mercoledì 19 novembre 2008

KOSOVO: VOCI DELL'ULTIMO INVERNO



Il testo di seguito riportato è il contenuto di una videogallery ideata e realizzata da me e l'amico fotografo Ignacio Maria Coccia e che presto verrà pubblicata. Il titolo del reportage prende spunto dall'ultimo viaggio di Ignacio in Kosovo, l'inverno del 2007-2008. Ignacio ha messo a fuoco una quotidianità fatta di lavoro, casa, spiritualità, rispetto e culto delle tradizioni ancora sentite. E' forse la quotidianità vissuta fino in fondo a fare da antidoto, pur se fugacemente, alle malinconie e alle paure che scaturiscono dall'incertezza. Ma potrebbe essere invece proprio la speranza l'antidoto più efficace. La luce della speranza e della rinascita proprio come quella che si percepisce nell'aria ogni volta che un inverno finisce. Ho abbracciato in toto la filosofia e il messaggio di Ignacio che è riuscito a esprimere pienamente l'essenza più intima e vera di quella pluralità di anime che vivono oggi il Kosovo.


























Sono passati nove anni dalla fine dei bombardamenti NATO che hanno chiuso l’ultimo capitolo delle guerre jugoslave. L’inverno è nel pieno delle sue forze e lo strato bianco di gelo ricopre Pristina, la capitale del Kosovo. Il freddo pungente di fine anno sembra contrastare con il caldo clima politico di questo periodo. L’agenda politica internazionale e locale è cadenzata, infatti, da una serie di appuntamenti cruciali per il destino del Kosovo. Il 17 novembre si sono tenute le elezioni politiche ed il nuovo governo si è appena instaurato. Anche la decisione finale sullo status è argomento di questi giorni. La proclamazione dell’indipendenza era stata fissata inizialmente per il 10 dicembre. I memoriali di storia ci ricorderanno invece un’altra data: 17 febbraio 2008. Freddo e fervore politico segnano la vita del popolo kosovaro, nella sua interezza e varietà. Qui tradizione, rispetto, forti legami familiari e senso di appartenenza sono ben visibili. Serbi e albanesi, le due principali etnie del Kosovo, quasi in maniera forzata cercano di esprimere in toni religiosi oltre che culturali e linguistici, differenze che sembrano inavvicinabili. La loro quotidianità e la loro spiritualità hanno calendari differenti. Quello che molti potrebbero considerare una ricchezza, la spinta propulsiva di uno Stato, qui in Kosovo è ancora oggi segno di divisione. Il Kosovo è un piccolo stato da poco indipendente, riconosciuto da un quarto dei paesi del mondo. L’ex provincia autonoma della Serbia è un territorio grande all’incirca quanto la regione Umbria. Anche se le ultime statistiche risalgono al periodo jugoslavo, le stime parlano oggi di una popolazione poco superiore ai due milioni di abitanti, dei quali poco più del 90% è di origine albanese, il 7% circa sono serbi, mentre la restante parte comprende turchi, bosniaci, RAE (rom, ashkali, egiziani) e gorani. Tra loro anche croati. Nonostante l’ingente flusso di denaro arrivato in Kosovo durante tutti questi anni tramite i canali umanitari di intervento e ricostruzione post-bellica, problemi economici e sociali permangono numerosi. Le scarse vie di comunicazione, gli inefficienti servizi pubblici ed i continui black-out elettrici, attanagliano il Kosovo. La centrale termoelettrica di Obliq, che funziona a lignite, produce più inquinamento che energia. La corrente elettrica salta continuamente. Da Pristina, la capitale, cuore della classe politica nazionale e sede delle rappresentanze internazionali, alla periferia, sia esso il villaggio albanese o la militarizzata enclave serba, la corrente può mancare anche 10 ore al giorno ad intervalli mai regolari, e per questo non programmabili. Con tali premesse lo sviluppo economico è ancora lontano, e di riflesso, anche la riconciliazione sociale sembra subirne i contraccolpi. Il Kosovo, lo stato più giovane del mondo, conta anche la popolazione più giovane d’Europa: secondo stime dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro, i giovani sotto i trent’anni di età rappresentano il 62% della popolazione. Quella che è la forza trainante di ogni società – i suoi giovani appunto- potrebbe presto rivelarsi, per quel che riguarda il Kosovo, un grosso problema di ordine sociale da gestire nel prossimo domani qualora i tassi di disoccupazione continuassero ad attestarsi sulle cifre indicate dall’ILO (47%). Nonostante la forte presenza di strutture di monitoraggio internazionali, il Kosovo non è riuscito ad intraprendere quello sviluppo socio-economico possibile (grazie soprattutto agli ingenti fondi del dopoguerra), mentre appare vinto da perverse spinte centrifughe. Oggi, quello che balza agli occhi è un incontrollato boom edilizio che coinvolge pochi, fatto di innumerevoli piscine, campi da calcio, più di duemila rifornimenti di benzina e complessi alberghieri senza alcuna prospettiva di sostenibilità. Con un salario medio mensile di 180 euro ed un costo della vita simile all’Italia tutto questo appare surreale e sembra avvalorare la tesi del riciclaggio di denaro sporco e del sostegno della classe politica kosovara a questo malsano processo di sviluppo. Il riconoscimento dell’indipendenza del Kosovo da parte di numerosi governi è giunto anche perché questo nuovo stato è riuscito a raggiungere nel tempo standards legislativi avanzati e ben definiti in diversi ambiti, dalla tutela del patrimonio artistico e religioso, alla tutela delle minoranze ed il rispetto dei diritti umani. Ma numerose leggi hanno avuto scarsa applicabilità in casi concreti. E’ avvenuto così che l’indipendenza non ha risolto problemi economici e sociali ben radicati in questo piccolo territorio, non da ultimo lo storico contrasto etnico tra serbi e albanesi. La minoranza serba è oggi quella che paga più a caro prezzo sulla propria pelle gli ultimi anni di storia politica del Kosovo. Dal dopoguerra in poi il numero dei serbi kosovari è diminuito sensibilmente. Forte è stato il desiderio di continuare a vivere nel luogo in cui sono nati. La mancanza di alternative poi, anche per motivi prettamente economici (non potendosi comprare un’altra casa in un posto più sicuro) ha spinto la gente a resistere giornalmente contro il muro di gomma fatto di mancanza di dialogo e non integrazione. Le cicatrici lasciate dalla guerra sono ancora aperte. Le limitazioni di movimento e i problemi di ordine sociale sono il caro prezzo che i serbi kosovari pagano quotidianamente. Siano essi abitanti di Mitrovica, la più grande realtà serba del Kosovo, o delle enclaves presenti a macchia di leopardo nel Kosovo centro-meridionale, come Velika Hoca o Goradzevac, la differenza è poca. Oggi la popolazione di etnia serba si trova ad un bivio di vitale importanza e le testimonianze di molti serbi lo confermano. Dovranno presto scegliere tra la continuità con il passato, segnata dalle richieste di Belgrado di sostenere una politica di chiusura e rigidità nei confronti delle “illegittime” istituzioni kosovare, oppure l’integrazione, il dialogo, per una piena partecipazione, anche dei cittadini serbi, alla vita politica e sociale di un paese che è anche il loro.



L'intero lavoro fotografico è consultabile sul sito del fotografo
www.ignaciococcia.com


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