mercoledì 25 febbraio 2009

IL PERSONAGGIO: MIKEL GJOKAJ

La linea e la luce, il significato e il segno, il peccato e la verginità nelle opere dell'artista di origine kosovara che vive a Roma dal 1975


Il maestro Gjonkaj è un pittore di grande spessore artistico, molto conosciuto ed apprezzato negli ambienti capitolini e all'estero. Ha esposto in molte gallerie d'arte, da Taiwan a Parigi, da Tokio al Lussemburgo, passando per Cuba e Lubliana. Durante una mostra collettiva organizzata dalla Casa D'Arte Ulisse a Roma, mi sono avvicinato per la prima volta alle tele dell'artista. Dalla sua biografia, le sue origini, la sua carriera si evince oltre all'indiscusso spessore artistico anche un'interessante storia personale del pittore. Solo avendo ben chiara la situazione odierna del Kosovo e le difficili relazioni tra Belgrado e Pristina, si può capire come Mikel Gjonkaj possa risultare un uomo di altri tempi, di un'altra epoca ormai scomparsa. Nasce l'11 novembre 1946 a Krusha e Madhe, un piccolo villaggio del Kosovo, tra i più colpiti dall'esercito serbo nel 1999; frequenta il liceo classico "Ali Kelmendi" nella città di Peja/Pec nel 1962-1967; frequenta la scuola superiore di Belle Arti di Pristina, negli anni accademici 1968-1970; frequenta la Facoltà di Belle Arti, sezione di pittura e incisione presso l'Università di Belgrado negli anni 1970-1974; in quello stesso anno consegue la qualifica accademica superiore e si laurea in Pittura. In ottobre 1975 giunge a Roma dove vive e lavora come cittadino italiano a tutti gli effetti. Da molti decenni lontano dalle dinamiche politiche e sociali del Kosovo, Gjonkaj, nelle sue opere, pare nutrire una forte nostalgia per la sua terra d'origine. I suoi quadri raffigurano infatti paesaggi evocativi e sentimentali. La sua pittura è fatta di "dolci esplosioni che fanno fiorire la tela, come se i suoi paesaggi fossero campi arati e coltivati con miscugli di semi senza nome" come ha affermato Marco Tonelli su Caratteri. Spero di poterlo incontrare personalmente e poter conoscere la stretta relazione tra il suo passato e il suo agire quotidiano, poter udire la foscoliana "voce del fanciullino" che c'è in lui, ovvero l'influenza che il suo essere albanese ha avuto negli anni di formazione a Belgrado negli anni di Tito e quanto sia pesata nel suo "essere artista" la tragedia che ha colpito il suo villaggio di origine, dove nel 1999 vennero uccise 453 persone. Prima di scoprire tutto questo, vorrei riportare stralci di un articolo comparso sul Trimestrale di Arte e Cultura "Terzo Occhio" per mano di Alessandro Masi, che evidenzia molto bene la forza artistica di Mikel Gjonkaj.
[Chi arriva in primavera nel Kosovo, ombelico dei Balcani, riconosce subito la luce che si accende in quel cielo. E' una luce rosa che con il passare delle ore si fa sempre più rossa e violenta, fino a diventare blu cobalto, viola, violetto scuro. Qui ha inizio l'Oriente. Solo chi ha visitato questi luoghi può comprendere la vera essenza delle opere di Mikel Gjokaj, i suoi colori, le zolle coltivate della sua pittura, quei manti luminosi posti a guardia dell'orizzonte del mondo. tra queste montagne, a 18 chilometri da Peja è nato Mikel Gjokaj. Il suo spirito indomito e avventuroso è rimasto anche nei tratti del suo volto barbuto e in quegli occhietti neri, irrequieti, mobili come quelli di un furetto. Come il dio Pan, Gjonkaj vive immerso nei boschi e sempre lì, dipinge giocoso, disegna ed incide sul rame e poi stampa nei propri torchi incisioni multicolori. Nella clausura di uno studio appena restaurato, un cascinale che un tempo fu dei contadini della campagna romana, l'artista Kosovaro trascorre felice le sue giornate come se vivesse fuori dal mondo, trascinato in una dimensione metafisica, sicuramente priva delle lancette dell'orologio della modernità. Le sue profonde radici balcaniche gli sono servite per non prendere mai le cose troppo sul serio, non etichettare il mondo, non dare molta importanza alle apparenze, alle forme visibili quanto piuttosto invisibili, ossia per cantare solo a quelle luci della sera che in ogni tramonto cambiano di suono. i suoi dipinti sono lenti come le lunghe cantilene suonate al ritmo delle litanie dei contadini moabiti, oppure racconti immaginifici di incredibili maghi o più semplicemente favole narrate intorno al fuoco. Qui tuttavia non c'è più l'Europa. L'Europa è scomparsa. In questa terra della pittura sono rimasti solo i dannati dell'Inferno di Dante e i disperati angeli di Bisanzio, quelle creature immobili, figure eteree, forme fragili, sagome ferme e sazie di luce, con le quali nulla si può e alle quali nulla è più concesso di dire. la luce di queste tele è la luce dell'esilio degli uomini dall'Eden, di una terra discostata con orgoglio e invocata con il più disperato canto d'amore].

Si ringrazia per la preziosa collaborazione e grande disponibilità la Casa d'Arte Ulisse di Roma

Info e contatti:
Via dei Due Macelli 79/82
00187 Roma - Italia
tel : +39 06 69380596
www.casadarteulisse.com

3 commenti:

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