Tra il bianco della neve e il nero delle ombre, una mostra fotografica racconta la quotidianità di questo piccolo paese nel cuore d’Europa attraverso i volti e i paesaggi di Peja/Pec e Pristina, Mitrovica e Gorazdevac. Un viaggio visivo nella quotidianità di malinconie e sogni che scandiscono il tempo di questo nuovo stato.
Ad accompagnarmi in questo viaggio nei volti e nelle città, sono il fotografo Ignacio Maria Coccia, che collabora con le maggiori testate italiane, e Raffaele Coniglio, cooperante italiano impegnato in Kosovo dal 2005, e già autore su questo stesso giornale di interessanti articoli sull’ex-provincia jugoslava.
Sig. Coniglio, com’è la situazione attuale in Kosovo?
Si è abbastanza normalizzata, e questo perché con l’indipendenza ottenuta la parte albanese ha raggiunto il suo obiettivo (e vive il suo sogno). Anche dal versante serbo si registrato positivi passi in avanti. Sebbene la situazione sia migliorata rispetto alla fase pre-indipendenza, quando gli incidenti nella parte nord del Kosovo assumevano toni piuttosto accesi, rimane ancora l’amaro in bocca (e si vive nell’incertezza). L’arresto di Radovan Karadzic (responsabile di crimini di guerra e di genocidio nel conflitto in Bosnia del 1992-95) e l’apertura del nuovo governo serbo all’Occidente sembrano comunque inaugurare una nuova era più propensa al dialogo e alla cooperazione.
Lei e il suo collega, che cosa volete svelare con questo lavoro?
L’aspetto giovane e sfaccettato di questa società multi-culturale. In un piccolo stato si trova un’interessante varietà di lingue, costumi e tradizioni, senza dimenticare l’aspetto religioso. La si respira con facilità dappertutto, e questo nonostante i problemi di interrelazione che non riguardano solo serbi e albanesi, ma anche rom, gorani, bosniaci e turchi. Il nostro intento è quello di far conoscere aspetti del Kosovo insoliti e nuovi, cercando soprattutto di mettere in risalto l’essenza più intima e vera di quella pluralità di anime che vivono oggi questo staterello appena costituitosi. Qui, rispetto, folclore, forti legami familiari e senso di appartenenza sono caratteristiche ben visibili che si sono mantenute quasi intatte per secoli.
In questa situazione di labile stabilità, l’Unione Europea fa qualcosa?
L’UE purtroppo non è per nulla compatta in Kosovo. Il fatto che non tutti i paesi membri abbiano riconosciuto questo nuovo stato è una evidente debolezza che si riflette negli sforzi ancora di scarso impatto e poco lungimiranti di Eulex (European Union Rule of Law Mission in Kosovo) che ha da pochi mesi affiancato la missione Unmik e presto la sostituirà completamente. Finché la cooperazione verrà percepita come mera assistenza invece di una potenziale terra di investimento e collaborazione economica, si potrà fare ben poco.
Avete puntato i riflettori sulla gente e sui luoghi. Cosa trasmettono secondo lei?
Il Kosovo è un posto incredibile. Si passa da posti bellissimi con case immerse nella natura, alla desolazione più spettrale. I segni della guerra ci sono ancora, nelle case bruciate, nelle scritte sui muri e tra le rughe e gli sguardi tristi della gente. Negli occhi di giovani e vecchi si percepisce ancora il rancore. La diversità è ancora oggi un segno di divisione.
La mostra “Kosovo: incertezze e sogni” sarà inaugurata venerdì 3 luglio (h. 19) a Bari, presso il Fortino di S. Antonio (via Re Manfredi), e sarà visibile fino a mercoledì 15 luglio (orario 10-13 e 18-21). Alla presentazione saranno presenti l’assessore al Mediterraneo e alla Cooperazione Economica della Regione Puglia, Silvia Godelli, e l’Ambasciatore d’Italia in Kosovo, Micheal L. Giffoni.
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