lunedì 27 giugno 2011

LIFE AFTER

LIFE AFTER è la storia di un gruppo di anziani, di diverse etnie, che vivono insieme sotto lo stesso tetto di un centro geriatrico del Kosovo e condividono un problema comune: sono stati dimenticati dal mondo. Come risultato, hanno deciso di concentrarsi sul fare conoscenze e amicizie. LIFE AFTER racconta una storia che vale la pena guardare, fosse solo perché mostra come le persone che hanno perso tutto durante o dopo la guerra, abbiano ancora la forza di dare consigli su come vivere insieme.



mercoledì 1 giugno 2011

PICCOLA GUERRA PERFETTA DI ELVIRA DONES


"Impari, subito dopo aver letto queste pagine, che non esiste una guerra rac­con­tata davvero se non ascolti ciò che rac­con­tano le donne che l´hanno vis­suta" Roberto Saviano.

Piccola guerra perfetta è l'ultimo romanzo di Elvira Dones che racchiude le esperienze vissute e le violenze subite da alcune donne di etnia albanese durante i bombardamenti della Nato del 1999. Dones nel libro riesce a rendere terribile, commovente e umana l'epica della sopravvivenza di tre donne assediate in una casa di Pristina. Storie crude e vere, piccole schegge di vetro che si conficcano in gola e lasciano senza fiato, al punto da coinvolgere sin da subito il lettore ed a trasmettergli l'agitazione dei protagonisti asserragliati in una città in preda all'odio etnico. L'autrice, non a caso donna -colei che custodisce nel proprio ventre materno le espressioni più profonde delle emozioni umane e che sa rappresentarle come nessun altro- riesce a cogliere ed a descrivere con dovizia di particolari le lunghe e grigie giornate dei protagonisti. Sembra quasi di ripercorrere insieme a Rea Kelmendi il rischioso tragitto che era costretta a fare per comprare il pane o le patate già invecchiate. Di rivivere le ansie del suo amato uomo, Art Berisha, che come giornalista del Koha Ditore sapeva di essere un bersaglio per i militari serbi. Oppure il panico di Nita Gashi, intenta ad attraversare la città bombardata per toccare una cornetta telefonica nera, di plastica pesante e mettersi in contatto con il resto dei familiari dall'altra parte del mondo. Un gran bel libro che racconta il dramma di chi la guerra l'ha vista con i propri occhi. Non riuscivo a capire il motivo per il quale l'autrice, che era stata in Kosovo subito dopo i bombardamenti ed aveva raccolto queste testimonianze, avesse aspettato tutto questo tempo. Elvira Dones, ha avuto la gentilezza e la cortesia di rispondermi così: "Ho voluto che ogni tassello andasse nel suo posto. Temi come questi, credo, hanno bisogno di lucidità e rigore. Ed è ciò che ho voluto raggiungere prima di scrivere". E' un libro che aggiunge un altro tassello alla ricostruzione del complicato processo della verità, quella verità che è la prima vittima di ogni guerra. Un libro scritto in memoria del ricordo, come Elvira Dones ci ricorda nell'ultima frase del libro:"Un editore una volta mi suggerì di lasciare perdere, un libro in più su una guerra non lo avrebbe pubblicato nessuno. Appunto pensai. E' per questo che lo scriverò. Perché alle guerre seguono altre guerre, e alla fine si dimenticano. Ma questa era la nostra guerra. E' questa che a modo mio ho voluto raccontare".

 IL SITO DI ELVIRA DONES

mercoledì 25 maggio 2011

SCATTI - TGR MEDITERRANEO RAI3: I DERVISCI DEL KOSOVO




I DERVISCI DEL KOSOVO - TGR Mediterraneo Rai3. Foto di Raffaele Coniglio


sabato 21 maggio 2011

STILL UNTITLED - SISLEJ XHAFA

"Uso la creatività per esaminare e sfidare le istituzioni, l'economia, il turismo, i collegamenti geografici, la legalità forzata e l'illegalità imposta [….] Sono un ribelle semplice. A volte, essere radicale è semplice come bere un bicchier d'acqua e dormire." [Sislej Xhafa, 2003].

Il Museo d'Arte Donna Regina di Napoli, il MADRE, ospita dal 21 aprile e sino al 12 settembre la prima grande personale in un museo italiano di Sislej Xhafa, giovane artista kosovaro che vive e lavora a New York. Xhafa da diversi anni è riconosciuto a livello internazionale tra i protagonisti più originali della ricerca visiva contemporanea. In questa mostra l'artista sviluppa con il suo tipico linguaggio poliforme e programmaticamente minimalista, intriso di un'ironia quasi impassibile, il tema dei migranti e della clandestinità, mascherando e smascherando significati e immagini sociali che ne costituiscono il risvolto oscuro e minaccioso. Le questioni dei diritti umani, della migrazione, del viaggio illegale, a partire da un'esperienza evidentemente anche personale, vengono trattati da Xhafa con intelligenza e senza moralismo attraverso l’uso di diversi materiali e mezzi espressivi e spesso di performances provocatorie e paradossali che vedono il coinvolgimento di altre persone. Sislej Xhafa nasce l’8 ottobre 1970 a Peje, in Kosovo, da famiglia albanese. Lascia il proprio paese nel 1988 per l’Inghilterra, risiedendo per qualche tempo a Londra. Quindi si trasferisce a Firenze, dove studia all’Accademia di Belle Arti e inizia a sperimentare differenti linguaggi, dal disegno alla scultura, dalla performance alla fotografia, incentrando la propria ricerca artistica sulle realtà sociali, economiche e politiche e sulla complessità della società contemporanea.
Nel 1997 entra illegalmente alla 47a Biennale di Venezia per proporsi come Padiglione albanese clandestino mentre, vestito da calciatore della nazionale albanese, munito di radiocronaca registrata di una partita di calcio e di bandierina, cammina palleggiando e invitando la gente a giocare. L’azione vale all’artista l’invito alla successiva edizione della rassegna internazionale. I temi dei diritti umani, della clandestinità, della migrazione, del viaggio, mutuati dallo stesso vissuto dell’artista, sono affrontati da Xhafa con intelligenza e ironia in performance spesso provocatorie e paradossali, che mirano a coinvolgere direttamente il pubblico. Una riflessione più specificamente storica contiene l’intervento realizzato nel 2001 a Cittadellarte-Fondazione Pistoletto di Biella, che gli vale il Minimum prize della stessa istituzione. Qui invita 7 veterani della resistenza antifascista della seconda guerra mondiale attorno a un tavolo coperto di noccioline e microfoni non funzionanti a rispondere alle sue domande su come boicottare la compagnia elettrica nazionale. All’estrema libertà dei mezzi espressivi utilizzati corrisponde la concezione di opere aperte a molteplici interpretazioni e associazioni diverse da parte del pubblico più attento, nelle quali l'approccio ironico riesce ad alleggerire tematiche altrimenti eccessivamente problematiche. Questi elementi sono ben riscontrabili nel video Passionate Fruit (2007), esposto nel 2008 a Palazzo Strozzi a Firenze nell’ambito di Worlds on Video - International Video Art, a cura di Anita Beckers. L’opera presenta un'unica inquadratura, in cui una pistola bagnata da una pioggia incessante giace dimenticata sull’asfalto accanto a una pozza, intrecciando il fascino sinistro evocato dall’arma con la poetica della pioggia per dare vita a un racconto autonomo, che con scelte minimali allude tanto al passato dell’artista in Kosovo al tempo del conflitto balcanico, quanto ad altri possibili guerre, quanto, infine, ai film western e polizieschi della storia del cinema. 
(testo tratto da MADRE)

domenica 15 maggio 2011

AMNESTY INTERNATIONAL - RAPPORTO 2011

LA SITUAZIONE DEI DIRITTI UMANI IN KOSOVO


Amnesty International ha da pochi giorni pubblicato il Rapporto annuale 2011. Il dossier documenta la situazione dei diritti umani in 157 paesi e territori nel 2010. Descrive un mondo in cui le persone sfidano l'oppressione, nonostante le molte misure repressive impiegate contro di loro. Di seguito la scheda sul Kosovo.


KOSSOVO
A settembre, il presidente Sejdiu si è dimesso dopo che la Corte costituzionale aveva rilevato l’incompatibilità del suo ruolo di capo della Lega democratica del Kossovo (Lidhja Demokratike e Kosovës – Ldk) con una carica pubblica. A ottobre, il governo è caduto in seguito al voto di sfiducia dell’assemblea. A dicembre, il Partito democratico del Kossovo ha vinto le elezioni parlamentari, tra le accuse di brogli, con una maggioranza insufficiente a formare un governo. A novembre, la Commissione europea ha espresso preoccupazione per la corruzione e la criminalità organizzata, la debolezza della magistratura del Kossovo e la mancanza di libertà degli organi di informazione. A dicembre, un rapporto per il Consiglio d’Europa ha denunciato che il primo ministro Hashim Thaçi e altri membri del Kla si erano resi complici del sequestro, delle torture e altri maltrattamenti e dell’uccisione di civili serbi e albanesi, trasferiti in campi di prigionia in Albania nel 1999. In uno dei campi i detenuti sarebbero stati uccisi e i loro corpi usati per il traffico di organi.

SISTEMA GIUDIZIARIO
La Missione di polizia e giustizia in Kossovo guidata dall’Eu (Eulex) ha riferito che il sistema giudiziario interno è rimasto debole e soggetto a ingerenze politiche. Giudici e testimoni sono stati minacciati e raramente si è fatto ricorso ai meccanismi di protezione. L’Eulex ha riavviato un procedimento contro Albin Kurti, leader della Ngo Vetëvendosje! (Autodeterminazione!), che nel 2008 era stato sospeso dalla Missione di amministrazione provvisoria delle Nazioni Unite in Kossovo (United Nations Interim Administration Mission in Kossovo – Unmik). A giugno, è stato riconosciuto colpevole di aver ostacolato pubblici ufficiali durante una manifestazione il 10 febbraio 2007 e condannato a nove mesi di reclusione, ma subito rilasciato. Altre accuse sono state archiviate.

CRIMINI DI DIRITTO INTERNAZIONALE
A maggio, l’Eulex ha reso noto che solo 60 dei 900 casi di crimini di guerra ereditati dalla gestione dell’Unmik erano oggetto di indagine. Le inchieste sul rapimento di persone non albanesi dopo il giugno 1999 sono state trasferite alla procura speciale locale, poiché secondo l’Eulex non si trattava di crimini di guerra. A gennaio e a luglio sono stati compiuti altri arresti grazie alla testimonianza di Nazim Bllaca, arrestato nel 2009. Egli aveva dichiarato di aver preso parte, tra il 1999 e il 2003, a 17 casi di omicidio e tentato omicidio commissionati dal servizio di intelligence del Kossovo. A maggio, l’ex comandante del Kla Sabit Geçi è stato arrestato perché sospettato di essere coinvolto in crimini di guerra commessi nel 1999, nella regione di Drenica. Secondo gli organi d’informazione, era pre- sumibilmente coinvolto anche nella tortura di albanesi e serbo-kossovari in una struttura di detenzione della città di Kukës, in Albania. Dopo la sua estradizione dalla Norvegia, avvenuta a luglio, a novembre il serbo-kossovaro Vukmir Cvetković è stato giudicato colpevole di crimini di guerra dal tribunale di Peć/Peja e condannato a sette anni di reclusione per aver mandato via civili albanesi dalle loro abitazioni a Klina/ë.

SPARIZIONI FORZATE
Un progetto di legge sulle persone scomparse non ha previsto norme per la riparazione, incluso il risarcimento, ai familiari delle persone scomparse. A fine anno, le persone considerate scomparse erano circa 1822. Ad agosto, la competenza sull’ufficio per le persone scomparse e la medicina legale (Office of Missing Persons and Forensics – Ompf) è stata trasferita dall’Eulex al ministero della Giustizia del Kossovo. A settembre, l’Ompf e la commissione serba sulle persone scomparse hanno visitato le probabili fosse comuni di Rudnica in Serbia e di Belaćevac, in Kossovo. Nel corso del 2010, l’Ompf ha riesumato i corpi di 34 persone, identificando i resti di 57 individui e restituendo 103 salme alle famiglie per la sepoltura. Altri tre corpi erroneamente identificati sono stati correttamente riconosciuti dalla commissione internazionale sulle persone scomparse.

TORTURA E ALTRI MALTRATTAMENTI
A giugno, il Comitato europeo per la prevenzione della tortura ha visitato luoghi di detenzione in Kossovo. Nello stesso mese, diversi attivisti di Vetëvendosje! sono stati maltrattati – e alcuni ricoverati in ospedale – durante un’operazione di polizia per arrestare Albin Kurti (v. sopra, Sistema giudiziario). Il Centro per la riabilitazione delle vittime di tortura del Kossovo ha segnalato alcuni miglioramenti nelle condizioni carcerarie, ma ha osservato che i detenuti hanno denunciato che la corruzione del personale del carcere ha spesso condotto a provvedimenti disciplinari iniqui.

EUROPA E ASIA CENTRALE. VIOLENZA INTERETNICA
Violenti incidenti tra serbo-kossovari e albanesi hanno continuato a verificarsi nei comuni settentrionali, a prevalenza serba, spesso alimentati dagli sviluppi politici. A maggio, la polizia del Kossovo ha usato gas lacrimogeni per separare serbi e albanesi, nel corso di una protesta da parte degli albanesi contro la partecipazione dei serbo-kossovari alle elezioni amministrative in Serbia. Il 2 luglio, 1500 serbi hanno protestato contro l’apertura di un ufficio anagrafico a Bosnjačka Mahala, una zona a etnia mista a nord di Mitrovica/ë. Un ordigno esplosivo ha ucciso un pediatra bosniaco-musulmano e 11 manifestanti serbi sono rimasti feriti. Il 5 luglio, un serbo-kossovaro membro dell’assemblea del Kossovo è stato ferito alle gambe davanti alla sua casa nella zona nord di Mitrovica/ë. Le tensioni sono aumentate dopo la sentenza della Icj sulla dichiarazione di indipendenza del Kossovo del 2008. A settembre, albanesi della zona nord di Mitrovica/ë hanno chiesto di avere ulteriore protezione da parte della polizia, dopo vari attentati con granate e l’uccisione di Hakif Mehmeti, avvenuta il 7 settembre. Un agente di polizia serbo-kossovaro è stato arrestato tre giorni dopo. Il 12 settembre, dopo la vittoria della Turchia sulla Serbia in una partita di pallacanestro, sono state impiegate truppe della Kossovo Force (Kfor) e polizia dell’Eulex quando gli albanesi della zona sud di Mitrovica/ë si sono scontrati con i serbi sul ponte sul fiume Ibar, che separa la parte serba della città da quella albanese. Due agenti della Kfor, un agente di polizia e cinque civili sono stati feriti. Nello stesso mese, un panettiere di etnia albanese di Zvečan è stato aggredito per tre volte e il suo negozio è stato danneggiato da un ordigno esplosivo.

RICONOSCIMENTO DELLE RESPONSABILITÀ
A marzo, il collegio consultivo per i diritti umani ha dichiarato inammissibile una denuncia sporta dalle famiglie di Mon Balaj e Arben Xheladini, uccisi dalla polizia romena, e da Zenel Zeneli e Mustafë Nerjovaj, che furono gravemente feriti durante una manifestazione il 10 febbraio 2007. La decisione del collegio ha fatto seguito a una direttiva amministrativa dell’Unmik del 2009 che di fatto ha reso inammissibili le istanze di querelanti a cui era stato offerto un indennizzo economico nel quadro di un processo di risarcimento di terze parti, intentato nei confronti delle Nazioni Unite. Per motivi analoghi, il collegio ha dichiarato inammissibile una denuncia di 143 sfollati rom e ashkali, residenti in campi amministrati dall’Unmik nella zona nord di Mitrovicë/a, secondo la quale avevano subito un avvelenamento da piombo e altri problemi di salute a causa della contaminazione dei campi in cui avevano vissuto dal 1999. La loro richiesta di risarcimento in quanto terze parti nei confronti delle Nazioni Unite era pendente dal febbraio 2006. Il collegio ha continuato a prendere in considerazione le denunce contro l’Unmik, per non aver indagato sui rapimenti di serbi avvenuti nel dopoguerra.

DISCRIMINAZIONE
La discriminazione è rimasta dilagante nei confronti delle minoranze non albanesi, delle donne e delle persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender. Rom, ashkali ed egiziani hanno subito discriminazioni di massa, anche nell’accesso all’istruzione, all’assistenza sanitaria e all’occupazione e pochi hanno potuto avvalersi del diritto a un alloggio adeguato. Molti hanno continuato a non avere documenti personali, che avrebbero consentito loro di registrare la cittadinanza e di accedere ai servizi di base. A ottobre, è stato chiuso il campo di Česmin Lug, contaminato da piombo, e alcuni residenti rom, ashkali ed egiziani sono stati trasferiti nel quartiere rom nella zona sud di Mitrovica/ë. A novembre, le Ngo hanno iniziato a somministrare cure mediche per intossicazione da piombo, come stabilito dall’Organizzazione mondiale della sanità.

RIFUGIATI E MIGRANTI
Rom, ashkali ed egiziani sono stati rinviati forzatamente in Kossovo dall’Eu e dalla Svizzera, sebbene una strategia riveduta di rinvio e reinserimento, resa pubblica ad aprile dal ministero dell’Interno, non fosse stata attuata pienamente. Molte delle persone rinviate si sono viste negare i diritti fondamentali e hanno rischiato di subire discriminazioni di massa equivalenti a persecuzione. Le persone senza documenti sono rimaste apolidi a tutti gli effetti. A ottobre, i rom che tentavano di tornare a Suvi do/Suhadol sarebbero stati minacciati dagli albanesi e si sono rifiutati di tornare per motivi di sicurezza. Nel 2010, secondo i dati forniti dall’Unhcr, l’agenzia dell’Nazioni Unite per i rifugiati, 2253 persone appartenenti a comunità minoritarie sono volontariamente rientrati in Kossovo, mentre 48 albanesi kossovari, 77 serbo-kossovari e 386 rom, ashkali ed egiziani, considerati bisognosi di protezione internazionale costante, sono stati rinviati forzatamente dall’Europa Occidentale.

VIOLENZA CONTRO LE DONNE
Gli ordini di protezione per i casi di violenza domestica non sono stati in grado di fornire tutela adeguata o non sono stati emessi. Le violazioni di tali ordini raramente sono state perseguite. L’Ngo Medica Kosovo ha cercato di far modificare la legge sulle vittime civili di guerra, per garantire che le donne stuprate durante la guerra ottenessero lo status di vittime civili e potessero chiedere un risarcimento.

L'intero RAPPORTO 2011 è consultabile sul sito di AMNESTY INTERNATIONAL

martedì 10 maggio 2011

I DERVISCI NEL GIORNO DEL NEVRUZ

Il 22 marzo 2011 in Kosovo, nella città di Prizren, i dervisci dell'ordine Rifai, una setta mistica dell'islam, ha festeggiato in un modo molto singolare il Nevruz (il nuovo giorno, l'inizio del nuovo anno secondo l'antico calendario persiano).




QUALCHE CENNO STORICO

I Dervish rappresentano senza dubbio uno dei fenomeni più rilevanti nella storia della spiritualità islamica o Sufismo. Nell'odierno Kosovo vive un imprecisato numero di fedeli che appartengono a diversi ordini tra loro distinti. Ci sono i Bektashi e altri gruppi come i Kadri, gli Havleti, i Nakshipendi, i Rifai, i Saadi e gli Shazeli. La storia narra che tutto ebbe inizio con i Bektashi, ordine che prende il nome dal suo fondatore Hunqar Haji Bektash Veli (1209-71), nato nell’Iran orientale. Creato come movimento pre-islamico nella lontana Persia, l'ordine derviscio dei Bektashi è interessante per molte ragioni. Oltre alla sua importanza nella cultura turca, rappresenta un superamento delle differenze tra le tradizioni musulmane di sunniti e sciiti. Strettamente connesso con la comunità degli Alevi, quest'ordine contiene elementi di diversa origine, appartenenti alle numerose religioni con cui il popolo turco è stato in contatto: Buddismo, Manicheismo, Ebraismo, Nestorianesimo e il Cristianesimo locale. I Bektashi hanno incorporato nella loro struttura anche la "hurufilîk", una dottrina segreta sul simbolismo dei numeri e delle lettere (paragonabile alla Cabala ebraica). Nel periodo più florido dell'Impero Ottomano divennero i cappellani delle truppe ottomane dei Giannizzeri (Yeniceri o "uomini nuovi"), un corpo militare composto principalmente da giovani convertitisi dal cristianesimo all'islam. L'ordine dei Bektashi divenne così una delle istituzioni più importanti dell'allora Impero Turco, con centri spirituali nella Città del Cairo e nei Balcani, in Anatolia, nel Turkestan e nella città imperiale di Istanbul. Nel 1826, il Sultano turco Muhmud II, accortosi dell'enorme influenza dei Giannizzeri, cominciò a dargli la caccia e ad eliminarne i seguaci con il pretesto che avevano accumulato e abusato del loro potere. Con loro anche i Bektashi, ovviamente, attraversarono un periodo difficile. Quando le riforme degli anni '20 sotto il periodo di Kemal Atatürk imposero il divieto assoluto dell’istituzione degli ordini dervisci, i Bektashi continuarono a riunirsi segretamente nella regione dell’Anatolia. Tuttavia, da questo momento in poi, non avendo più una vita facile in Turchia, cominciarono a spostarsi verso i confini più settentrionali di quello che era l’Impero Ottomano e diventarono una forza significativa tra gli albanesi, che esprimevano, ed esprimono tutt'oggi, una visione dell’Islam liberale e pluralista. L’Albania presto divenne così una sede importante per questo movimento, tant'è che dal 1925 i Bektashi albanesi si staccarono da quelli turchi e Tirana iniziò a rappresentare una sede importante per l'ordine nei Balcani. La conformazione geografica dell’Albania di quel periodo includeva buona parte del Kosovo, ed anche la Macedonia, ragion per cui esiste ancora oggi, concentrato principalmente nella zona di Prizren, ma anche in Gjakova e Rahovec, un nutrito gruppo di questi antichi predicatori.

venerdì 6 maggio 2011

ALLA PROSSIMA BEATIFICAZIONE. FORSE



Il 1 Maggio si sono svolte le sontuose celebrazioni per la beatificazione di Karol Jozef Wojtyła. Fiumi di fedeli si sono riversati in Piazza San Pietro. Erano presenti ben 87 delegazioni straniere. Tra i vari capi di stato c'era anche il sanguinario dittatore dello Zimbabwe, Robert Mugabe (presente, tra l'altro, nel 2005 ai funerali del pontefice). Non potendo smentire l'evidenza il portavoce vaticano si è limitato a dire che la partecipazione "rientra nei normali rapporti diplomatici che la Chiesa intrattiene con lo stato del Zimbabwe". Proprio per questa logica il Kosovo non è stato invitato. Diversi giorni prima della cerimonia, le istituzioni del Kosovo hanno inviato una richiesta alla Santa Sede per far partecipare una delegazione ufficiale. Come prassi diplomatica vuole, il Vaticano ha fatto pervenire due inviti alle autorità kosovare (al Presidente, Atifete Jahjaga, e al ministro degli Esteri, Enver Hoxha) come "Delegazione Ufficiale" e non come "Delegazione Statale". Il motivo è semplice: il Vaticano non ha riconosciuto l'indipendenza del Kosovo. Per adesso la Chiesa si limita a ricoscerlo come posto di frontiera col vicino islam balcanico, e pertanto un interessante luogo dove erigere chiese e sontuose cattedrali.



lunedì 2 maggio 2011

ALLA FACCIA DEL MUTUO


In Kosovo ad ogni angolo di strada ci sono banche. A Pristina, così come in altri piccoli centri di periferia, palazzi di ogni forma e altezza ospitano istituti di credito. Le due banche più importanti, ProCredit Bank e Raffeisen Bank, hanno il monopolio sul credito ed hanno colonizzato ogni cosa. Non c'è evento istituzionale, culturale o sportivo che non sia sponsorizzato da una delle due banche. Agende, penne, calendari, striscioni, insegne luminose, posters, ovunque ProCredit Bank o Raffeisen Bank. Erano giorni che ci pensavo e non riuscivo a spiegarmi il motivo della presenza di così tante banche in un paese i cui dati micro e macroeconomici sono a dir poco disastrosi. Le idee si sono schiarite solo dopo aver messo piede nei due principali istituti bancari e parlato con il personale. "Salve, vorrei poter accedere ad un vostro mutuo", ho esordito proprio così. Come una macchinetta i consulenti delle due banche mi hanno descritto per filo e per segno ogni condizione e caratteristica del mutuo, le stesse che potete trovare qui, sul sito della Raiffeisen e della ProCredit.
Esistono una varietà di prestiti. Si va dal prestito per il business e la piccola impresa a quello per lo studio, dall'acquisto della macchina a quello per finanziare l'attività agricola. C'è anche quello per le vacanze. Per ognuno di questi prestiti le condizioni, ovviamente, cambiano. Comunque, per accedere ad un mutuo bisogna essere residente in Kosovo da oltre sei mesi, avere un conto bancario presso la banca e un contratto di lavoro con uno stipendio non inferiore ai 180 euro. Se la banca si ritiene soddisfatta, si riceveranno presto i soldi. Bastano pochi giorni: in questo sono efficienti. Ricevo una marea di informazioni e di brochure, ma i dubbi permangono. Tutto si schiarisce quando chiedo spiegazioni sui tassi di interesse. Sembra strano, ma non esiste un tasso preciso e tutto è molto indicativo -questo vale per entrambe le banche. Tutto dipende dalle garanzie che offrite, dal tipo di lavoro (salario) che avete, e soprattutto da chi siete. I tassi variano dal 10,9% annuo (si, quasi l'undici per cento) ad oltre il 20% (venti, avete letto bene) se offrite poche garanzie o siete comuni mortali. Salto dalla sedia. Sentendo quei numeri devo aver fatto un brusco movimento. La responsabile finanziaria della ProCredit prova a tranquillizzarmi e mi invita a fissare un appuntamento con il manager perché , dice, "è lui che realmente decide la percentuale". Rimango impietrito per un po', ma poi il mio volto riprende colore. Adesso che i miei quesiti erano stati risolti potevo anche congedarmi. E così è stato.

fonte Raiffeisen Bank:
mutuo di 30.000 euro rimborsabili in 180 mesi - rata mensile di 380.
Dopo 15 anni alla banca avrete dato l'importo di 68.400 euro

mutuo di 30.000 euro rimborsabili in 240 mesi - rata mensile di 352 euro.
Alla fine dei 20 anni avrete sborsato la somma di 84.480 euro

lunedì 18 aprile 2011

LA CROCE DI PRISTINA

Cattedrale di Pristina
C'era una volta e adesso non c'è più. Nel pieno centro di Pristina, proprio nel cuore politico e commerciale della città esisteva una storica scuola secondaria fondata nel 1971. Il ginnasio "Xhevdet Doda" era considerato un istituto ben organizzato, con professori capaci e che, proprio per questo, sfornava ogni anno i migliori studenti. Il 2002/2003 è stato l'ultimo anno in cui hanno potuto frequentatarlo. Poi si sono dovuti trasferire, anzi disperdersi in questa o quella struttura prima che la nuova sede venisse ultimata. Gli accordi parlavano del 2007, ma ovviamente sono dovuti passare altri tre anni. Solo nel novembre del 2010 il nuovo edificio ha potuto ospitare i quasi 1.500 giovani studenti. La vicenda ha creato vari mal di pancia,  anche perché al posto della scuola, che indubbiamente era vecchiotta e andava ristrutturata,  si è deciso di costruire una faraonica cattedrale cattolica. La realizzazione di quest'opera era un desiderio dell'ex presidente Rugova e, come avviene con ogni capriccio di un presidente carismatico e tanto amato, il sogno si è avverato. Le difficoltà legate alla proprietà del suolo hanno rallentato i lavori che dovevano concludersi per il 2010, entro settembre, per consentire la celebrazione del centenario della nascita di Madre Teresa, alla quale la cattedrale ha dedicato il nome. Nonostante questi ritardi i solenni festeggiamenti sono avvenuti regolarmente alla presenza delle massime autorità politiche e religiose del Kosovo. La costruzione della cattedrale ricorda sicuramente che il Kosovo è un mosaico di comunità religiose, culturali ed etniche che convivono insieme da secoli in un territorio in cui l'aspetto religioso non era molto rilevante, almeno fino agli eventi bellici del 1998/99. Tuttavia l'imponenza di una struttura -che una volta ultimata con i due campanili raggiungerà i circa 50 metri d'altezza- nel cuore di una città con una significativa maggioranza musulmana (il 93% circa della popolazione del Kosovo) potrebbe sortire l'effetto contrario. Ci si scandalizza quando nella cattolica Italia un piccolo garage viene concesso a migliaia di fedeli musulmani per pregare, mentre ora viene visto come un fatto del tutto normale costruire in un paese musulmano grandi chiese -nuovissime sono quelle di Klina e di Gjakova- per una manciata di fedeli cattolici che qui in Kosovo sono poco più del 2%. I malcontenti nella comunità islamica non si sono fatti attendere, anche se, come era logico prevedere, le autorità ecclesiastiche locali tendono a sminuirli. Il giorno dell'inaugurazione della cattedrale, durante il discorso ufficiale il rappresentante della comunità islamica, pur nella sua compostezza, non ha mancato di far presente agli invitati che "i fedeli musulmani hanno necessità  di nuovi luoghi di culto". Capita assai di frequente, specie nei giorni estivi, vedere i fedeli pregare in ginocchio fuori dalle moschee a ridosso dei marciapiedi. Questo avviene non per comodità, ma per mancanza di spazio. Quella della comunità islamica non è stato l'unica critica. Anche B. Berisha, che con tutta la sua famiglia ha un solido passato legato al nome e alla parola di Cristo, trova "eccessiva la costruzione della cattedrale nel centro cittadino". "La costruzione della cattedrale è, sicuramente, una buona notizia. Anche il fatto di avere la sede del vescovato a Pristina, e non più a Prizren, è qualcosa di utile e importante, ma quando ti trovi in mezzo a persone che disprezzano la chiesa per come è stata pensata e costruita, allora ti viene da rifletterci un po'", sentenzia il sig. Berisha. Non è il solo tra i cattolici kosovari a pensarla così, mi assicura. Il nocciolo della questione non riguarda certo il diritto o la legittimità di costruire luoghi di culto diversi da quelli praticati dalla maggioranza dei suoi cittadini, quanto la mancanza di tatto nell'aver voluto costruire un santuario del genere.  E' veramente singolare vedere nel cuore della capitale di un paese a maggioranza musulmana la presenza di due grandi chiese -una cattolica in costruzione, l'altra ortodossa costruita durante gli ultimi anni del regime di Milosevic e rimasta tuttora incompiuta- e di nessuna moschea. Questo dato di fatto dovrebbe far riflettere. Dovrebbe far riflettere anche il comportamento della classe politica locale, reflattaria a concedere le autorizzazioni per la costruzione di nuove moschee o centri di cultura islamici. Molto probabilmente tutto ciò non è altro che l'espressione di voler presentare il Kosovo sotto una luce diversa, più Europea, anche per non fare impensierire il cattolico Occidente e la Santa Romana Chiesa.

giovedì 14 aprile 2011

NEVE DI PRIMAVERA


Pristina - 13 Aprile 2011
Neve di Primavera è forse l'opera più sontuosa dello scrittore giapponese Yukio Mishima, ma è anche  lo spettacolo che si è presentato ieri, 13 aprile, sotto gli occhi di buona parte dei cittadini del Kosovo.

guarda il VIDEO

martedì 12 aprile 2011

LA DETERMINAZIONE DI VETEVENDOSJE

Albin Kurti mi conferma la sua disponibilità e alle 15 in punto lo raggiungo presso la nuova sede di Vetevendosje a pochi passi dal parlamento. Nell'ultimo anno sono cambiate un po' di cose. Molte sono rimaste le stesse. La struttura di tre piani è interamente occupata dagli attivisti del movimento ed è adesso più consona ad un movimento che alle ultime elezioni politiche ha raggiunto risultati significativi. L'anima del movimento e la semplicità del suo leader sono rimasti immutati. Ci tiene a precisarlo Albin Kurti, e come sempre lo fa con molta chiarezza: "Vetevendosje era ed è un movimento politico. Il carattere del movimento non è cambiato, e questo per due ragioni principali, in primo luogo perché il Kosovo non è ancora una democrazia compiuta e poi perché noi non siamo soddisfatti con quel tipo di democrazia che è solo rappresentativa. Vetevendosje intende la democrazia come partecipazione diretta attraverso proteste, dimostrazioni, referendum e azioni simboliche. Vetevendosje non ha cambiato carattere, ma soltanto la sua strategia. Ai vecchi metodi ne abbiamo aggiunti di nuovi. Accanto alle rivolte e alle proteste adesso usiamo le vie istituzionali per raggiungere gli obiettivi di sempre. Noi vogliamo il Kosovo sovrano e non soltanto indipendente e questo implica il rafforzamento delle strutture governative, una maggiore democrazia nelle istituzioni ed un sano sviluppo economico". Vetevendosje è adesso un partito politico. Alle elezioni del 12 dicembre si è misurato per la prima volta con il giudizio degli elettori e il risultato è stato sorprendente. Vetevendosje è diventato il terzo partito del Kosovo con il 13% circa delle preferenze e il suo gruppo conta oggi 14 deputati. Alle ultime elezioni politiche il partito ha condotto una campagna elettorale molto intelligente, sfruttando le prime avvisaglie della protesta sociale soprattutto da parte del ceto giovanile che si è sentito, e si sente, sempre meno rappresentato da una classe politica che a tutt'oggi non si è confrontata con i veri problemi  economico-sociali del paese, ma che è rimasta  ancorata ai vecchi problemi della sovranità e dell'indipendenza. La strategia di Albin e soci ha portato a grossi risultati in termini di consenso da parte giovanile, andando a pescare voti nel bacino elettorale di tutti i partiti. Questo, e non piuttosto lo spirito nazionalista del movimento, è stato il successo principale di Vetevendosje che è riuscito a cavalcare lo scontento di larghe fasce della popolazione. Adesso avrà davanti a sé una prova essenziale, perché una cosa è interpretare e cavalcare lo scontento sociale, altra cosa sarà tradurre questi temi in vere e proprie proposte politiche, anche di natura legislativa.



venerdì 8 aprile 2011

ATIFETE JAHJAGA: IL QUARTO PRESIDENTE DEL KOSOVO


Da oggi il Kosovo ha un nuovo Presidente della Repubblica, dopo che la scorsa settimana la Corte costituzionale ha invalidato l'elezione alla presidenza di Behgjet Pacolli. Atifete Jahjaga, eletta dal parlamento di Pristina con 80 voti favorevoli, 10 astenuti e 10 contrari, è il quarto presidente. Giovane, donna e con una significativa carriera. Sembrava essere una buona notizia, ma lo è solo in parte. Estranea al mondo della politica e con un anno in più dell'età minima richiesta per ricoprire l'incarico (36 anni), il nome dell'ex vicecapo della polizia kosovara ha messo d'accordo la coalizione di governo e parte dell'opposizione. L'accordo raggiunto tra i leaders del PDK, AKR e LDK -principale partito d'opposizione- prevede la riforma della costituzione con l'elezione diretta del presidente della Repubblica entro i prossimi sei mesi. L'eroina sarà solo di passaggio e la sua positiva immagine servirà  soltanto a dare vigore alle istituzioni del Kosovo ed ai suoi rappresentanti.

mercoledì 6 aprile 2011

GIOVANI ARTISTI CRESCONO: AFRORA BLAKQORI-UKA

L'ultimo villaggio - 49x35
Afrora Blakqori - Uka si è laureata presso la facoltà di Belle Arti di Pristina nel 1994. E' la prima artista kosovara ad avere conseguito un master in arti grafiche ed anche la prima, insiema a tutta la sua generazione, ad aver vissuto gli anni formativi durante il periodo più acceso del nazionalismo serbo. Nel 1989 si è iscritta all'università, ma dopo circa un anno di lezioni ha dovuto ultimare i suoi studi presso scuole improvvisate nelle case private. L'imposizione del regime aveva spinto gli albanesi kosovari a sviluppare in diversi settori un efficiente sistema parallelo.  Quel clima teso, quell'aria tetra e cupa, hanno influito significativamente sulla creatività della giovane artista. Non deve essere stato facile per nessuno studiare in quelle circostanze. A maggior ragione per quelle persone che fanno del vissuto quotidiano la fonte primaria delle loro rappresentazioni artistiche. La grafica di Afrora nasce da sentimenti soggettivi che vengono plasmati nelle arti visive sotto forma di associazioni simboliche e riflessioni di diversa natura. In questa sua mostra personale presso la Galleria d'Arte del Kosovo a Pristina è rappresentato il percorso pluriennale dell'artista, dove la sua creatività - quasi due decenni - si riflette in vivide immagini del mondo animale, di quello subacqueo, dei paesaggi e della natura. Le composizioni non sono figure umane, ma astratte e suggestive associazioni che rimandano a una metafora che produce emozioni specifiche. Queste sue immagini stimolanti accomunano la sua grafica al concetto ideal-estetico. Il lavoro grafico che racchiude la fase "Ultimo Villaggio" è significativamente il più ampio e, politicamente, il più profondo: lo spazio affascinante di integrità compositiva. Sempre alla ricerca di nuove trasformazioni  di quei temi che appartengono al mondo intimo dell'artista, la forma metaforica delle opere esposte rivelano sia preoccupazioni di disordine perenne di questa sua nazione, che le speranze per un futuro più felice e prospero.



Per contattare l'artista scrivete a:
afrora01@hotmail.com

lunedì 4 aprile 2011

KOSOVO - HUMAN DEVELOPMENT REPORT 2010



E' da poco uscito l'ultimo report da parte dell'UNDP-Kosovo. Quest'anno si parla di inclusione sociale. In termini semplici, per esclusione sociale si intende la pratica di negare ad alcuni gruppi il diritto di contribuire economicamente, politicamente e socialmente alla crescita della loro società, limitando in tal modo il potenziale della società stessa. L'esclusione può avvenire deliberatamente, attraverso la discriminazione istituzionale, o involontariamente, attraverso pratiche culturali che di fatto limitano i diritti e le libertà individuali. Qualunque sia la causa, l'effetto è sempre lo stesso: autolimitazione e un iniquo processo di sviluppo. L'ampiezza dell'emarginazione all'interno della società kosovara è forse il dato più rilevante della relazione. Lungi dall'essere un fenomeno di minoranza, l'esclusione -economica, dai servizi sociali e di impegno civile- è una condizione vissuta da una vasta gamma di persone in varie dimensioni della vita quotidiana. Quella dell'esclusione è una sfida cruciale per lo sviluppo del Kosovo e di ogni paese. Il rapporto identifica nel dettaglio i gruppi sociali che più di altri risentono dell'esclusione sociale e ne sono vittime. Queste fette di popolazione rischiano di diventare invisibili se non si cambia rotta e non si inverte la scala delle priorità politiche. Nella lunga lista degli esclusi vanno annoverati: i disoccupati di lunga durata, i bambini svantaggiati, i giovani, le donne delle aree rurali, i Rom, Ashkali ed Egiziani (RAE) e tutte le persone con bisogni speciali. Davanti a se il Kosovo ha una serie di sfide sociali ed economiche da affrontare e queste riguardano:


• Stagnazione economica: il PIL pro capite del Kosovo è attualmente il più basso d'Europa. Anche se il Fondo Monetario Internazionale (FMI) ha previsto che crescerà del 3% per i prossimi sei anni (passando dai 1.766 ai 2.360 euro) il Kosovo ha ancora molto da recuperare in termini di equa distribuzione dei ricavi all'interno della sua società;

• Povertà diffusa: circa il 45% (poco più di due kosovari su cinque) vivono sotto la soglia della povertà e uno su cinque non è in grado di soddisfare i propri bisogni di base. La povertà è più elevata tra coloro che vivono in grandi famiglie - che spesso hanno molti membri disoccupati e livelli di istruzione relativamente più bassi. Coloro che vivono in povertà sono anche geograficamente concentrati nelle zone rurali e in alcune regioni del Kosovo, come Prizren e Gjilan/Gnjilane; 

• Elevati livelli di disoccupazione: si stima che il 45% della forza lavoro è disoccupata, con tassi di disoccupazione per i giovani che superano il 73% e la disoccupazione femminile all'81%. Il mercato del lavoro ogni anno si gonfia in media di 30.000 giovani in cerca di lavoro, ma con poche opportunità a loro disposizione;

Scarsa qualità della vita: sulla salute e gli standard educativi i cittadini kosovari sono in forte ritardo rispetto ai loro vicini europei. Gli indicatori sanitari in Kosovo sono tra i peggiori dell'Europa. Il tasso di mortalità infantile è di18-49 per 1.000 e sotto i cinque anni la mortalità infantile è di 35-40 per 1.000 nati vivi, rappresentando così il dato più alto in Europa. Anche l'istruzione è molto variabile e selettiva - in particolare per i bambini con qualsiasi forma di disabilità fisica o di apprendimento e l'educazione prescolare è praticamente inesistente al di fuori di Pristina; 

• Discriminazione: le minoranze etniche del Kosovo sono quelle che subiscono l'impatto peggiore delle sfide socio-economico del Kosovo. In particolare, le condizioni dei RAE del Kosovo sono abbastanza vicini a quelli che si trovano nei paesi meno sviluppati. Il livello di disoccupazione per la comunità RAE, dove il 75% dei giovani maschi di 15-24 anni sono disoccupati, per esempio, è molto superiore alla media del Kosovo. 

Il fatto davvero strano è che dal 2000 in poi la comunità internazionale ha investito più risorse pro-capite in Kosovo che in qualsiasi altra arena di post conflitto. L'Unione europea, principale donatore del Kosovo, ha annunciato che per i prossimi tre anni destinerà per il Kosovo molti più fondi che in qualsiasi altro posto del mondo.
Già ​​la sola l'Unione europea ha erogato quasi un miliardo di euro per il Kosovo tra il 2000 e il 2006 attraverso il programma CARDS (assistenza comunitaria alla ricostruzione, lo sviluppo e la stabilizzazione) e dal 2007 altri 426 milioni di euro attraverso lo strumento di assistenza  di preadesione (IPA). Poi giù di lì tutti gli altri milioni di euro del governo americano, delle organizzazioni internazionali e dei vari paesi europei. Una marea di fondi che negli anni sono serviti alla ricostruzione del paese e al rafforzamento delle istituzioni democratiche per armonizzarle con quelle europee. Gli scarsi risultati, però, sono sotto gli occhi di tutti. Il processo di adesione all'UE non è una passeggiata, è un iter estremamente complesso che richiede un rimodellamento vasto dei quadri normativi, il rispetto di standards molto elevati di governance e di cooperazione regionale. Nonostante la massiccia presenza di istituzioni internazionali e di ingenti fondi, la strada verso l'Europa è ancora molto lunga.

L'intero documento in lingua inglese 

venerdì 1 aprile 2011

CIO' CHE DEVE ACCADERE ACCADE

Ci sono capitato per puro caso. Non avevo intenzione di visitare Rahovec (Orahovac in lingua serba), ma come spesso accade con i fuori programma, la giornata spesa in questo paesotto del Kosovo centro meridionale è stata emozionante. Da secoli Rahovec è conosciuto come luogo di produzione di vino. Ancora oggi, nonostante i danni causati dalla guerra e le difficoltà economiche, l'uva è ritornata a crescere e le piacevoli distese di vigneti all'entrata del paese sembrano darti il benvenuto. Gran parte della storia di questo paese ruota intorno al vino, alla sua produzione e commercializzazione. La necessità di vendere la bevanda di Bacco ha portato i produttori locali ad aprirsi con l'esterno e a dialogare con i paesi vicini che spesso parlavano lingue diverse. E' avvenuto così che, anno dopo anno, la gente del luogo ha imparato nuove parole. Oggi a distanza di secoli la comunità di Rahovec parla una lingua del tutto particolare, composta da frasi albanesi, serbe, turche e bosniache. Un dialetto che nessuno all'infuori di loro riesce a comprendere.
Rahovec è un grande produttore di vino è, al tempo stesso, un paese musulmano. Nel cuore del paese, ad una decina di metri l'una dall'altra si trovano due moschee e le uniche due teqe (il luogo di preghiera e di incontro dei dervish). Numerosa è la comunità (circa il 40% della popolazione) che appartiene all'ordine mistico dei Rifai e degli Halveti. Questa è un'altra particolarità che contraddistingue oggi Rahovec. Visito entrambe le teqe ed in una di queste incontro un ragazzo dervish che per mia fortuna parla molto bene l'italiano. Inutile descrivervi l'ospitalità che ricevo. Al caldo della teqe e in compagnia di un buon caffè turco è proprio lui a tradurre e a raccontarmi un po' di cose.  Il tempo passa in fretta e dopo un'ora mi congedo.
Incomincio a girare senza meta per le stradine ed a riflettere sul concetto della pazienza, del tempo e dell'attesa.  I pensieri mi seguono fin dentro un quebabtore (una tipica rosticceria locale) e continuano a farmi compagnia anche mentre mi ristoro con un po' di carne alla griglia e due bicchieri di vino. Lascio Rahovec col sorriso, convinto che "ciò che deve accadere accade!"

KOSOVO: LA VOCE DEL CONIGLIO