sono mancati i batticuori, ricorda ancora, ripercorrendo col sorriso la fase finale in cui il successo del progetto era ormai evidente, tanto che sono riuscite a portare a casa il secondo premio di UNDP Global.

leggi la seconda parte

venerdì 12 settembre 2008

FINANZIARIA: TAGLI E COOPERAZIONE


Di seguito la lettera che il Presidente dell'Associazione ONG italiane ha inviato ai membri di Camera e Senato.

Sergio Marelli
Giovedi' 11 Settembre 2008


Egregio Senatore,
Egregio Onorevole,

Come lei ben sa, la scorsa settimana il Governo ha avanzato la proposta di procedere, con la legge Finanziaria per il prossimo anno, ad un taglio degli stanziamenti per la cooperazione allo sviluppo e gli Aiuti ai Paesi poveri di oltre la metà delle risorse allocate lo scorso anno. Qualora confermata, una simile riduzione, senza precedenti, porterebbe la percentuale del PIL destinata alla lotta alla povertà allo scandaloso livello dello 0,1% quando, come noto, il nostro Paese ha formalmente assunto impegni vincolanti con la comunità internazionale per stanziare entro il 2010 lo 0,51% quale tappa intermedia per raggiungere lo 0,7% previsto per il 2015.

Una notizia che è sopraggiunta in contemporanea al Forum di Alto Livello sulla efficacia dell’utilizzo degli aiuti allo sviluppo, tenutosi ad Accra dal 2 al 4 settembre, e alla vigilia della sessione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite che, il prossimo 25 settembre, dovrà valutare i progressi compiuti nel raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio.

Già solo da un punto di vista della credibilità del nostro Paese, nei confronti degli altri Paesi donatori e dei Paesi poveri dei Sud del mondo, l’eventuale conferma di un simile disimpegno pregiudicherebbe definitivamente il ruolo che l’Italia, in quanto membro del G8 e Paese che si appresta a rilevarne la presidenza di turno, in vista del prossimo Vertice del 2009, potrà giocare in futuro nelle decisioni di politica internazionale.
Ancor di più, una decisione di questa gravità, qualora confermata, sancirebbe una visione miope non solo di come garantire le condizioni di una convivenza pacifica mondiale, ma anche in definitiva rispetto al diritto di sicurezza dei nostri concittadini.
Pace, sicurezza e prosperità vanno di pari passo con i diritti fondamentali garantiti ad ogni essere umano tra i quali, innanzitutto, quello di godere di condizioni di vita dignitose.

Nei prossimi giorni, il Parlamento sarà chiamato a discutere e poi approvare la legge Finanziaria.
E’ per questo che ci rivolgiamo ad ognuno di voi, indipendentemente dalla vostra appartenenza di partito, e forti dell’esperienza comprovata negli anni circa la sensibilità trovata in Parlamentari di tutti gli schieramenti e le culture politiche, affinché si ponga rimedio a questa vergognosa proposta di drastico taglio dei fondi per gli Aiuti ai Paesi poveri rimettendo l’Italia nella giusta direzione di un impegno crescente nel sostenere la cooperazione internazionale e gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio.

Coscienti della non facile situazione economica in cui verte il nostro Paese, crediamo fermamente nella possibilità di reperire le risorse necessarie per una priorità etica nei confronti delle popolazioni povere, passo fondamentale per garantire un futuro sostenibile alle generazioni future, anche del nostro Paese.

Quello che è in gioco è l’assicurare alla comunità internazionale di poter ancora contare sull’Italia come partner affidabile nella lotta alla povertà e nella costruzione della pace e della sicurezza, che non può che essere perseguita attraverso la promozione di un mondo fondato sui diritti umani, sulla giustizia sociale e sulla dignità di ogni persona.

Certi che Ella vorrà adoperarsi con ogni mezzo per porre rimedio a questa incresciosa situazione, resto a Sua completa disposizione per ogni eventuale necessità.

Distinti saluti

venerdì 5 settembre 2008

NARRAT


Per tutto il periodo estivo l’argomento Kosovo sembra sia rimasto all’ombra, lontano dai riflettori mediatici, o meglio, pare sia stato preso di striscio dalle nostre televisioni solo per via della triste vicenda avvenuta quest’estate in Georgia, che molti analisti hanno, appunto, considerato strettamente connessa a quella kosovara. Sarà pur vero (?), ma io sono più propenso a considerare la complessità di questo o quell’evento come caso particolare. Il Kosovo lo è. Non voglio addentrarmi nell’argomento, ma soltanto mettere in luce lo strano caso del dottor Jekyll, ovvero il temutissimo Putin, lo Zar di Russia. Putin, ha infatti combattuto tenacemente ed a lungo la sua battaglia sul Kosovo, difendendo a spada tratta la causa degli “amici” ortodossi della Serbia, per poi giocare (è un eufemismo) in Abkhazia e Ossezia del Sud con gli stessi mezzi e strumenti (diplomatici e non) che, per quanto concerne il Kosovo, ha sempre combattuto e ostacolato. Da questo comportamento una cosa si evince in tutta chiarezza, ovvero che gli "amici" serbi sono rimasti isolati, o detta diversamente, gli "amici" russi non erano veramente tali. Cosa si prospetterà in futuro in Kosovo è difficile diagnosticarlo tanto ingarbugliata appare la matassa del pregiato tessuto. Il punto sul quale voglio soffermarmi è altro, molto più leggero. Il Kosovo è da più di sei mesi (17 Febbraio 2008) uno stato indipendente riconosciuto da 46 paesi. Ha fatto ancora poco (e gli americani in varie occasioni non hanno mancato di farlo presente) per sensibilizzare altri stati a muoversi positivamente verso il loro riconoscimento. Non faccio un torto a nessuno se dico che la classe politica kosovara non ha la stoffa per essere chiamata tale. Comunque sia, e vengo al dunque, nonostante le tante difficoltà economiche e sociali che attanagliano il paese, la classe politica è più che mai convinta di voler dedicare un prezioso capitolo delle sue voci di spesa al fine di creare le proprie strutture diplomatiche in almeno alcuni paesi, ritenendolo di vitale importanza. Si vuole così al più presto iniziare con i paesi di grande rilevanza per il Kosovo (USA, Germania, Svizzera, Austria, Italia, Albania) per poi via via continuare con gli altri, budget permettendo. Per quanto ci riguarda, risulta che siano iniziati una serie di contatti e trattative per identificare una figura seria e di spessore per l’Italia. Si vociferava che un buon pretendente potesse essere un tale ARSIM BERISHA, un kosovaro residente in Italia da molti anni, in particolare a Castelfranco, che pare sia un ferroviere. Persona comunque molto conosciuta e stimata tra i suoi connazionali residenti in Italia. È notizia di questi giorni che questo nome, che circolava sotterraneo fino a qualche mese addietro, sia stato però scartato per far spazio ad un altro. Nella lista dei pretendenti alla carica di ambasciatore del Kosovo in Italia, è spuntato adesso il nome di ALBERT PRENKAJ. Il signor Prenkaj pare sia ben accetto tra gli ambienti vaticani. A differenza di Berisha, musulmano, Prenkaj è infatti di fede cattolica. Differenza questa non da poco per un futuro ambasciatore in uno stato governato –o quasi- dalla Chiesa cattolica. In questo gioco di nomine, non è certo da escludere la possibile influenza del Vaticano, per il tramite forse di un suo braccio tecnico, la Comunità di Sant’Egidio, molto forte ed influente in Kosovo. Non c'è ancora nulla di ufficiale in merito, né sul se e quando verranno aperte le Ambasciate del Kosovo, ma il totoambasciatori, in un paese dal clientelismo diffuso, è adesso entrato nel vivo della battaglia.

nella foto in alto la Chiesa cattolica di Klina

KOSOVO: LA VOCE DEL CONIGLIO