venerdì 7 gennaio 2011

MITROVICA DO BRASIL


E' definita la Berlino dei Balcani, il luogo dove è tangibile la divisione della città tagliata in due da un muro invisibile, ma altrettanto invalicabile, come il fiume Ibar. Conosciuta come Mitrovica, il suo nome cambia a seconda che sia un serbo a pronunciarlo (Kosovska Mitrovica) o un albanese (Mitrovicë). Mitrovica è diventata dal dopoguerra in poi la città simbolo dell'odio etnico tra serbi ed albanesi, una cittadina che ha conosciuto, in diverse occasioni, accesi scontri tra queste due principali etnie.  L'ex polo minerario della Repubblica di Jugoslavia spesso finisce sulle prime pagine dei giornali per le rivolte di cui si rende protagonista, per i traffici illeciti da e con la vicina Serbia e il Montenegro. Sempre la prima in classifica per vicende negative e mai per buoni propositi, vorrei ricordarla, adesso, per le potenzialità dei suoi giovani.  Con poco meno di centomila abitanti (20 mila serbi e 80 mila albanesi) la sola cittadina di Mitrovica conta ben cinque giovani professionisti del pallone che hanno militato o militano in famosi clubs europei (Milan Milanović, Riza LushtaMiloš KrasićValon BehramiNikola Lazetić). Forse qualche altro nome mi sarà sfuggito, ma sicuramente già con una media del genere Mitrovica andrebbe ricordata per questo caso abbastanza singolare e riconosciuta in tutto il mondo con il nome di MITROVICA DO BRASIL.


2 commenti:

katrina ha detto...

Calciatori brasiliani e calciatori balcanici. Pari attitudine, ma istanze, pulsioni, motivazioni e stili di gioco lontanissimi….Nei primi prevale l’ aspetto ludico: giochetti,doppipassi, veroniche….spesso a vuoto. I balcanici invece…… per effetto del transfert, ogni campo da gioco diventa fatalmente campo di battaglia, ogni prestazione sportiva, riscatto di un popolo. Basta guardare Krasic, faro della Juventus. Il suo modo di giocare a calcio, di ludico ha poco. Incursioni, avanzate, scardinamento di difese. Efficace, rapinoso. Devastante. Soffre per la sua gente, i serbi del Kosovo, oggi in pesante difficoltà, e la sua rabbia in campo diventa agonismo, forza interiore, ispirazione superiore.
Queste le sue parole: “ Noi serbi non vogliamo essere stranieri nella nostra terra, ci batteremo per rimanere lì…”
Gestire i conflitti dell’ anima, saper incanalare le pulsioni in fini legittimi e obiettivi leciti è segno di maturità, di uomini e popoli.
Krasic e la sua generazione lo stanno facendo.
Ora, pare che arriverà in Italia anche Behrami, kosovaro albanese. Si daranno battaglia, ma solo sul rettangolo verde.
E alla fine della partita, li vedremo guardarsi negli occhi, scambiarsi le maglie, e darsi la mano.

Katrina

Raffaele Coniglio ha detto...

Ciao Katrina,
sarebbe molto bello, ma forse la scena dello scambio della maglia non la vedremo mai perchè il mondo del calcio è un ottimo amplificatore di messaggi politici e di idee, meglio se radicali.

Raffaele

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