Il 3 Luglio, in occasione dell'inaugurazione della mostra fotografica "Kosovo: incertezze e sogni" verrà presentato il volume fotografico che la Paoletti D'Isidori Capponi Editori ha pubblicato. Il libro, con la prefazione dell'Ambasciatore d'Italia in Kosovo, Micheal L. Giffoni, testi di Ennio Remondino, Renata Ferri e del sottoscritto, è meraviglioso. Ovviamente il mio giudizio è molto fazioso.
"Kosovo, incertezze e sogni”. Lo sguardo altro. Ogni luogo è una suggestione. Nessuno escluso. Per un fotografo, un’occasione per guardare con gli occhi del narratore. Però il Kosovo è più di un pretesto visivo. E’ il “luogo” del nostro presente. La nostra guerra contemporanea, quella che ci ha sfiorato. Proprio qui, sotto casa, al di là del mare delle nostre vacanze. Qui è successo quello che non avremmo mai immaginato. Increduli abbiamo seguito le cronache, atteso gli sviluppi. Ci siamo indignati, sconvolti. Abbiamo sofferto, per giorni che sono diventati mesi e poi anni. Immagini a flusso continuo sono arrivate puntuali, drammatiche, intense. Abbiamo guardato e sperato. Letto ogni diario, cronaca del presente così vicino eppure così diverso. Noi, artefici dell’informazione visiva, creatori di storie, attenti ogni volta al mondo circostante siamo stati spiazzati, disarmati di fronte a quello che non cessava di essere. La guerra in Europa: pulizia etnica, genocidio, fosse comuni, e strupri. Parole fino ad allora echi di mondi lontani o di passato remoto. Una generazione di autori si è misurata con questa tragedia. Reporters, giornalisti, visionari e poeti dello sguardo. Ignacio è uno di loro. Un appassionato, un credente, uno convinto di quello che vuole raccontare. Uno che ha incontrato una terra straniera e l’ha fatta sua. Un fotografo che ha saputo farsi accogliere, ospitare e amare. Obiettivo centrato. Ha viaggiato, si è mosso dalla città alla campagna, ha incontrato le persone e ci ha parlato. Nelle sue immagini non ci sono mai folle. Le persone non sono mai lì per caso. Sono nell’intimità della loro vita o della loro funzione. Sono preti, giovani e donne. Sono anime che il fotografo ha cercato e colto. L’intimità è anche quella della relazione che lui intensamente ha cercato. Pochi interni, pochi oggetti. Al narratore interessa la strada, lo spazio, la vita sotto questo cielo che ha visto tutto, che sa troppo. Ignacio Maria Coccia percorre strade innevate e campi grigi sapendo bene che sotto i suoi piedi il sangue si è seccato ma la terra è rimasta ferita. Lo sa, si vede nelle sue fotografie. Si respira nell’aria che ha catturato. Carica del dramma, gelosa della memoria. Le sue fotografie sono istanti lenti. Non si muove la vita. Non corre il tempo. Si delineano figure di giovani che attraversano strade. Sguardi fieri s’imprimono nei nostri occhi. Questo libro abbraccia la storia, scava in quelle immagini del tempo finalmente sopito. Attinge alla memoria ma ci dice che ora, in questo nuovo presente, questa terra e la sua gente sono salvi. Ignacio Maria Coccia mette la sua fotografia sull’asse del tempo, consapevole di questo grave passato ci trasporta con un linguaggio intenso e poetico dal prima all’ora. Dalla tragedia alla salvezza. Le sue immagini hanno un tratto antico che le rende nobili e coerenti, capaci di trasportarci nel tempo. Un impegno indispensabile. Non poteva essere altrimenti. L’autore ha scelto di raccontare proprio questo. Incurante degli abbagli, delle seduzioni dell’oggi, dei colori che brillano e rendono edulcorata la realtà. Lui con coraggio sceglie la lingua della fotografia dei maestri del reportage più puro. Documenta, interpreta luce e spazio. Cattura e rilascia il tempo con amore per la sospensione. Come se ogni domanda, immaginiamo, non dovesse avere risposte. Lui ci conduce e in questo viaggio tra le ombre della nostra storia recente, riscopriamo, ricordiamo; fermandoci sulle pagine di questo libro ci sembra di sentire quegli echi dolorosi. Questo succede quando la fotografia parla al cuore. Quando un autore con coraggio, umiltà e passione si dedica, si innamora, si muove e non si accontenta di ciò che appare. Aspetta, torna e ritorna. Si affida al suo sguardo poetico e ci restituisce l’intensità della realtà, quella realtà interiore dei soggetti fotografati in relazione con lo spazio ed il tempo in cui si trovano: umani e non che nella scena dell’immagine di questo fotografo sono sagome della storia, incorporee figure dell’anima. Le ritroviamo nelle pagine di questo libro, a volte leggermente spostate, ma presenti, mai accessorie. Uomini e donne con una loro identità, luoghi definiti. L’autore è discreto, non sentiamo mai il suo passo. Sembra non lasci tracce, le sue orme sono leggere sulla neve fresca. Non ingombra, come un reporter che vuole darci l’interezza dell’immagine senza farci pesare la sua scelta. Ignacio non ingombra il campo. Non è nelle sue intenzioni. Questo libro è una dichiarazione d’amore per la fotografia, per la luce che il bianco e nero sa filtrare, potente scelta della fotografia documentaria che l’autore vuole realizzare. Non ci dice di più di ciò che ci offre allo sguardo. Domande, nessuna risposta. Le immagini conservano il mistero necessario. Quello della vita: tra memoria, presente e futuro. Sereni, a volte inquieti liberi di guardare. 20.06.09 Renata Ferri.
Paoletti D'Isidori Capponi
Editore
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